Per un momento Lansing notò l’espressione sconvolta di Mary, poi lei si rasserenò.
— Mi dispiace — Le disse.
— Preparerò qualcosa per cena — disse Mary. — Procuri un po’ di legna per il fuoco. Ha fame, vero?
— Una fame da lupo. Abbiamo fatto colazione prestissimo e abbiamo saltato il pranzo.
— L’aiuterò io a prendere la legna — disse Jurgens. — Anche ridotto come sono, qualcosa posso fare.
— Sicuro — disse Lansing. — Vieni pure.
Dopo la cena riattizzarono il fuoco e gli sedettero intorno.
— Così, stiamo scoprendo lentamente da dove siamo venuti — osservò Mary. — Ma ancora non sappiamo dove stiamo andando. Io vengo da una continuazione dei grandi imperi, l’affermazione logica della concezione imperiale, e lei da un mondo in cui gli imperi sono scomparsi. Oppure è scomparso soltanto quello britannico?
— No, non soltanto quello britannico. Tutte le nazioni hanno perduto almeno la maggior parte dei possedimenti coloniali. In un certo senso ci sono tutt’ora alcuni imperi, ma non è la stessa cosa. La Russia e gli Stati Uniti. Non li chiamano più imperi… li chiamano superpotenze.
— Il mondo di Sandra è più difficile da capire — disse Mary. — Mi sembra il paese delle favole. Come una combinazione dell’antica etica greca e di Rinascimenti che ricorrono di continuo. Non aveva detto così… il Terzo Rinascimento? Comunque, sembra un mondo irreale. Uno splendido mondo nebuloso.
— Non sappiamo molto di quelli del reverendo e del generale — disse Lansing. — A parte quello che il generale ha detto a proposito dei loro giochi di guerra.
— Credo che avesse l’impressione — disse Mary, — che noi disapprovassimo il suo mondo. Ha cercato di presentarcelo come un mondo di tornei cavaliereschi medioevali, ma credo che non sia esattamente così.
— Il reverendo è quello che ha parlato meno — disse Lansing. — Quella faccenda della Gloria divina nel campo di rape… ma non ci ha detto niente altro. Dopo è stato zitto.
— Ho la sensazione che il suo mondo sia molto tetro — disse Mary. — Tetro e santimonioso. Spesso sono due caratteristiche inseparabili. Ma abbiamo dimenticato Jurgens.
— Scusatemi, prego — disse Jurgens.
— Oh, per me va bene — disse Mary. — Stavamo semplicemente spettegolando.
— Quello che non riesco assolutamente a capire — disse Lansing, — è che cosa possiamo avere in comune. L’unica ragione possibile perché ci abbiano scaraventati qui insieme è che tutti e sei siamo della stessa categoria. Ma a pensarci appare evidente che tra noi ci sono poche rassomiglianze.
— Un professore di college — disse Mary, — un militare, un reverendo, una poetessa e… tu come ti descriveresti, Jurgens?
— Sono un robot. Ecco tutto. Non sono neppure umano.
— Piantala — disse bruscamente Lansing. — Chi ci ha portati qui non ha fatto distinzioni tra un robot e gli umani. Quindi sei uno di noi.
— Più tardi — disse Mary, — il denominatore comune cui ha accennato potrebbe risultare chiaro. Al momento, però, non riesco a trovarlo.
— Non siamo gli unici — disse Lansing. — Altri sono venuti qui prima di noi e forse dopo di noi ne verranno altri. Tutto sembra indicare un programma, un progetto. Vorrei tanto che qualcuno ci spiegasse di quale progetto, di quale programma si tratta. Mi sentirei più tranquillo.
— Anch’io — disse Mary.
Jurgens si alzò, faticosamente e, tenendosi in equilibrio con la gruccia, gettò altra legna sul fuoco.
— Ha sentito? — chiese Mary.
— Non ho sentito niente — disse Lansing.
— C’è qualcosa là fuori, nel buio. L’ho sentito fiutare.
Rimasero tutti in ascolto. Non sentirono nulla. L’oscurità era silenziosa.
Poi Lansing lo sentì… qualcosa che fiutava. Alzò la mano per chiedere agli altri di non far rumore.
Il suono cessò, poi riprese, a poca distanza dal punto dove s’era interrotto. Come se un animale tenesse il naso a terra e fiutasse un’usta. S’interruppe ancora, riprese in un punto diverso; sembrava che l’animale stesse girando intorno al fuoco del bivacco.
Jurgens roteò su se stesso, brandendo la gruccia. Lansing scrollò la testa, e il robot si fermò di colpo.
Continuarono ad ascoltare. Per lunghi minuti non si sentì più fiutare. Si rilassarono.
— Avete sentito? — chiese Mary.
— Sì — disse Jurgens. — È incominciato proprio dietro di me.
— Allora c’era veramente qualcosa, là fuori?
— Adesso se n’è andato — disse Lansing. — Jurgens l’ha spaventato.
— Sandra l’aveva sentito, ieri notte — disse Mary. — È sempre rimasto qui.
— Non è insolito — disse Lansing. — Dovevamo aspettarcelo. Gli animali selvatici sono sempre attratti dal fuoco.
XIII
Impiegarono cinque giorni per raggiungere la città. Avrebbero potuto impiegarne due, se non fossero stati costretti ad adattarsi all’andatura di Jurgens.
— Dovevo tornare alla locanda — disse il robot. — Ce l’avrei fatta, ad arrivarci da solo. Sarei rimasto lì ad aspettarvi. Così non avrei rallentato la marcia.
— E che cosa faremmo — disse Lansing, — quando venisse il momento in cui avremmo bisogno di te, se tu non fossi con noi?
— Può darsi che quel giorno non venga mai. Forse non avrete mai bisogno di me.
Lansing gli diede dell’idiota e gli disse di continuare a camminare.
Via via che procedevano, l’aspetto del territorio cambiava. Il paesaggio era ancora ondulato, ma diventava sempre più arido. I boschetti erano più distanziati e più piccoli, sia nell’estensione che nelle dimensioni degli alberi, che cominciavano a ridursi ad arbusti. Il vento era caldo, non più fresco. I ruscelletti che davano loro l’acqua erano più distanti e più esili; spesso non erano altro che rigagnoli.
Ogni notte il misterioso Fiutatore si aggirava intorno al bivacco. Una volta, la seconda notte da quando avevano lasciato il cubo, Lansing e Jurgens, armati di torce elettriche, si avventurarono nell’oscurità per cercarlo. Non trovarono nulla, neppure un’orma. Il terreno intorno al fuoco era sabbioso e avrebbe dovuto mostrare qualche traccia: ma non c’era.
— Ci segue — disse Mary. — Ci sta sempre dietro. Anche quando non fiuta, so che è là fuori. È là fuori e ci spia.
— Non ci ha mai minacciati — disse Lansing, cercando di tranquillizzarla. — Non ha cattive intenzioni. Se le avesse, ormai avrebbe agito. Ha avuto le occasioni possibili.
Dopo i primi due giorni, spesso restavano in silenzio intorno al fuoco: avevano ormai parlato di tutto, e non avevano bisogno di continuare a parlare per mantenere vivi gli stretti legami che l’avventura aveva forgiato tra loro.
A volte, durante quei lunghi silenzi, Lansing si sorprendeva a ripensare alla sua esistenza d’un tempo; e scopriva, stupito, che il college dove aveva insegnato gli sembrava immensamente lontano, che gli amici che vi aveva avuto erano amici di tanto tempo prima. Non era trascorsa più di una settimana, si diceva, costringendosi a ricordarlo; eppure aveva la sensazione che vi fosse un abisso di molti anni tra quel luogo e la piccola città universitaria. La nostalgia lo pervadeva, e provava l’impulso quasi irresistibile di ritornare sui suoi passi, di allontanarsi dal bivacco e di ripercorrere a ritroso la pista. Ma non sarebbe stato tanto semplice, lo sapeva. Anche se fosse ritornato indietro, non sarebbe andato oltre la locanda o, forse, la valletta boscosa dove s’era trovato all’inizio. Non c’era una strada che riportasse al college, da Andy e da Alice, nel mondo che aveva conosciuto. Fra lui e la sua vita di un tempo stava qualcosa d’imponderabile, e non aveva idea di cosa fosse.
Non poteva tornare indietro. Doveva proseguire, perché soltanto così avrebbe trovato, forse, la strada di casa. Lì c’era qualcosa che doveva scoprire, e fino a quando non l’avesse scoperto, per lui la strada di casa non sarebbe esistita. E anche quando l’avesse scoperto, se mai ci fosse riuscito, non avrebbe avuto comunque la certezza che fosse possibile tornare nel suo mondo.