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Forse era una sciocchezza comportarsi così, ma non aveva scelta. Doveva proseguire. Non poteva abbandonare, come avevano abbandonato i quattro giocatori di carte, alla locanda.

Cercava d’immaginare un meccanismo logico che aveva trasferito lui e gli altri in quel luogo. L’intera faccenda sapeva di magia, eppure non poteva essere magia. Ciò che l’aveva compiuta doveva aver sfruttato l’applicazione di certe leggi fisiche. La stessa magia, se esisteva, non doveva essere altro che l’applicazione di leggi fisiche sconosciute nel mondo dal quale proveniva.

Andy, quando gli aveva parlato al Club dei Docenti, aveva accennato alla fine della conoscenza, la fine delle leggi fisiche. Ma Andy non conosceva e non comprendeva i concetti che aveva discusso; s’era limitata a blaterare le sue concezioni filosofiche.

Era possibile che la soluzione fosse lì, si chiese Lansing, nel mondo in cui ora sedeva accanto a un fuoco? Era possibile che fosse ciò che doveva cercare… e se c’era, e se l’avesse trovato, l’avrebbe riconosciuto? Se anche avesse incontrato la fine della conoscenza, l’avrebbe capito?

Irritato con se stesso, cercò di scacciare dalla mente quei pensieri, ma non ci riuscì.

Trovarono il punto dove s’erano accampati gli altri tre: le ceneri fredde del fuoco, l’incarto d’una scatola di crackers, croste di formaggio, fondi di caffè.

Il tempo si manteneva al bello. Qualche volta le nubi salivano dall’orizzonte a occidente, ma presto si disperdevano. Non pioveva. Il sole era caldo e luminoso.

La terza notte, Lansing si svegliò all’improvviso da un sonno profondo. Si sollevò a sedere, faticosamente, lottando contro una forza che cercava di tenerlo inchiodato.

Nella luce guizzante del fuoco, vide Jurgens accanto a lui. Il robot gli stringeva la spalla e mormorava qualcosa.

— Cosa succede?

— È Miss Mary, signore. Sembra che stia male. Come se avesse le convulsioni.

Lansing girò la testa per guardare. Mary si era sollevata a sedere, dentro il sacco a pelo. Teneva la testa reclinata all’indietro e guardava il cielo.

Lansing uscì dal sacco a pelo e si alzò, barcollando.

— Le ho parlato — disse Jurgens. — Ma non mi ha sentito.

Le ho parlato più volte, per chiederle che cosa aveva, cosa potevo fare per lei.

Lansing raggiunse Mary. Sembrava una statua… rigida ed eretta, stretta in una morsa invisibile.

Si chinò su di lei, le prese il viso tra le mani, premendo con delicatezza.

— Mary — disse. — Mary, cosa c’è?

Lei non gli diede ascolto.

La schiaffeggiò con una mano, poi con l’altra. I muscoli della faccia si decontrassero e tremarono. Mary si accasciò, tenendogli le braccia… non a lui, pensò Lansing, ma a qualunque cosa, per aggrapparsi.

La strinse a sé, cullandola. Mary tremava irrefrenabilmente. Incominciò a singhiozzare: singulti sommessi, soffocati.

— Preparo il tè — disse Jurgens. — E riattizzo il fuoco. Ha bisogno di scaldarsi.

— Dove sono? — mormorò lei.

— Qui con noi. Al sicuro.

— Edward?

— Sì, Edward. E Jurgens. Ti sta preparando il tè.

— Mi sono svegliata, e loro erano chini su di me, mi guardavano.

— Taci — disse lui. — Taci. Riposa. Calmati. Non agitarti. Potrai dircelo più tardi. È tutto a posto.

— Sì — disse Mary.

Per un po’ non parlò più. Lansing, che la teneva stretta, sentì che la tensione si andava attenuando.

Finalmente Mary si scosse, si scostò da lui. Si sollevò a sedere e lo guardò.

— Era spaventoso — disse, in tono calmo. — Non ho mai avuto tanta paura.

— Ormai è passato. Cos’è stato… un brutto sogno?

— Qualcosa di più di un sogno. Loro erano là, librati nel cielo, affacciati dal cielo. Lasciami uscire dal sacco a pelo, vorrei avvicinarmi al fuoco. Hai detto che Jurgens sta preparando il tè?

— È pronto — disse Jurgens. — Gliel’ho già versato. Se ricordo bene, ci mette sempre due cucchiaini di zucchero.

— Infatti — disse lei. — Due cucchiaini.

— Ne prende una tazza anche lei? — chiese Jurgens a Lansing.

— Sì, grazie — disse Lansing.

Sedettero insieme accanto al fuoco. Jurgens stava acquattato da una parte. La legna che aveva aggiunto stava prendendo fuoco, e le fiamme balzavano alte. Bevvero il tè, in silenzio.

Poi Mary disse — Non sono una donnicciola isterica. Lo sai.

Lansing annuì. — Sì, lo so. Sei un tipo energico e pratico.

— Mi sono svegliata — disse lei. — È stato un risveglio facile, piacevole. Non brusco e improvviso. Ero sdraiata sul dorso, e quando ho aperto gli occhi ho visto direttamente il cielo.

Bevve un altro sorso di tè e attese, come se cercasse di farsi forza per continuare il racconto.

Posò a terra la tazza e si voltò verso Lansing. — Erano tre — disse. — O almeno, credo che fossero tre. Forse quattro. Tre facce. Senza corpo. Soltanto le facce. Molto grandi. Più grandi di quelle umane, anche se sono sicura che erano umane. Sembravano umane. Tre grandi facce nel cielo. Riempivano metà del cielo, e mi guardavano. E io ho pensato che era assurdo, credere che le vedevo. Ho battuto le palpebre, pensando che fosse uno scherzo dell’immaginazione, che sarebbero sparite. Ma non sono sparite. Dopo che ho sbattuto gli occhi, le ho viste ancora più chiaramente.

— Calma — disse Lansing. — Parla con calma.

— Sto parlando con calma, accidenti. Tu pensi che si sia trattato di un’allucinazione, vero?

— No — disse lui. — Se dici di averle viste, le hai viste. Sei un tipo energico e pratico, ricordi? Non una donnicciola isterica.

Jurgens si tese verso di loro e riempì di nuovo le tazze.

— Grazie, Jurgens — disse Mary. — Il tuo tè è delizioso.

Poi continuò: — Le facce non avevano niente che non andava. Niente di mostruoso. Erano molto normali, ora che ci penso. Una aveva la barba. Il giovane. Gli altri due erano vecchi. Non avevano niente di anormale, ho detto… all’inizio. Poi ho cominciato a sentirlo. Mi stavano guardando attentamente. Con interesse. L’interesse che proverebbe uno di noi due se si imbattesse in un insetto orrendo, una creatura abominevole, un essere vivente d’una specie nuova. Come se io non fossi una creatura: come se fossi una cosa. All’inizio c’era, mi sembrava, una sorta di compassione per me; ma poi ho compreso che non era così, era piuttosto un miscuglio di disprezzo e di pietà, ed era la pietà, quella che mi feriva di più. Riuscivo quasi a leggere i loro pensieri. Mio Dio, pensavano, guardala! E poi… e poi…

Lansing non disse nulla; intuiva che era meglio non dire nulla.

— E poi hanno distolto le teste. Non sono scomparsi. Hanno distolto le teste, disinteressandosi di me. Come se fossi indegna della loro attenzione, del loro disprezzo e della loro pietà. Come se non fossi niente… e per estensione non fosse niente neppure la razza umana. Ci condannavano al nulla, anche se forse non è esatto parlare di condanna. Non eravamo degni neppure di quello. Eravamo una forma inferiore, alla quale non volevano più pensare.

Lansing esalò un lungo respiro. — Per amor di Dio — disse. — Non mi meraviglio che…

— Appunto. Non c’è da meravigliarsi. È stato un colpo terribile. Edward, forse la mia reazione…

— Non parliamo di reazioni. La mia, probabilmente, sarebbe stata anche peggio.

— Che cosa pensi che fossero? Non chi… che cosa?

— Non saprei. In questo momento non cercherei neppure di indovinarlo.

— Non è stata la mia immaginazione.