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— Quello che non riesco a capire — disse il generale di brigata, — è come possa funzionare ancora questa piccola parte, quando tutto il resto è ciarpame.

— Forse quello che vediamo — disse Lansing, — è solo la parte funzionante terminale. Forse è tutto ciò che c’è sempre stato da vedere… la componente grafica. Può darsi che il resto sia soltanto un meccanismo operativo che sta insieme alla meno peggio. Basterebbe che qualcuno battesse troppo forte il piede sul pavimento, perché l’ultimo collegamento superstite che lo fa funzionare si sgretolasse e si spegnesse tutto.

— Non ci avevo pensato — disse il generale di brigata. — Forse ha ragione, ma ne dubito. Io credo che questo mucchio di rottami fosse, un tempo, uno schermo panoramico. E quello che è rimasto è soltanto un angoletto.

Girò intorno al mucchio di ciarpame e si fermò, spegnendo la torcia elettrica.

— Guardate — disse.

C’era qualcosa che somigliava a uno schermo televisivo da venticinque pollici, sebbene avesse i margini dentellati.

Nello schermo dentellato si estendeva un mondo crepuscolare, allucinante, colorato di rosso. In primo piano, un gruppo di macigni sfaccettati scintillavano nella luce fioca del sole invisibile.

— Sembrano diamanti, non le pare? — chiese il generale di brigata. — Un gruppo di macigni di diamante!

— Non saprei — disse Lansing. — Non conosco molto bene i diamanti.

I macigni che forse erano di diamante spiccavano su una pianura sabbiosa, tra la vegetazione rada: qualche ciuffo d’erba rigida, cespugli bassi, stenti e spinosi, che nella conformazione creavano l’illusione d’essere animali… strani animali, indubbiamente, ma comunque appartenenti più alla fauna che alla flora. Sull’orizzonte lontano, cinque o sei alberi si stagliavano contro il cielo rosso, anche se, guardandoli più attentamente, Lansing non fu certo che fossero alberi. Erano grottescamente aggobbiti e le radici, se erano radici, non affondavano direttamente nel suolo, ma si aggobbivano anch’esse lungo la superficie, un po’ come vermi in movimento. Gli alberi, evidentemente, dovevano essere enormi perché i dettagli spiccassero tanto nitidi a quella distanza.

— È questo che si vede sempre? — chiese Lansing. — La scena è sempre la stessa?

— Sempre la stessa — rispose il generale di brigata.

Qualcosa guizzò attraverso lo schermo, da sinistra a destra, rapidissimo. Per un istante, come se una macchina fotografica fosse scattata nel suo cervello, Lansing ne captò la forma. Sostanzialmente era umanoide: aveva due braccia, due gambe, una testa. Ma non era umano; era tutt’altro che umano. Il collo era lungo ed esile, la testa piccola, e la linea del collo si estendeva fino alla sommità del cranio, e la testa ne pendeva. Il collo e la testa erano inclinati, in quella velocità disperata, al punto che la testa era quasi orizzontale rispetto al suolo. La mascella sporgente era massiccia, ma la faccia, se esisteva, era minuscola. Tutto il corpo era angolato in avanti, nella direzione della corsa, e le braccia e le gambe si muovevano energicamente. Le braccia, più lunghe di quelle di un umano, terminavano in masse informi che non erano mani, e il piede sollevato (l’altro era affondato nella sabbia) terminava in due unghioni. Sembrava un’impressione causata dalla velocità con cui si muoveva.

— È qualcosa di nuovo? — chiese Lansing. — L’avevate già visto?

— L’abbiamo visto una volta — disse il reverendo. — Se non era proprio questo, era un altro molto simile.

— E correva?

— Correva — disse il reverendo.

Lansing si rivolse al generale di brigata. — Mi ha parlato di esseri. Ha detto che aveva visto esseri, al plurale. Sono più d’uno, evidentemente.

— C’è una specie di ragno — disse il generale di brigata, — che vive nell’ammasso dei macigni. Probabilmente non è un vero ragno, ma è l’analogia più calzante che mi viene in mente. Un ragno ho otto zampe, e questo ne ha di più, anche se è difficile dirlo… sono sempre cosi aggrovigliate che è impossibile contarle. Di solito lo si vede sbirciare, ma in questo momento è nascosto. È d’un bianco puro, e non è facile vederlo, nello scintillio dei diamanti. Ogni tanto c’è un uovo con tre zampe che attraversa lo schermo. Il corpo è ovoidale, e ci sono fessure su tutta la parte superiore. Organi dei sensi, presumo. Le tre gambe terminano in zoccoli e non hanno snodi al ginocchio. Si muove slanciando in avanti una gamba alla volta, tenendola rigida. Tranquillo, noncurante, come se non avesse paura di niente. Eppure, a quanto si può vedere, non ha difese.

— È un luogo pieno d’orrori — disse il reverendo. — Nessun uomo timorato di Dio dovrebbe permettersi di guardarlo.

XV

Sedettero intorno al fuoco, oziando un po’ dopo la colazione.

— Abbiamo esplorato questo piano e i quattro piani superiori — disse il generale di brigata. — E non abbiamo trovato altro che lo schermo grafico e il gruppo statuario. Tutte le stanze sono completamente spoglie. Non c’è neppure un mobile. Non è rimasto niente di niente. Cos’è successo? Fu una ritirata in buon ordine? Gli abitanti si trasferirono altrove portandosi via tutto ciò che possedevano? Oppure la città fu saccheggiata, oggetto per oggetto? Se è così, chi fu a saccheggiarla? Gruppi come il nostro hanno sfasciato i mobili per usarli come legna da ardere? È possibile, perché probabilmente gruppi come il nostro sono passati di qui per molto tempo, forse per millenni. Avrebbero potuto bruciare i mobili, certo, ma il resto… le pentole e i tegami, i piatti, le ceramiche, gli indumenti, i libri, i quadri, i tappeti, tutta la roba che doveva esserci? Forse li hanno portati via come ricordo, ma ne dubito. Non soltanto qui, in questo palazzo dell’amministrazione, ma dovunque abbiamo guardato. Persino quelle che sembrano residenze private sono completamente spogliate.

— La città fu un fallimento — disse il reverendo. — Era una città atea, e quindi fu un fallimento.

— Io credo che lo fosse — disse Sandra, — perché non aveva cuore. Non c’è traccia d’arte, escluso il piccolo gruppo statuario che abbiamo trovato. Un popolo insensibile, senza cuore, che non concedeva spazio all’arte.

— Quando se ne andarono — disse il generale di brigata, — forse si portarono via le loro opere d’arte. Oppure le presero altri, venuti qui più tardi.

— Forse la città non fu creata come abitato permanente — disse Mary. — Forse non era niente altro che una specie d’accampamento. Un luogo dove sostare mentre attendevano che accadesse qualcosa, un avvenimento che doveva compiersi…

— Se è così — disse il generale di brigata, — hanno costruito molto bene. Non ho mai sentito parlare di un accampamento edificato in pietra e tanto solido. E un’altra cosa che mi sconcerta è il fatto che non aveva difese di nessun genere. In un posto come questo, costruito tanto tempo fa, dovrebbe esserci un sistema difensivo di mura. C’è qualche muro basso qua e là, che delinea il perimetro della città; ma non sono continui, e non avrebbero avuto utilità per la difesa.

— Ci stiamo abbandonando alle allucinazioni — disse il reverendo. — Finora non abbiamo trovato nulla che getti luce sulla ragione della nostra presenza qui. Non abbiamo trovato niente intorno al cubo e non abbiamo trovato niente nella città.

— Forse nessuno di noi ha guardato come avrebbe dovuto — disse Jurgens.

— Dubito che ci sia qualcosa da trovare — disse il reverendo. — Credo che siamo qui per il capriccio irresponsabile di…

— Non posso crederlo — disse il generale di brigata. — Ogni azione deve avere una causa. Nell’universo non possono esserci azioni immotivate.