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— Ne è sicuro? — chiese il reverendo.

— Mi sembra ragionevole che sia così. Lei si arrende con troppa facilità, reverendo. Ma io non sono disposto a farlo. Ho intenzione di passare la città al pettine fitto, prima di abbandonare la ricerca. C’è ancora il sotterraneo di questo edificio, e dovremo andare a vederlo. Se non ci troveremo niente, dovremo esplorare altri obiettivi selezionati.

— Come può essere certo che la soluzione sia qui? — chiese Lansing. — Debbono esserci altri posti, in questo mondo.

— Perché questa città è il posto più logico. Una città è sempre il centro di una civiltà, è il perno degli avvenimenti. La soluzione si può trovare dove c’è una concentrazione di gente e di installazioni.

— In questo caso — disse Jurgens, — dovremo muoverci e cercare.

— Hai ragione, Jurgens — disse il generale di brigata. — Scenderemo a fare una ricognizione nel sotterraneo; se non troveremo niente, e tra parentesi sono quasi sicuro che sarà così, allora prenderemo in esame la situazione e decideremo sul da farsi.

— È meglio che prendiamo tutti le torce elettriche — suggerì Sandra. — Sarà molto buio, là sotto. Il resto dell’edificio è già abbastanza buio; nelle cantine sarà anche peggio.

Il reverendo precedette gli altri giù per l’ampia scala. Quando arrivarono in fondo s’intrupparono istintivamente, guardando nella tenebra, e puntarono di qua e di là i raggi delle torce elettriche, rivelando corridoi e vani privi di porta.

— Dividiamoci — disse il generale di brigata, assumendo il comando. — E disperdiamoci. In questo modo esploreremo una zona più ampia. Se qualcuno trova qualcosa, chiamerà gli altri. Dividiamoci a due per due. Lansing, vada con Jurgens lungo il corridoio di sinistra. Mary e il reverendo esploreranno quello centrale; io e Sandra ci addentreremo in quello di destra. Ogni coppia userà una sola torcia elettrica, per economizzare le batterie. Ci ritroveremo qui.

Dal modo in cui l’aveva detto, il generale di brigata prevedeva che sarebbe tornato presto.

Nessuno fece obiezioni. Si erano abituati a sentirlo dare ordini. Si avviarono lungo i corridoi assegnati.

Jurgens e Lansing trovarono le mappe nella quarta stanza che visitarono. Sarebbe stato facile andarsene senza vederle. Il sotterraneo era molto deprimente. C’era polvere dappertutto. Mentre camminavano si sollevava a sbuffi sotto i loro piedi e restava in sospensione nell’aria. Aveva un odore secco, arido. Penetrava nelle narici di Lansing e lo faceva sternutire.

Avevano dato un’occhiata alla quarta stanza e, come tutte le altre, era vuota completamente. Mentre tornavano verso la porta, preparandosi a passare nella camera accanto, Jurgens girò un’ultima volta il fascio di luce sul pavimento.

— Ehi, un attimo — disse. — Non c’è qualcosa, là?

Lansing guardò. Nel cerchio di luce scorse qualcosa d’indistinto, di scuro.

— Probabilmente non è nulla — disse. Non vedeva l’ora di concludere l’esplorazione del sotterraneo. — È soltanto un’irregolarità del pavimento.

Jurgens si chinò in avanti, puntellandosi con la gruccia. — È meglio assicurarcene — disse.

Lansing restò a guardare mentre Jurgens si dirigeva verso l’oggetto. Tenendosi in equilibrio instabile, il robot tese la gruccia per muoverlo. L’oggetto si rovesciò. Dal grigiore della polvere emerse qualcosa di bianco.

— Abbiamo trovato qualcosa — disse Jurgens. — Sembra carta. Forse è un libro.

Lansing si affrettò a raggiungere il robot, s’inginocchiò e cercò di togliere la polvere da ciò che Jurgens aveva scoperto. Il tentativo non riuscì molto bene. Prese l’oggetto e lo scosse. La polvere vortice nell’aria, soffocandolo.

— Usciamo — disse. — Troviamo un posto più adatto per guardarlo.

— Non ha preso tutto — disse Jurgens. — Ce n’è un’altro là. Mezzo metro più a sinistra.

Lansing si chinò e lo prese.

— È tutto?

— Credo di sì. Non vedo niente altro.

Tornarono in fretta nel corridoio.

— Tienimi vicina la torcia — disse Lansing. — Vediamo che cos’è.

Un esame più attento rivelò quattro fogli piegati… carta o forse plastica. Era difficile capire esattamente che cosa fossero, sotto quella crosta di polvere. Lansing infilò tre dei fogli in una tasca della giacca e aprì l’altro. Le piegature erano numerose e rigide, e opponevano resistenza. Finalmente anche l’ultima cedette, e Lansing si trovò in mano il foglio spiegato. Jurgens vi puntò il raggio della torcia elettrica.

— Una mappa — disse.

— Forse di questo posto — disse Lansing.

— Può darsi. Dovremmo guardare meglio. Dove c’è più luce.

C’erano linee e segni strani, e accanto ad alcuni segni c’erano file di simboli interconnessi che potevano essere nomi di località.

— Il generale ha detto di chiamare, se avessimo trovato qualcosa.

— Possiamo aspettare — disse Lansing. — Finiamo di esplorare le altre stanze.

— Ma potrebbe essere importante.

— Continuerà ad avere la stessa importanza anche fra un’ora.

Continuarono la ricerca e non trovarono niente. Tutte le camere polverose erano vuote.

A metà del corridoio, mentre ritornavano verso la scala, sentirono in distanza il richiamo d’una voce tonante.

— Qualcuno ha trovato qualcosa — disse Jurgens.

— Sì, credo di sì. Ma dove?

Il grido echeggiava e riecheggiava cavernosamente, nello spazio vuoto del sotterraneo. Sembrava provenire da tutte le direzioni.

Si avviarono in fretta lungo il corridoio e arrivarono ai piedi della scala. Non era ancora possibile determinare la direzione da cui veniva il grido. In certi momenti sembrava giungere dal corridoio che avevano appena lasciato.

In fondo al corridoio di destra scintillava una luce in movimento.

— Il generale e Sandra — disse Jurgens. — Quindi sono stati il reverendo e Mary a trovare qualcosa.

Dopo pochi passi il generale di brigata li raggiunse.

— Siete qui — disse, ansimando. — Allora quello che grida è il reverendo. Non riuscivamo a capire da dove venisse la voce.

Tutti e quattro si avviarono insieme lungo il corridoio centrale. Arrivarono in fondo e irruppero in una stanza molto più grande di quelle che avevano esplorato Jurgens e Lansing.

— Può smettere di miagolare, adesso — disse il generale di brigata. — Siamo qui. Cos’è tutto questo chiasso?

— Abbiamo trovato le porte — urlò il reverendo, — le mostreremo cosa sono. Porte di un altro genere.

Lansing si fermò accanto a Mary e vide, lungo la parete di fondo della stanza, una fila di luci circolari… Non la luce accecante delle torce elettriche e neppure quella rossa e palpitante di un fuoco: era la luce del sole. E tutte erano allineate all’altezza della testa, rispetto al pavimento.

Mary gli strinse il braccio destro con tutte due le mani.

— Edward — disse con voce tremante, — abbiamo trovato altri mondi.

— Altri mondi? — ripeté lui, stordito.

— Ci sono le porte — disse Mary, — e gli spioncini. Se guardi dagli spioncini, vedi gli altri mondi.

Lo tirò per il braccio; senza capire bene come stessero le cose, Lansing la seguì davanti a uno dei cerchi luminosi. — Guarda — disse lei, affascinata. — Guarda e vedrai. Questo è il mondo che preferisco. Il più bello.

Lansing si accostò e guardò dallo spioncino.

— Io lo chiamo il mondo dei fiori di melo — disse Mary. — Il mondo dell’uccellino azzurro.

E Lansing vide.

Il mondo si estendeva davanti a lui, ed era sereno e dolce, con un’immensa distesa d’erba, di un verde quasi risplendente. Un ruscello scintillante scorreva in mezzo al prato, a una certa distanza, e Lansing vide che l’erba era costellata da fiori celesti e giallo-tenero. I fiori gialli sembravano asfodeli cullati dalla brezza. Quelli azzurri, meno alti e seminascosti tra l’erba, lo guardavano come occhi intimiditi. Su una collina lontana c’era un gruppo di alberelli rosa, completamente avvolti nell’incredibile manto rosato dei fiori.