— Meli selvatici — disse Mary. — I meli selvatici hanno i fiori rosa.
Quel mondo irradiava un senso di freschezza, come se fosse nato da pochi minuti… lavato da una gentile pioggia di primavera, asciugato e spazzolato da una brezza premurosa, lustrato dai raggi d’un sole dolce.
Non si vedeva altro che il prato verde costellato d’un milione di fiori, il ruscello che scorreva scintillante e il rosa dei meli sulla collina. Era un luogo privo di complicazioni, un luogo tutto semplicità. Ma era abbastanza, si disse Lansing: aveva tutto ciò che era necessario.
Distolse il viso dallo spioncino per guardare Mary.
— È incantevole — disse.
— Lo penso anch’io — disse il reverendo. Per la prima volta da quando l’aveva incontrato, Lansing vide che gli angoli della bocca non erano incurvati verso il basso. La faccia perpetuamente ansiosa e perplessa era serena.
— Certi altri — disse con un brivido. — Certi altri, ma questo…
Lansing osservò la porta in cui era situato lo spioncino e vide che era un po’ più grande di un uscio comune, e sembrava di metallo molto pesante. I cardini erano strutturati in modo che si aprisse verso l’esterno, nell’altro mondo, e per tenerla bloccata era fissata da massicce alette di metallo. Le alette erano trattenute da robusti bulloni inseriti nel muro.
— Questo è solo uno dei vari mondi — disse Lansing. — Gli altri come sono?
— Molto diversi — rispose Mary. — Vai a vederli.
Lansing guardò da un altro spioncino. Mostrava una scena artica… un’immane distesa di neve, il velo d’una tormenta furiosa. Nelle pause momentanee tra i vortici si scorgeva lo splendore crudele d’un ghiacciaio torreggiante. Lansing rabbrividì, sebbene quel freddo non lo toccasse. Non c’era segno di vita: non si muoveva nulla, tranne la neve turbinante.
Il terzo spioncino gli mostrò un spoglia superficie rocciosa, parzialmente nascosta da mucchi di sabbia. I minuscoli pezzi di ghiaia, sulla superficie, sembravano animati d’una vita propria. Rotolavano di qua e di là, sospinti dalla violenza del vento che sollevava la sabbia. Non si vedeva nulla, se non in primo piano: l’orizzonte era invisibile. La sabbia portata dal vento cancellava ogni profondità di percezione in una foschia giallastra.
— Sì, vedi — disse Mary, che aveva seguito Lansing.
Il quarto spioncino rivelava un luogo feroce e famelico, una giungla acquatica in cui nuotavano e strisciavano e zampettavano innumerevoli predatori. Per un momento Lansing non riuscì a distinguere quegli elementi vivi: ricevette soltanto l’impressione d’un movimento convulso. Poi, a poco a poco, incominciò a differenziare ciò che vedeva… i divoratori e i divorati, le contese e le lotte, la fame e la furtività. Erano esseri come non ne aveva mai veduti… corpi contorti, fauci enormi, appendici sferzanti, zanne acuminate, artigli fulminei, occhi lucenti.
Voltò le spalle alla porta, nauseato, con lo stomaco sottosopra. Si passò una mano sul volto, come per scacciare l’odio e il ribrezzo.
— Non sono stata capace di guardarlo — disse Mary. — Ho dato solo un’occhiata.
Anche Lansing provava l’impulso di rattrappirsi, di farsi più piccolo per nascondersi, mentre la pelle gli si aggricciava.
— Non pensarci più — disse Mary. — Cancellalo. È colpa mia. Avrei dovuto avvertirti.
— E gli altri? Ce ne sono altri orrendi come questo?
— No, è il peggiore — disse Mary.
— Guardi questo — disse il generale di brigata. — Non ho mai visto niente di simile.
Si scostò per lasciare che Lansing potesse scrutare dallo spioncino. Il terreno era accidentato: non c’era un solo tratto pianeggiante, e Lansing impiegò qualche secondo per comprenderne la ragione. Poi vide che l’intera superficie di quel luogo (se esisteva una superficie) era coperta da piramidi che arrivavano all’altezza della cintura, con le basi esattamente unite. Era impossibile capire se le piramidi erano naturali o se qualcuno le aveva costruite, per chissà quale ragione. Ognuna terminava in una punta aguzza. Se un intruso avesse cercato di addentrarsi in quel labirinto, avrebbe avuto molte probabilità di finire impalato.
— Debbo riconoscere — disse il generale di brigata, — che è lo sbarramento più efficiente che abbia mai avuto modo di vedere. Anche un mezzo corazzato incontrerebbe parecchie difficoltà a passare.
— Pensa davvero che lo sia? — chiese Mary. — Una fortificazione?
— Può darsi — rispose il generale di brigata. — Ma non è logico. Non mi sembra che difenda una roccaforte.
Era vero. Si poteva vedere soltanto la distesa di piramidi: continuavano fino all’orizzonte e non c’era niente altro.
— Credo — disse Lansing, — che non sapremo mai che cos’è in realtà.
Dietro di loro, il reverendo disse: — Un modo per scoprirlo c’è. Basta sbullonare le alette, aprire la porta ed entrare…
— No — insistette in tono deciso il generale di brigata. — È l’unica cosa che non possiamo arrischiarci a fare. Può darsi che le porte siano trappole. Se se ne apre una e si muove un passo oltre la soglia, probabilmente si scopre che la porta non c’è più, che si è entrati in quel mondo senza la possibilità di tornare indietro.
— Lei non si fida mai di niente — obiettò il reverendo. — Dice che tutto è una trappola.
— È la mia mentalità militare — disse il generale di brigata. — E mi è molto utile. Mi ha evitato molte mosse stupide.
— Ce n’è ancora una — disse Mary a Lansing. — Ed è la più triste. Non chiedermi perché è triste: lo è, e basta.
Era veramente triste. Appoggiando il viso allo spioncino, Lansing vide l’oscurità fonda d’una valletta boscosa. Gli alberi che crescevano sui pendii intorno alla valletta erano angolosi e deformi… sembravano uomini vecchissimi e zoppicanti, sebbene non vi fosse alcun movimento, e non vi fosse un filo di vento ad agitare le fronde. E questo, pensò Lansing, poteva essere una parte della tristezza: esseri così pietrificati in eterno nella sofferenza del movimento. Tra gli alberi spiccavano macigni muscosi, profondamente incassati nel suolo, e sul fondo del burrone, Lansing lo sentiva, doveva esserci acqua corrente: ma non poteva scorrere con un mormorio lieto. Eppure non riusciva a individuare la tristezza di quella scena… era deprimente, sì, un luogo deprimente, ma perché doveva essere tanto triste?
Si staccò dallo spioncino e guardò Mary. Lei scosse la testa. — Non chiederlo a me — disse. Non ne ho idea.
XVI
Avevano aggiunto altra legna al fuoco per avere calore e conforto… anche calore, perché il sole stava tramontando ed era freddo, nell’interno dell’edificio. Adesso s’erano seduti tutti intorno, a parlare.
— Mi piacerebbe poter pensare — disse il generale di brigata, — che quelle porte costituiscono la soluzione cercata da tutti noi, ma non riesco a convincermi.
— Per me — disse il reverendo, — è chiaro che sono porte comunicano con altri mondi. Se provassimo a entrare…
— Le ho già detto — l’interruppe il generale di brigata, — che quelle porte sono trappole. Incominci ad aprirne una e vedrà: scoprirà che non c’è modo di tornare indietro.
— A quanto pare — disse Mary, — gli abitanti della città avevano un grande interesse per gli altri mondi. Non soltanto ci sono le porte, ma c’è anche lo schermo geografico. Quello che ci si vede ancora oggi dev’essere un altro mondo.
— Ma non sappiamo — disse Sandra, — se sono mondi reali oppure paesaggi della mente. Ho pensato che potrebbero essere semplicemente opere d’arte… forse, dal nostro punto di vista, una forma d’arte non molto convenzionale. Ma non possiamo avere la presunzione di conoscere tutte le forme che l’arte può assumere.