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Salirono sulla terrazza e trovarono un ammasso di pietre crollate, teneri blocchi di arenaria che un tempo avevano formato un muretto basso intorno al piccolo edificio in rovina al centro del rettangolo.

— Arenaria — disse Lansing. — Da dove può provenire?

— Là — disse Jurgens, indicando una bassa rupe argillosa che fungeva da sfondo alla scena. — Uno strato di arenaria nell’argilla. Ci sono le tracce, molto vecchie, dell’estrazione.

— Strano — disse Lansing.

— Non è tanto strano — rispose Jurgens. — Qua e là, lungo il percorso, c’erano affioramenti di arenaria.

— Non li avevo notati.

— Bisogna guardare attentamente per vederli. Hanno lo stesso colore dell’argilla. Ho visto il primo per caso, e da allora ho continuato a cercarli.

L’area all’interno del muro crollato copriva forse un quinto di ettaro, poco di più. La rovina che stava al centro doveva essere stata, un tempo, una struttura con un’unica stanza. Il tetto era caduto e parte dei muri s’era sfasciata. C’era qualche coccio, sparso sul pavimento di terra battuta, e in un angolo Jurgens trovò una pentola di metallo, sporca e ammaccata.

— Un luogo di sosta per i viaggiatori — disse Sandra. — Un caravanserraglio.

— O un fortino — disse Jurgens.

— Un fortino? Per difendersi da che cosa? — chiese Lansing. — Qui non c’è niente.

— Forse un tempo c’era — disse il robot.

Davanti alle rovine trovarono le tracce di un vecchio bivacco, uno strato di cenere e pietre annerite dal fuoco disposte tutto intorno. Forse era servito per cucinare qualcosa. Accanto c’era un mucchio di legna.

— L’ultimo gruppo che è passato di qui — disse Jurgens — aveva raccolto più legna del necessario. Dovrebbe bastare per tutta la notte.

— E l’acqua? — chiese Lansing.

— Credo che ne abbiamo abbastanza — disse Mary. — Domani dovremo cercarla.

Lansing raggiunse il muro in rovina e si fermò a scrutare il paesaggio mostruosamente scolpito. Maleterre, pensò: era la parola che aveva cercato negli ultimi due giorni e che gli era sfuggita fino a quel momento. Nella zona occidentale del North e del South Dakota c’erano tratti come quello, e i primi esploratori (francesi, probabilmente, anche se non lo ricordava con certezza) li avevano chiamati maleterre, terre disagevoli da attraversare. Lì, chissà quanti anni prima, grandi masse d’acqua, probabilmente originate da piogge torrenziali, avevano eroso e sventrato la terra, trascinando via il suolo e lasciando poche aree di materiale più resistente che aveva contrastato le acque furiose e aveva assunto quelle forme distorte.

Lì in un passato lontano, la pista che stavano seguendo era stata, forse, un’arteria commerciale. Se Sandra aveva ragione, se i ruderi erano stati un caravanserraglio, quello era stato un luogo di sosta per le carovane che trasportavano carichi preziosi, forse alla città, forse dalla città. Ma se li avevano portati alla città, da dove provenivano le carovane? Dove si trovava il termine del percorso?

Mary lo raggiunse e si fermò accanto a lui. — Altri pensieri privi d’importanza?

— Stavo solo cercando di vedere nel passato. Se potessimo vedere nel passato, e sapere com’era questo posto qualche millennio addietro, forse comprenderemmo meglio ciò che sta accadendo adesso. Sandra pensa che fosse un luogo di sosta per i viaggiatori.

— Per noi lo è.

— Ma prima di noi? Proprio adesso immaginavo che forse passavano di qui le carovane, magari molti secoli fa. Per quella gente era un territorio conosciuto. Per noi è ignoto.

— Ce la caveremo — lo rassicurò Mary.

— Ci stiamo addentrando nell’ignoto, sempre di più. Non abbiamo idea di ciò che ci attende. Un giorno o l’altro esauriremo i viveri. E allora cosa faremo?

— Abbiamo ancora le provviste del reverendo e del generale. Passerà molto tempo prima che le consumiamo tutte. In questo momento, il problema è l’acqua. Domani dovremo cercarla.

— Prima o poi questo territorio desolato dovrà finire — disse Lansing. — E allora troveremo l’acqua. Torniamo accanto al fuoco.

La luna si levò presto; era piena o quasi piena e inondava le maleterre d’una luce spettrale. Al di là della pista si ergeva una mesa poderosa, ancora immersa nell’oscurità ma nettamente delineata dalla luna nascente.

Seduta accanto al fuoco, Sandra rabbrividì. — È una terra di favola — disse. — Ma una terra di favola maligna. Non avevo mai pensato che una terra di favola potesse avere un simile aspetto.

— Il tuo punto di vista — disse Lansing, — è condizionato dal mondo in cui vivevi.

Sandra scattò. — Non c’è niente di male nel mondo in cui vivevo. Era bellissimo, pieno di belle cose e di bella gente.

— È appunto quello che intendevo io. Non hai termini di paragone.

Le parole di Lansing furono sommerse da un lamento improvviso che sembrava provenire da un punto quasi sopra di loro.

Sandra balzò in piedi e urlò. Mary avanzò di un passo, l’afferrò per le spalle e la scosse.

— Taci! — le gridò. — Stai zitta!

— Ci ha seguiti! — urlò Sandra. — Ci sta pedinando!

— Lassù — disse Jurgens, indicando la mesa. L’ululato lamentoso s’era spento. Per un attimo vi fu silenzio.

— Lassù, sul ciglio — disse Jurgens, sottovoce.

Ed era là, la cosa che gemeva, una creatura mostruosa profilata contro il chiaro di luna, una sagoma nera contro il grande disco lunare.

Sembrava un lupo, ma era troppo grosso per essere un lupo: più massiccio e pesante, dava tuttavia la sensazione della potenza e dell’agilità che caratterizzano i lupi. Era una grande belva irsuta, ispida, e sembrava fosse affamata e cercasse disperatamente un po’ di cibo, e un rifugio per dormire, straziata da una sofferenza che la spingeva a gettare il suo lamento al mondo.

Sollevò la testa, puntò il muso verso il cielo, e gridò di nuovo. Questa volta non era un gemito, ma un ululato singhiozzante che dilagava tremando sopra la terra e fremeva fra le stelle.

Lansing fu scosso da un brivido diaccio e lottò per rimanere eretto, perché le ginocchia gli cedevano. Sandra era rannicchiata al suolo, e si copriva la testa con le braccia. Mary si chinò su di lei. Lansing sentì un braccio cingergli le spalle. Girò la testa e vide che Jurgens gli stava accanto.

— Sto benissimo — disse Lansing.

— Si, certo — disse Jurgens.

Il Lamentatore ululava e gemeva, latrava e ragliava la sua angoscia. Continuò così per un’eternità, o almeno parve; e poi, improvvisamente come aveva incominciato, tacque. La luna, salendo a oriente, mostrava soltanto il profilo levigato e gobbo della mesa.

Quella notte, quando i tre umani si furono infilati nei sacchi a pelo e Jurgens rimase di guardia, il Fiutatore uscì dalla notte e fiutò tutto intorno al cerchio illuminato dal fuoco del bivacco. Sdraiati nei sacchi a pelo, ascoltarono quel suono, imperturbati. Dopo il Lamentatore sulla cima della mesa, questo era un amico gradito venuto a far visita.

Il pomeriggio seguente uscirono dalle maleterre e giunsero in una valle verde che via via si allargò, e trovarono l’acqua in un fiumicello. Proseguirono il cammino lungo il piccolo fiume, e la valle si allargò ancora di più, e le maleterre si allontanarono, fino a quando ne rimasero soltanto due confuse linee bianche sull’orizzonte, a destra e a sinistra, e poi anche quelle sparirono completamente.

Poco prima del tramonto incontrarono un altro fiumicello, un po’ più largo, che scorreva da occidente, e sulla punta dove i due corsi d’acqua confluivano i viaggiatori trovarono una locanda.

XXII

Quando aprirono la porta, si trovarono in un grande stanzone, con un camino in fondo. Davanti al camino stava una tavola circondata da sedie. Due persone erano sedute, rivolte verso il fuoco, e voltavano le spalle ai nuovi arrivati. Una donnetta rotonda, con la faccia da luna piena, uscì di corsa dalla cucina, asciugandosi le mani sul grembiule a quadretti.