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— Abbiamo viaggiato verso qualcosa di conosciuto; ora proseguiremo verso l’ignoto. Ora che abbiamo raggiunto la torre, devieremo verso nord e andremo a dare un’occhiata al Caos.

Jorgenson lanciò uno sguardo interrogativo a Lansing, e Lansing annuì. — È quel che avevo in mente anch’io. Hai qualche commento da fare?

Jorgenson scrollò la testa, imbarazzato.

— Chissà — disse Melissa, — cosa può essere il Caos.

— Potrebbe essere qualunque cosa, in pratica — disse Lansing.

— È un nome che non mi piace.

— Vuoi dire che ti fa paura?

— Sì, ecco. Mi fa paura.

— La gente dà molti nomi diversi alla stessa cosa — disse Mary. — Caos potrebbe significare una cosa per noi, e una cosa completamente diversa per qualcun altro. Le diverse basi culturali portano a percezioni molto differenti.

— Ci stiamo aggrappando alle pagliuzze — disse Jorgenson. — Disperatamente, e senza neppure rendercene conto. Prima ci siamo aggrappati al cubo, poi alla città. Adesso ci sono la torre che canta e il Caos.

— Io credo ancora che il cubo fosse importante — disse Mary. — Ho ancora la sensazione, e non riesco a liberarmene, che abbiamo sbagliato tutto, con il cubo. Il generale era convinto che fosse la città, ma la città era troppo clamorosa, troppo fuorviante. Sarebbe stata una reazione naturale per chiunque, attendersi una soluzione dalla città. — Poi chiese a Jorgenson: — Voi non avete trovato nessuna spiegazione, là?

— Soltanto stanze vuote e polvere dappertutto. I quattro che si sono perduti, forse, avevano trovato una soluzione; e forse è per questo che non sono ritornati. Voi avete trovato qualcosa più di noi… le porte e l’installazione. Ma non vi hanno detto nulla; non avevano alcun valore.

— Non erano interamente prive di valore — disse Mary. — Ci hanno rivelato molte cose sugli abitanti della città. Un popolo portato alla scienza e alla tecnologia, molto sofisticato. E quello che abbiamo trovato indicava la strada che aveva percorso… per raggiungere altri mondi.

— Come noi siamo giunti in un altro mondo?

— Precisamente — disse Jurgens. — Con un’unica differenza… loro ci andarono perché lo volevano.

— E adesso hanno arraffato noi.

— Non possiamo esserne certi — disse Lansing. — Qualcuno, qualche entità, come hai detto, ci ha arraffati. Ma non sappiamo con certezza chi sia stato.

— Questa esperienza — disse Mary a Jorgenson, — non può esserti completamente estranea. Tu viaggiavi. Andavi volontariamente in altri mondi, viaggiando nel tempo.

— Ma ora non più — disse Jorgenson. — Ne ho perduto la capacità. Qui le mie procedure non servono.

— Forse se ti concentrassi, se ricordassi come facevi, il meccanismo che usavi. Quello che dicevi o che facevi, il tuo stato d’animo.

Jorgenson gridò: — Non credi che abbia tentato? Ho tentato di farlo, nella città.

— Sì, è vero — disse Melissa. — L’ho visto io.

— Se ci fossi riuscito — disse Jorgenson, — se solo ci fossi riuscito, avrei potuto tornare indietro nel tempo, nel periodo anteriore all’abbandono della città, quando c’erano ancora gli abitanti impegnati nell’opera che hanno tentato di realizzare.

— Sarebbe stato molto bello — disse Melissa. — Non capite? Sarebbe stato molto bello.

— Sì, ce ne rendiamo conto — disse Lansing.

— Tu non credi che io viaggiassi nel tempo — disse Jorgenson in tono di sfida.

— Non ho detto questo.

— No. Non l’hai detto. Non l’hai detto chiaramente.

— Stai a sentire — disse Lansing, — non cercare di attaccar briga. Abbiamo già abbastanza guai. Perché non tiriamo avanti senza scontri? Tu dici che viaggiavi nel tempo, e io non ti contraddico. Vogliamo chiudere così?

— Mi sta bene — disse Jorgenson. — Purché tenga la bocca chiusa.

Lansing non rispose.

— Abbiamo escluso gran parte di quello che abbiamo trovato, ormai — disse Mary. — Avevo la speranza che la torre potesse fornirci un’indicazione.

— Non ci ha fornito un bel niente — disse Jorgenson. — È come tutto il resto.

— Forse Sandra troverà qualcosa — disse Jurgens. — Sta assimilando la musica. Dopo un po’…

— Non è altro che una specie di tintinnio altalenante — disse Jorgenson. — Non riesco a capire che cosa possa trovarci.

— Sandra proviene da un mondo artistico — disse Mary. — Percepisce le qualità estetiche che in altri mondi sono sviluppate solo marginalmente. La musica…

— Se è musica.

— La musica potrebbe avere un significato, per lei — disse Mary, imperturbata dall’interruzione. — E forse, dopo un po’, si deciderà a dircelo.

XXIV

Ma Sandra non si decise a dirlo.

Mangiò pochissimo. Non si rifiutava di parlare, ma i suoi discorsi erano concisi e generici. Durante i primi due giorni, per quasi quarantotto ore, rimase ritta, tesa, ad ascoltare, senza prestare attenzione ai suoi compagni di viaggio, e neppure a se stessa.

— Stiamo sprecando tempo — protestò Jorgenson. — Dovremmo proseguire verso nord. Il Caos. Se ci troveremo il Caos, qualunque cosa sia, forse ci dirà qualcosa. Non possiamo restare arenati qui in eterno.

— Io non voglio andare a nord — strillò Melissa. — Ho paura del Caos.

— Sei dispettosa e nevrotica — disse Jorgenson. — Non sai neppure che cos’è, e ne hai paura.

— Con tutti questi discorsi non concluderemo nulla — disse Lansing. — È inutile litigare. Dobbiamo parlare, certamente, ma non strillare fra noi.

— Non possiamo andarcene e lasciare Sandra — disse Mary. — È stata con noi fin dall’inizio, e non intendo abbandonarla.

— Il nord non è l’unica direzione che possiamo prendere — disse Jurgens. — Ci è stato detto che là troveremo qualcosa chiamato Caos; ma se proseguissimo, potremmo trovare altre cose, più ad ovest. Alla prima locanda abbiamo sentito parlare del cubo e della città, e niente di più. Alla seconda, si è parlato della torre e del Caos. I locandieri non sono troppo prodighi d’informazioni. Abbiamo una mappa, ma non serve a nulla. Indica la strada dalla città alle maleterre, ma niente di più. Non mostra la seconda locanda, e neppure la torre.

— Forse — disse Lansing, — le mappe ci dicono tutto quello che sanno.

— Può darsi che sia così — ammise Jurgens. — Ma non possiamo fidarcene.

— Ben detto — commentò Jorgenson. — Dovremmo andare sia a ovest che a nord.

— Non voglio lasciare Sandra — disse Mary.

— Forse, se parlassimo con lei… — Propose Jorgenson.

— Ho tentato — disse Mary. — Le ho spiegato che non possiamo restare qui. Le ho detto che potremo ritornare, e che allora potrà ascoltare la torre. Ma non penso che mi abbia badato.

— Potresti restare con lei — disse Jorgenson. — E noi ci dividiamo. Due andaranno a ovest, due a nord. E vedremo cosa riusciremo a trovare. Accordiamoci per ritrovarci tutti qui, fra quattro o cinque giorni.

— Non credo che sia opportuno — protestò Lansing. — Non mi va di lasciare Mary qui sola. E anche se fossi disposto a farlo, ritengo che non dovremmo dividerci.

— Finora non c’è stato nessun pericolo. Nessuna vera minaccia di pericoli fisici — disse Jorgenson. — Andrà tutto bene. Lasciamo qui Mary, e compiamo una rapida esplorazione. Non ho molte speranze, ma c’è sempre la possibilità che troviamo qualcosa.

— Forse potremmo trasportare Sandra — suggerì Jurgens. — Se riusciremo ad allontanarla dalla musica, forse ridiventerà normale.

— Penso che potremmo farlo — disse Lansing. — Ma con ogni probabilità lei si opporrebbe. Non è padrona di sé. E anche se non si opponesse, se non dovessimo far altro che rimorchiarla, ci farebbe rallentare. È un territorio poco piacevole. Ci sono lunghi tratti privi d’acqua. Qui l’acqua c’è, ma l’ultima che avevamo trovato, prima, era a due giorni di marcia.