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Mary non c’era più, ma non era fuggita. Non era fuggita urlando nel deserto. Il suo zaino era scomparso. L’aveva preso e se n’era andata. Ma perché non aveva lasciato qualcosa, per dirgli dov’era andata? Magari un biglietto trattenuto da una pietra.

Lansing si alzò e cercò e non trovò nulla; e poi, per essere sicuro, cercò di nuovo e non trovò nulla anche questa volta.

Forse Mary era andata a nord, pensò per incontrare lui e Jurgens sulla via del ritorno. O forse era andata a ovest, sperando di trovare Jorgenson e Melissa, ma sembrava improbabile, perché non aveva avuto simpatia per quei due. O forse era tornata alla seconda locanda, e adesso era là ad attenderlo.

Prima le cose più importanti, si disse Lansing, sorpreso della propria calma. Innanzi tutto sarebbe ritornato all’inizio delle dune e avrebbe cercato, per vedere se fosse riuscito a trovare le tracce di Mary. Se era andata a nord, sicuramente aveva trovato le loro tracce e le aveva seguite; ma in questo caso l’avrebbe incontrata durante il tragitto di ritorno.

Comunque andò a cercare e non trovò altre tracce che le sue e quelle di Jurgens. Le esaminò attentamente, per accertarsi che non ve ne fossero alcune lasciate da una terza persona. Ma non c’erano. C’erano soltanto le loro orme che andavano a nord, e le sue, al ritorno. Nessun altro era passato di là.

Stava calando la notte quando tornò al campo. Per qualche tempo rimase in piedi a riflettere, cercando di pervenire a una decisione. Finalmente decise, e fu una decisione difficile. Ma, mentre cercava di dominare il rimorso, si disse che era l’unica cosa che poteva fare.

Era sfinito. Per quattro giorni aveva camminato, riposando e dormendo pochissimo. Doveva recuperare le forze. Non sarebbe stato d’aiuto a Mary o a se stesso se fosse ripartito immediatamente, stravolto dal sonno, confuso e intontito. L’indomani mattina forse sarebbero tornati Melissa e Jorgenson, e l’avrebbero aiutato nella ricerca. Ma questo, si disse, non era un fattore molto importante: non aveva una grande opinione di quei due, come non l’aveva avuta Mary. Non gli sarebbero stati di molta utilità.

Trovò un po’ di legna e accese il fuoco, fece bollire il caffè, mise a friggere il prosciutto, preparò qualche focaccia e aprì una lattina di salsa di mele… il primo pasto abbondante dopo diversi giorni.

Il pensiero di Mary non abbandonava mai la sua mente; ma si ostinava a credere che non le fosse accaduto nulla, che dovunque fosse doveva essere sana e salva. Cercò di scacciare dalla mente il terrore e la preoccupazione, ma ci riuscì solo in parte.

Si chiese che cosa poteva averla indotta ad andarsene. Qualunque fosse stata la ragione, doveva essere stata convincente, perché in circostanze normali sarebbe rimasta ad attendere il suo ritorno. Doveva aver avuto un motivo pressante per andare, e Lansing cercò di immaginare qualche possibilità. Ma era inutile, a volte terrificante; e subito dopo avere incominciato, Lansing cercò di non pensarci più.

E si chiese anche cosa doveva fare di Sandra. Doveva seppellirla, scavare una fossa e coprirla, e recitare qualche parola impacciata e inutile? Per qualche ragione che non riusciva a comprendere chiaramente, non gli sembrava giusto. Più ci pensava, e più gli pareva che fosse un sacrilegio disturbarla. Forse era meglio lasciarla dov’era, come una vittima sacrificale raggrinzita (e santificata?) ai piedi della torre che cantava. Era un pensiero che non aveva senso, e tuttavia pareva avere una sua logica involuta e demenziale. Che cosa avrebbe desiderato Sandra? si chiese, e non trovò una risposta. Non l’aveva conosciuta abbastanza per intuire che cosa avrebbe desiderato; ed era un peccato, si disse. Forse non aveva conosciuto abbastanza bene nessuno di loro, non li aveva capiti come avrebbe dovuto. Forse, si chiese, per conoscere bene una persona era necessaria tutta una vita?

Di sei che erano, quattro erano andati, e restavano soltanto lui e Mary. Adesso anche Mary se n’era andata, ma l’avrebbe ritrovata, si disse, l’avrebbe ritrovata.

Quando ebbe finito di mangiare, s’infilò nel sacco a pelo. Era quasi addormentato quando lo destò di colpo il singhiozzo del Lamentatore. Non era vicino; proveniva da una certa distanza, lungo la strada, ma era inconfondibile, nel silenzio della notte.

Si sollevò a sedere e l’ascoltò, ricordando la notte del primo giorno di marcia verso nord in compagnia di Jurgens, quando aveva creduto di sentire il lamento e l’aveva chiesto al robot, e il robot aveva risposto che non aveva sentito nulla.

Quando i lamenti cessarono, si sdraiò di nuovo, assestandosi nel sacco a pelo. Prima che si riaddormentasse, il Fiutatore venne ad aggirarsi intorno al bivacco. Lansing gli parlò sottovoce, e quello non rispose, sebbene continuasse a fiutare.

Prima che il suono cessasse, Lansing si addormentò.

XXVII

Al mattino presto, il secondo giorno dopo che Lansing s’era messo in marcia verso la locanda, il Lamentatore comparve. Era sulla cima di una collina parallela alla strada e, mentre Lansing camminava, il Lamentatore procedeva lentamente, passo passo. Quando, a volte, Lansing restava indietro, il Lamentatore si fermava e si sedeva, pesantemente, per attenderlo. Quando, una volta, Lansing si spinse un po’ più avanti, il Lamentatore allungò l’andatura, con scioltezza, e lo raggiunse.

Era sconcertante, a dir poco. Lansing fece del suo meglio per non tradire l’agitazione. Sebbene ogni tanto gli lanciasse un’occhiata di sbieco per sorvegliarlo, cercava di fingere d’ignorarlo. Dopo un po’, si diceva, avrebbe rinunciato a quel gioco e se ne sarebbe andato per i fatti suoi. Ma il Lamentatore non sembrava intenzionato a farlo.

Era una bestia poderosa, più simile a un lupo di quanto fosse apparsa quando l’avevano vista sulla cima della mesa, e aveva un’aria poco raccomandabile. Era un vagabondo, pensò Lansing. Finora non aveva fatto mosse ostili, ma questo non garantiva che non ne avrebbe fatte. Da un momento all’altro poteva scatenarsi come una furia. E se fosse andata così, nessuno poteva sperare di tenergli testa. Lansing slacciò il fodero del coltello per tenerlo pronto sottomano, ma non sperava che servisse a molto, se l’animale si fosse avventato alla carica.

Mary, pensò. Forse era quella bestia, la ragione che aveva indotto Mary a lasciare l’accampamento? L’aveva messa in fuga? E dov’era andata? Ma era andata in qualche posto? Oppure la belva, dopo aver giocato anche con lei, s’era decisa ad assalirla? Lansing si piegò, sopraffatto dalla nausea a quel pensiero.

Se Mary era fuggita per sottrarsi alla belva, senza dubbio s’era diretta verso la locanda, perché era l’unico posto che potesse assicurare una protezione. Dio voglia, pregò, Dio voglia che l’abbia raggiunta.

La belva si andava avvicinando, scendendo il fianco della collina verso di lui, e dimenava la coda (e un lupo, ricordò, non la dimena mai), e rideva aggricciando le labbra e mettendo in mostra la chiostra di denti. Per distanziarla, Lansing abbandonò la pista, tagliando obliquamente verso sud-est. Il Lamentatore attraversò la strada e lo seguì, procedendo parallelo a lui ma facendosi sempre più vicino. Lo spingeva verso sud-est, sempre di più.

Il gioco continuò per ore. Il sole raggiunse lo zenith e incominciò a declinare verso occidente. Più avanti, Lansing lo ricordava, scorreva il fiume che proveniva da ovest e si gettava nell’altro fiumicello, quello che avevano fiancheggiato attraversando le maleterre. Sulla punta, alla confluenza dei due corsi d’acqua, c’era la locanda. Non poteva permettere che la belva Io costringesse ad attraversare il fiume. Altrimenti non avrebbe raggiunto la locanda, e il Lamentatore avrebbe continuato a incalzarlo fino a che fosse crollato per lo sfinimento.