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— Sì, è molto strano. Sembra che tutto, qui, congiuri contro di noi.

— Cos’è successo a Jurgens? — chiese Melissa. — Mi era simpatico. Era molto caro.

Lansing raccontò, in fretta, poi chiese: — Cosa c’è a ovest? Avete trovato qualcosa?

— Non abbiamo trovato niente — rispose Jorgenson. — Siamo rimasti in giro un paio di giorni più del previsto, nella speranza di trovare qualcosa. È una zona arida, non proprio desertica, ma quasi. Abbiamo avuto difficoltà con l’acqua, ma ci siamo arrangiati.

— È un territorio vuoto — disse Melissa. — Potevi cercare per chilometri e chilometri e… niente.

— Poi siamo arrivati alla fine della scarpata che stavamo attraversando — disse Jorgenson. — Naturalmente non sapevamo che era una scarpata. A un certo punto il terreno si spezzava in una lunga linea di strapiombi, e là a quanto abbiamo potuto vedere, c’era il deserto. Un vero deserto: non c’era altro che sabbia. Si estendeva a perdita d’occhio ed era ancora più vuoto, se possibile, del territorio che avevamo attraversato. Così siamo tornati indietro.

— Il Caos a nord e niente a ovest — disse Lansing. — Resta il sud, ma non andrò a sud. Andrò alla città; credo che Mary sia là.

— Il sole sta per tramontare — disse Jorgenson. — Perché non ci accampiamo? Ripartiremo domattina. Decideremo quello che vogliamo fare e ripartiremo domattina.

— D’accordo — disse Lansing. — È inutile raggiungere la torre, dato che l’avete appena lasciata. Ditemi di Sandra. L’avete sepolta?

Melissa scrollò la testa. — Ne abbiamo parlato, ma non ci siamo decisi a farlo. Non sembrava giusto seppellirla. Abbiamo pensato che fosse meglio lasciarla dov’era. È poco più di una mummia. Credo che sia morta come avrebbe desiderato morire. Abbiamo concluso che era meglio lasciarla così.

Lansing annuì. — Anch’io ho pensato la stessa cosa. Mi sono persino chiesto se era morta davvero. Mentre la guardavo avevo la sensazione che se ne fosse andata, semplicemente. Che la sua vita, il suo spirito, fossero andati altrove, lasciando un guscio vuoto e inaridito.

— Credo che abbia ragione — disse Melissa. — Non so esprimermi bene, ma credo che tu abbia ragione. Era diversa da noi tutti; non è mai stata una di noi. Quello che sarebbe giusto per noi, per lei non lo sarebbe.

Accesero il fuoco, prepararono la cena e il caffè e mangiarono rannicchiati intorno al fuoco. Sorse la luna, le stelle spuntarono. La notte era solitaria.

Mentre teneva fra le mani la tazza del caffè e beveva un sorso ogni tanto, Lansing pensò al Caos e a Jurgens, soprattutto a Jurgens. Avrebbe potuto fare qualcosa, si chiese, per salvare il robot? C’era stato un modo, se lui fosse riuscito a pensare lucidamente e in fretta, per scendere il pendio sabbioso e afferrare il suo amico e trascinarlo in salvo? Non riusciva a immaginare come avrebbe potuto farlo. Eppure non poteva sottrarsi al rimorso che saliva a soffocarlo. Lui era là. Indubbiamente avrebbe potuto fare qualcosa. Aveva tentato, certo; s’era avventurato sul pendio infido, aveva cercato di salvarlo, ma non era bastato. Aveva tentato e aveva fallito, e quel fallimento spiegava il rimorso.

Dov’era Jurgens, adesso? Dov’era andato, dov’era finito? Lui, Lansing, non era neppure rimasto a vedere dov’era andato il suo amico. Era stato troppo indaffarato per cercare di salvarsi; ma anche così, avrebbe dovuto notare cosa era stato del robot. Sembrava, si disse cupamente, che il rimorso non avesse fine. Qualunque cosa facesse un uomo, c’era sempre il rimorso.

Con ogni probabilità Jurgens aveva continuato a scivolare, senza potersi fermare, fino a quando era arrivato al punto dove la nera cortina del Caos ruggente (qualunque cosa fosse il Caos) scendeva a toccare la sabbia. E cos’era accaduto allora? Cosa aveva detto Jurgens, poco prima di cadere? La fine di tutto. L’universo scompare. Divorato dalla tenebra. Jurgens ne aveva avuto la certezza? O l’aveva detto soltanto per dire? Era impossibile saperlo.

Era strano, pensò Lansing: i modi in cui si erano perduti. Il reverendo aveva varcato una porta. Il generale di brigata era stato afferrato (afferrato?) da due file di macchine che canticchiavano in sordina. Sandra era stata risucchiata da una torre che cantava. Jurgens era scivolato nel Caos. E Mary… Mary se n’era andata. Ma non era ancora perduta… almeno, a quanto ne sapeva lui, non era perduta come gli altri. Per Mary c’era ancora speranza.

Jorgenson chiese: — Lansing, che cos’hai? Mi sembri molto pensieroso.

— Stavo pensando — disse Lansing, — a quello che dovremmo fare domattina.

Non era ciò che aveva pensato, ma era l’unica cosa che poteva dire per rispondere a Jorgenson.

— Torneremo alla città, immagino — disse Jorgenson. — È quello che avevi proposto.

— Verrete con me? — chiese Lansing.

— Non voglio andare alla città — disse Melissa. — Ci sono stata una volta e…

— Non vuoi andare alla città e non vuoi andare a nord — disse Jorgenson. — Ci sono troppi posti dove rifiuti di andare. Se continui così, Gesù, me ne andrò per i fatti miei e ti lascerò sola. Non fai altro che lamentarti.

— Credo che potremmo risparmiare un po’ di tempo — disse Lansing, — tagliando attraverso la campagna.

— Come sarebbe a dire, attraverso la campagna?

— Ecco, guardate — disse Lansing. Posò la tazza e spianò con il palmo della mano un tratto di sabbia. Incominciò a tracciare una mappa con l’indice. Quando abbiamo lasciato la città, abbiamo seguito la pista delle maleterre. Eravamo diretti verso nord-nord-ovest. Poi, quando siamo partiti dalla locanda, abbiamo marciato direttamente a ovest, fino alla torre. A me sembra che debba esserci un percorso più diretto.

Aveva tracciato una linea che rappresentava la pista delle maleterre e un’altra, ad angolo retto, fra la locanda e la torre. Ne tracciò una terza che collegava la torre alla città. — Se procedessimo così, la distanza sarebbe inferiore. È un triangolo, vedete? Anziché percorrere due lati, ne percorreremmo uno solo. Dirigiamoci verso sud-est.

— Ci troveremmo in un territorio sconosciuto — protestò Jorgenson. — Senza una strada da seguire. Ci perderemmo nelle maleterre. Ci smarriremmo sicuramente.

— Potremmo orientarci con la bussola. Forse eviteremmo le maleterre. Può darsi che non si estendano molto lontano, verso ovest. E sarebbe un percorso molto più breve.

— Non lo so — disse Jorgenson.

— Lo so io. Ed è quello che farò. Verrete con me?

Jorgenson esitò per un lungo momento, poi disse: — Sì, verremo con te.

Partirono allo spuntar dell’alba. Dopo circa un’ora, attraversarono il fiume che scorreva verso est e che, qualche chilomentro più oltre passava accanto alla locanda. L’attraversarono a un guado poco profondo, bagnandosi appena.

Il territorio incominciò a cambiare. Saliva dal fiume in un pendio dolce, segnato da lunghi dossi uno più elevato dell’altro. Il suolo divenne meno arido. C’era meno sabbia e più erba. Incominciarono ad apparire gli alberi e, via via che salivano ogni dosso, gli alberi diventavano sempre più numerosi e più imponenti. In alcune delle vallette che separavano le creste scorrevano ruscelletti d’acqua limpida e scintillante che mormorava sui sassi.

Verso la fine della giornata giunsero in cima a un dosso considerevolmente più alto di quelli che avevano superato e scorsero, distesa ai loro piedi, una valle più ampia e più lussureggiante… una valle verde, con moltissimi alberi e un fiume di dimensioni rispettabili. Non molto lontano, verso ovest, salivano nell’aria esili spire di fumo.

— C’è gente — disse Jorgenson. — Dev’esserci gente.

Si mosse per proseguire, ma Lansing tese la mano e lo trattenne.

— Cosa c’è — chiese Jorgenson.

— Non è il caso di precipitarsi.