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— È sorprendente — disse Lansing, — un assortimento di gente tanto diversa. Almeno, credo che sia diversa.

— Sì, lo è davvero — disse Correy. — Nell’altra vita, facevo parte del corpo diplomatico. Tra gli altri abbiamo un geologo, un agricoltore che dirigeva una tenuta di migliaia di ettari, un contabile pubblico, un’attrice nota e un tempo viziata, una donna che era un’eminente studiosa di storia, un’assistente sociale, un banchiere. E potrei continuare per un pezzo.

— In tutto il tempo che avete avuto a disposizione per pensarci, siete pervenuti a qualche conclusione circa il motivo per il quale siamo stati portati tutti qui?

— No, non proprio. Ci sono molte ipotesi, come puoi immaginare, ma niente di concreto. Certuni sono convinti di saperlo, ma sono sicuro che non lo sappiano. Ci sono quelli, devi capire, che trovano una certa stabilità convincendosi di aver ragione anche a proposito delle teorie più fantastiche. Così hanno qualcosa cui aggrapparsi, la certezza di sapere cosa sta succedendo mentre tutti gli altri brancolano nel buio.

— E tu?

— Io sono uno di quelli che, per loro disgrazia, riescono a vedere i vari aspetti d’una questione. Come diplomatico, era necessario che lo facessi. Mi sento in dovere d’essere rigorosamente sincero con me stesso: non posso permettermi d’illudermi.

— Quindi non hai una convinzione precisa?

— Neppure una. Per me è tutto un mistero come il giorno in cui sono arrivato.

— Cosa sai del territorio che attraverseremo per raggiungere la città? E delle maleterre?

— È una zona accidentata e collinosa — disse Correy. — Almeno, fino dove ci siamo avventurati noi. È quasi tutta foresta. Ma il cammino non è faticoso. Non so niente delle maleterre. Non le abbiamo mai viste. Debbono trovarsi più a est.

— E vi accontentate di stare qui? Non vi siete mai spinti più lontano? Non avete cercato?

— Non è che siamo contenti — disse Correy. — Ma cosa possiamo fare? Alcuni di noi sono andati a nord, fino al Caos. Ci sei stato?

— Sì. E ho perduto un buon amico.

— Il nord è chiuso dal Caos — disse Correy. — È impossibile passare. Non so che cosa sia, ma blocca la strada. Per centocinquanta chilometri o più, oltre la torre, non c’è altro che un deserto terribile. A sud, fin dove ci siamo spinti, non c’è nulla di promettente. Dunque, ora tu ritorni alla città, sperando di trovare qualcosa che prima ti era sfuggito.

— No — disse Lansing. — Vado a cercare Mary. Devo ritrovarla. Io e lei siamo gli unici rimasti del nostro gruppo. Gli altri quattro li abbiamo perduti.

— E i due che sono con te?

— All’inizio non erano con noi. Facevano parte di un gruppo diverso. Li abbiamo incontrati alla locanda.

— Sembrano due tipi simpatici — disse Correy. — Eccoli, stanno arrivando.

Lansing alzò la testa e vide Jorgenson e Melissa che si avvicinavano, girando intorno al fuoco. Jorgenson si accosciò davanti a lui. Melissa rimase in piedi. — Io e Melissa vogliamo dirti una cosa — annunciò Jorgenson. — Ci dispiace, ma non proseguiremo con te. Abbiamo deciso di restare.

XXIX

Era meglio così, si disse Lansing. Da solo avrebbe potuto viaggiare più facilmente e rapidamente. Dalla mattina aveva percorso parecchia strada… molto più, ne era sicuro, che se avesse avuto con lui gli altri due. E soprattutto, non aveva nessuna simpatia per loro. Melissa era una piagnucolona, e Jorgenson un maleducato.

Se c’era qualcuno che gli dispiaceva aver lasciato, quello era Correy. Sebbene avesse trascorso soltanto poche ore in sua compagnia, l’aveva trovato simpatico. Gli aveva dato un po’ più della metà delle monete che gli rimanevano e gli aveva stretto la mano. Quando aveva accettato il dono, Correy s’era mostrato molto cortese, e l’aveva ringraziato a nome dell’intero gruppo.

— Amministrerò questa ricchezza inaspettata nell’interesse comune — aveva detto. — Immagino che tutti vorranno ringraziarti.

— Lascia stare — aveva risposto Lansing. — Forse io e Mary torneremo qui.

— Vi terremo un posto accanto al fuoco — aveva detto Correy. — Ma spero sinceramente che non dobbiate tornare. La vita, qui, non è molto piacevole. Forse troverete una via d’uscita. Alcuni devono trovarla. Vi auguro che voi ci riusciate.

Fino al momento in cui ne aveva parlato Correy, Lansing non aveva pensato che restasse qualche speranza di uscire da quella situazione. Era una speranza cui aveva rinunciato ormai da molto tempo. Aveva sperato soltanto di ritrovare Mary per poter affrontare con lei ciò che li attendeva.

Ci pensò, mentre camminava. Correy, lo sapeva, aveva parlato con un ottimismo che non provava realmente, ma l’interrogativo restava immutato… poteva esserci ancora una speranza? La logica diceva che era una speranza molto esile, e Lansing era irritato con se stesso perché continuava ad aggrapparsi. Eppure, mentre procedeva tutto solo, la percepiva ancora nel profondo del suo essere, come un minuscolo barlume.

Il cammino era relativamente agevole. Le colline erano scoscese, ma la foresta non era fitta. L’acqua non costituiva un problema. Incontrava spesso torrentelli e rigagnoli che scendevano dalle alture.

Verso sera arrivò alle maleterre. Non erano, tuttavia, l’incubo colorato che il suo gruppo aveva attraversato dopo aver lasciato la città. Queste erano maleterre circoscritte, e si erano arrestate prima di spingersi molto lontano. Lì l’azione delle acque primordiali non aveva portato a termine la sua opera. Le piogge erano cessate e l’erosione massiccia s’era interrotta prima di creare maleterre troppo ampie. C’erano piccole piane alluvionali, alcuni canaloni profondi, fantastiche formazioni scolpite ma incompiute, come se uno scultore avesse gettato via mazzuolo e scalpello, vinto dalla frustrazione e dal disgusto, prima che il suo lavoro fosse ultimato.

— Domani — disse Lansing a se stesso, parlando a voce alta, — domani raggiungerò la città.

La raggiunse l’indomani, immediatamente dopo mezzogiorno. Si soffermò su una delle alte colline che la cingevano e la scrutò. Laggiù, pensò, Mary lo stava aspettando, forse; e a quel pensiero si sentì tremare.

Scese in fretta e trovò una via che conduceva nel cuore della città. Tutto aveva il vecchio aspetto familiare… i muri rossi ed erosi, i blocchi caduti che ostruivano parzialmente la strada, la polvere che copriva ogni cosa.

Sulla piazza si fermò e si guardò intorno per orientarsi. Adesso sapeva dove si trovava. Laggiù, a sinistra, c’era la facciata malconcia del cosiddetto palazzo amministrativo, con l’unica torre ancora in piedi, e lungo una delle vie che lo raggiungevano avrebbe trovato l’installazione.

Dal centro della piazza chiamò Mary, ma non ebbe risposta. La chiamò qualche volta ancora e poi non più, perché l’eco ossessivo della sua voce era terrificante.

Attraversò la piazza, dirigendosi verso l’edificio dell’amministrazione, salì l’ampia scalinata per raggiungere l’atrio dove s’erano accampati. I suoi passi destavano echi rimbombanti, simili a voci querule che lo chiamassero. Si aggirò nell’atrio e trovò i segni della loro sosta, un paio di barattoli vuoti, una scatola di crackers egualmente vuota, una tazza dimenticata da qualcuno. Avrebbe voluto scendere nel sotterraneo a guardare le porte, ma non osava. Più volte si mosse per andare, e ogni volta tornò sui suoi passi. Di che cosa aveva paura? si chiese… Paura di scoprire che una di quelle porte era stata aperta? Forse quella che conduceva al mondo dei meli in fiore? No, si disse… no, no, Mary non l’avrebbe mai fatto. Non l’avrebbe fatto, per ora; forse più tardi, quando avesse perduto completamente la speranza di trovarlo, e tutte le altre speranze, ma non ora. Forse, pensò, sarebbe stato impossibile per chiunque. Il generale di brigata aveva portato via la chiave inglese, probabilmente l’aveva nascosta chissà dove. Aveva giurato che nessuno avrebbe più aperto una di quelle porte.