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XXX

Erano in una sala enorme, piena di luce azzurra. C’erano molti arazzi appesi alle pareti, e tra gli arazzi c’erano le finestre… i tratti di parete non mascherati. Sparsi qua e là c’erano gruppi di mobili. In un cestello imbottito, vicino alla porta, dormiva una bestiola raggomitolata. Sembrava un gatto ma non era un gatto.

— Edward — disse sottovoce Mary, — le finestre guardano sul mondo che abbiamo appena lasciato. Può darsi che ci fosse qualcuno, qui dentro, a osservarci… adesso e l’altra volta che siamo stati qui.

— Come un finto specchio — disse Lansing. — Un visitatore non può vedere niente, ma può essere visto dall’interno.

— Non è uno specchio — disse Mary.

— No, non lo è, naturalmente, ma il principio è lo stesso.

— Se ne stavano qui tranquilli — disse Mary, — a ridere di noi mentre cercavamo di entrare.

La stanza sembrava vuota. Poi Lansing li vide. Seduti in fila, su un grande divano in fondo, c’erano i quattro giocatori di carte; stavano seduti e attendevano, e li fissavano con quelle facce bianche simili a teschi.

Lansing toccò Mary e le indicò i giocatori. Quando lei li vide, indietreggiò rabbrividendo.

— Sono orribili — disse. — Non gli sfuggiremo mai?

— Hanno l’abitudine di ricomparire — disse Lansing.

Gli arazzi, notò, non erano arazzi normali. Si muovevano… o meglio, si muovevano le scene che vi erano raffigurate. Un ruscello scintillava al sole, e le increspature e i piccoli vortici formati dall’acqua che scendeva un pendio sassoso erano increspature e vortici veri, non dipinti. I rami degli alberi che crescevano lungo il ruscello stormivano nel vento, e gli uccellini svolazzavano qua e là. Un coniglio si acquattò per mangiucchiare un ciuffo di trifoglio, poi saltellò un po’ più lontano e riprese a mangiare.

In un altro arazzo alcune fanciulle abbigliate di veli trasparenti danzavano agilmente in una radura al suono del flauto di un fauno che danzava a sua volta, con più energia anche se con minor grazia, battendo ritmicamente gli zoccoli sulle zolle. Gli alberi che circondavano la radura, giganteschi e nodosi, ondeggiavano al suono della musica, danzavano anch’essi al suono del flauto.

— Tanto vale — disse Mary, — che attraversiamo la sala per vedere che cosa vogliono da noi.

— Se ci parleranno — disse Lansing. — Può darsi che si accontentino di guardarci.

Si avviarono. Era un distanza notevole e inquietante da percorrere, mentre i giocatori di carte li fissavano senza che un muscolo si muovesse sulle loro facce. Forse erano uomini (se erano uomini) che non potevano schiudere le labbra in un sorriso, non potevano ridere, non potevano essere umani.

Stavano seduti immobili, in fila sul divano, con le mani posate fermamente sulle ginocchia, e niente, nella loro espressione, indicava che vedessero qualcosa.

Erano così simili, come quattro piselli in un unico baccello, che Lansing aveva la sensazione che fossero, non quattro, ma un’unica entità. Non conosceva i loro nomi. Non aveva mai sentito i loro nomi. Forse non avevano neppure un nome. Per distinguerli l’uno dall’altro, assegnò loro identità arbitrarie. Incominciando da sinistra, li avrebbe chiamati A, B, C e D.

Risolutamente, Lansing e Mary attraversarono l’intera sala. Si fermarono a meno di due metri dai giocatori. Si fermarono e attesero. Per i giocatori di carte era come se loro non ci fossero.

Mi venga un accidente se sarò io il primo a parlare, si disse Lansing. Resterò qui fino a quando parleranno loro. Li costringerò a parlare.

Cinse con un braccio le spalle di Mary e la strinse a sé. Rimasero così, fianco a fianco, di fronte ai giocatori silenziosi.

Finalmente A parlò, muovendo appena appena lo squarcio sottile della bocca, come se fosse uno sforzo pronunciare le parole.

— Dunque — disse, — avete risolto il problema.

— Questa è una sorpresa — disse Mary. — Non sapevano di averlo risolto.

— Avremmo potuto risolverlo prima — disse Lansing, — se avessimo saputo di quale problema si trattava. O che c’era un problema. Ora, poiché dite che l’abbiamo risolto, che cosa succederà? Possiamo andare a casa?

— Nessuno lo risolve mai la prima volta — disse B. — Devono sempre ritornare.

— Non avete risposto alla mia domanda — insistette Lansing. — Adesso che cosa succede? Ce ne andiamo a casa?

— Oh, no — disse D. — No, non andrete a casa. Non possiamo lasciarvi andare.

— Dovete capire — disse C, — che riusciamo a ottenerne pochi, di quelli come voi. Da certi gruppi possiamo averne uno, quasi mai due come è accaduto con voi; quasi sempre non ne otteniamo nessuno.

— Se ne vanno brancolando in tutte le direzioni — disse A. — Scappano, cercano rifugio nel mondo dei meli fioriti, o si lasciano incantare dai translatori, oppure…

— I translatori — l’interruppe Mary, — sarebbero le macchine che canticchiano nella città?

— Noi li chiamiamo così — disse B. — Forse voi potete proporre un nome più adatto.

— Non ci penso nemmeno — disse Mary.

— C’è il Caos — disse Lansing. — Deve ingoiarne parecchi. Eppure, al Caos, voi mi avete lanciato una corda.

— Ti abbiamo lanciato la corda — disse A, — perché hai tentato di salvare il robot. A rischio della tua vita, senza esitare, hai tentato di salvarlo.

— Pensavo che lo meritasse. Era mio amico.

— Forse meritava di essere salvato — disse A, — ma ha commesso un errore di giudizio. Qui non abbiamo posto per chi commette errori di giudizio.

— Non so dove diavolo vogliate arrivare — disse Lansing, irosamente. — Non mi piace quella vostra aria di superiorità. Non mi piacete per niente, voi quattro, e non mi siete mai piaciuti.

— In questo modo — disse D, — non approderemo a niente. Ti riconosco il diritto all’animosità nei nostri confronti. Ma non possiamo permettere che queste beghe meschine ci distolgano dalla necessità di parlare tra noi.

— Un’altra cosa — disse Lansing. — Se la discussione deve prolungarsi, non abbiamo intenzione di restare in piedi davanti a voi come supplici davanti a un trono. Potreste avere almeno la gentilezza di farci sedere.

— Ma certo, sedete — disse A. — Portate qui un paio di sedie e mettetevi comodi.

Lansing andò in un angolo della sala e portò due sedie. Sedettero.

La bestiola che dormiva nel cestello si avvicinò, fiutando. Si strusciò affettuosamente contro le gambe di Mary e si sdraiò ai suoi piedi, levò il muso e la guardò con gli occhi liquidi, amichevoli.

— E questo è il Fiutatore? — chiese lei. — Girava intorno ai nostri bivacchi, ma non siamo mai riusciti a vederlo.

— È il nostro fiutatore — disse C. — Ce ne sono diversi. Questo era assegnato a voi.

— Il Fiutatore ci sorvegliava?

— Sì, vi sorvegliava.

— E riferiva?

— Naturalmente — disse C.

— Ci avete spiati minuto per minuto — disse Lansing. — Non vi siete persi una mossa. Sapevate tutto quello che facevamo. Ci leggevate come libri aperti. Vi dispiacerebbe dirmi come stanno le cose?

— Volentieri — disse A. — Vi siete guadagnati il diritto di sapere. Venendo qui, vi siete guadagnati il diritto di sapere.

— Se siete disposti ad ascoltarci — disse B, — cercheremo di spiegarvelo.

— Stiamo ascoltando — disse Mary.

— Voi sapete, naturalmente — disse A, — che esiste una molteplicità di mondi, mondi che si scindono nei punti critici e formano altri mondi. E immagino che conosciate il processo evolutivo.

— Sappiamo cos’è l’evoluzione — disse Mary. — Un sistema che rende possibile la selezione del più adatto.