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A parte la branda, c’erano solo altri tre pezzi di mobilio, tuttavia le lasciavano poco spazio per muoversi. Ruppe il ghiaccio nella brocca striata di giallo sopra il lavabo col suo pugnale, riempì la bacinella sbeccata e incanalò per riscaldare l’acqua finché non si levarono dei fili di vapore. Le era consentito incanalare per quello. Quello e nient’altro. In maniera meccanica, si lavò i denti sfregandoseli con sale e soda, poi prese una sottoveste pulita e delle calze dalla piccola cassapanca di legno ai piedi della branda. Lasciò dentro il suo anello, riposto sotto tutto il resto in un borsellino di velluto. Un altro ordine. Tutte le sue cose erano qui, tranne la sua scrivania portatile. Per fortuna, quella era andata perduta quando era stata presa. I suoi vestiti erano su un appendiabiti, l’ultimo pezzo di mobilio della stanza. Scegliendone uno senza guardarlo davvero, se lo mise addosso in modo meccanico, poi si pettinò e si spazzolò i capelli. La spazzola col manico d’avorio rallentò quando si vide davvero nello scadente specchio pieno di bolle del lavabo. Respirando in modo irregolare, appoggiò la spazzola accanto al pettine. L’abito che aveva scelto era di lana finemente intessuta, di un rosso tanto scuro e disadorno da sembrare quasi nero. Nero, come la giubba di un Asha’man. La sua immagine distorta la fissava a sua volta, contorcendo le labbra. Cambiarsi sarebbe stata una sorta di resa. Con fare determinato, afferrò il suo mantello bordato di martora dall’appendiabiti. Quando scostò il lembo di tela che fungeva da porta, all’incirca venti sorelle occupavano già il lungo corridoio centrale fiancheggiato da stanze di tela. Qua e là c’erano alcune che parlavano sussurrando, ma il resto evitava gli occhi delle altre, anche quando appartenevano alla stessa Ajah. Molte mostravano paura, ma era la vergogna che ricopriva la maggior parte dei volti. Akoure, una corpulenta Grigia, stava fissando la mano su cui di norma indossava l’anello. Desandre, una Gialla slanciata, nascondeva la sua mano destra sotto l’ascella.

Le sommesse conversazioni si smorzarono quando apparve Toveine. Diverse donne le rivolsero uno sguardo apertamente ostile. Incluse Jenare e Lemai, della sua stessa Ajah! Desandre si riprese abbastanza da voltarle le spalle con freddezza. Nel giro di due giorni, cinquantuno Aes Sedai erano cadute prigioniere di quei mostri in giubba nera, e cinquanta di loro incolpavano Toveine Gazai come se Elaida a’Roihan non avesse alcuna parte nel disastro. Se non fosse stato per l’intervento di Logain, avrebbero ottenuto vendetta la loro prima notte lì. Non aveva apprezzato che lui vi avesse messo un freno, costringendo Carniele a Guarire le sferzate delle cinture, i lividi di pugni e calci. Avrebbe preferito che percuotessero lei a morte, piuttosto che essere in debito con lui.

Mettendosi il mantello sulle spalle, camminò con orgoglio lungo il corridoio, fuori nella pallida luce del mattino che si adattava al suo umore stremato. Dietro di lei, qualcuna gridò parole acide prima che le porte si richiudessero. Le sue mani tremavano mentre si tirava su il cappuccio, rannicchiandosi nella scura pelliccia attorno al volto. Nessuno che tiranneggiasse Toveine Gazai la passava liscia. Perfino comare Doweel, che l’aveva ridotta a una parvenza di sottomissione nel corso degli anni, l’aveva imparato quando il suo esilio era terminato. Gliel’avrebbe fatta vedere. Gliel’avrebbe fatta vedere a tutte!

Il dormitorio che condivideva con le altre si trovava alla periferia di un grosso villaggio, per quanto molto singolare. Un villaggio di Asha’man. Altrove, così le era stato detto, il terreno era delimitato per strutture che essi affermavano che avrebbero fatto sembrare insignificante la Torre Bianca, ma era in edifici del genere che molti di loro vivevano ora. Cinque grosse, robuste caserme di pietra, disposte ad ampi intervalli come i fabbricati di Tar Valon, potevano contenere un centinaio di soldati Asha’man ciascuna. Non erano ancora piene, grazie alla Luce, ma delle impalcature coperte di neve attorno alle spesse mura di altre due attendevano l’arrivo di operai, quasi pronte per essere ricoperte con un tetto di paglia. Quasi una dozzina di strutture di pietra più piccole era fatta per contenere dieci Dedicati ciascuna, e anche un’altra di quelle era in costruzione. Sparse attorno a esse si ergevano quasi duecento case simili a quelle di qualunque villaggio, dove vivevano alcuni degli uomini sposati e le famiglie di altri che non erano abbastanza avanti con l’allenamento. Gli uomini che potevano incanalare non la spaventavano. Una volta aveva ceduto al panico per un istante, certo, ma non era questo il punto. Cinquecento uomini che potevano incanalare, comunque, erano come un ossicino incuneato fra i denti che non riusciva a togliere. Cinquecento! E potevano Viaggiare, alcuni di loro almeno. Un ossicino affilato. Inoltre, aveva percorso un miglio o più attraverso il bosco, fino al muro. Quello la spaventava, ciò che significava. Non era completo in alcun punto, non era più alto di dodici o quindici piedi da nessuna parte, né era ancora cominciata la costruzione delle torri o dei bastioni. In alcuni punti, avrebbe potuto arrampicarsi sulle pile di pietra nera, se non fosse stato per i suoi ordini di non tentare di fuggire. Quella cosa correva per otto miglia, però, e credeva a Logain quando diceva che era stata iniziata meno di tre mesi prima. Quell’uomo l’aveva in suo potere tanto saldamente da non preoccuparsi di mentire. Lui chiamava il muro uno spreco di tempo e di risorse, e forse lo era, ma questo le faceva battere i denti. Solo tre mesi. Costruito usando il Potere. La metà maschile del Potere. Quando pensava a quel muro nero, vedeva una forza implacabile che non poteva essere fermata, una valanga di pietra nera che scivolava per seppellire la Torre Bianca. Impossibile, ovviamente. Impossibile, ma quando non sognava di strangolare Elaida, sognava quello. C’era stata una nevicata durante la notte, e una pesante coltre bianca ricopriva ogni tetto, ma non dovette avanzare con prudenza lungo le ampie strade. La terra battuta era stata ripulita, una delle incombenze degli uomini in addestramento prima che sorgesse il sole. Usavano il Potere per tutto, dal riempire i contenitori di legna al pulirsi gli abiti! Uomini vestiti di nero si affrettavano su e giù per le strade, e molti si stavano radunando in file di fronte alle loro caserme mentre altri facevano l’appello a gran voce. Donne infagottate per il freddo camminavano attorno, portando placidamente canestri al magazzino del furiere o secchi d’acqua alla fontana più vicina, anche se come potessero rimanere, sapendo quello che i loro mariti erano, andava oltre la comprensione di Taverne. Ancora più bizzarro, dei bambini scorrazzavano su e giù per le strade, attorno ai ranghi di uomini che potevano incanalare, urlando e ridendo, facendo rotolare cerchi, tirandosi palle dipinte, giocando con bambole o cani. Un briciolo di normalità che inaspriva il malvagio fetore del resto. Davanti a lei, un gruppo a cavallo stava procedendo al passo su per la strada. Nel breve tempo che era stata lì — un tempo infinito — non aveva visto nessuno cavalcare nel villaggio, eccetto operai su carri o calessi. Né alcun visitatore, cosa che questi dovevano ovviamente essere. Cinque uomini in nero stavano scortando una dozzina in giubbe rosse e mantelli delle guardie della regina, con alla testa due donne dai capelli biondi, una avvolta in un mantello rosso e bianco bordato di pelliccia nera e l’altra... Le sopracciglia di Toveine si sollevarono. L’altra indossava verdi pantaloni Kandori e una giubba confezionata come se fosse del capitano generale delle guardie. Il suo mantello rosso aveva perfino i nodi del grado sulla spalla! Forse si sbagliava sugli uomini. Quella non l’avrebbe passata liscia se avesse incontrato delle vere guardie. In ogni caso, era stranamente presto per le visite. Ogni volta che lo strano gruppo raggiungeva una delle formazioni, l’uomo lì di fronte urlava «Asha’man, a-t-tenti!» e i tacchi dei suoi stivali percuotevano la terra battuta mentre gli altri al segnale si irrigidivano come pilastri di pietra.