Tirandosi più su il cappuccio per nascondere meglio il volto, Toveine si spostò a lato dell’ampia strada, proprio accanto all’angolo di una delle piccole caserme di pietra. Ne uscì un uomo anziano con la barba biforcuta, una spilla d’argento a forma di spada sul suo alto colletto, che la osservò con aria curiosa senza rallentare la sua andatura.
Ciò che lei aveva fatto la colpì come una secchiata d’acqua gelida fino a farla quasi piangere. Nessuno di quegli stranieri avrebbe notato la faccia di una Aes Sedai, sempre che potessero riconoscerla. Se una di quelle donne poteva incanalare, per quanto fosse improbabile, non era passata abbastanza vicino da capire che anche Toveine poteva farlo. Fremeva e si crucciava su come disobbedire a Logain, e poi faceva tutto ciò che serviva per eseguire le sue istruzioni senza nemmeno pensarci!
Come atto di sfida, si fermò dove si trovava, voltandosi per osservare i visitatori. In maniera automatica, le mani controllarono il cappuccio prima che potesse portarle ai fianchi. Era pietoso e ridicolo. Conosceva l’Asha’man che guidava il gruppo, almeno di vista, un uomo corpulento di mezz’età con capelli neri unti, un sorriso viscido e occhi rapaci. Ma non conosceva nessun altro. Cosa poteva sperare di ottenere con questo? Come poteva affidare un messaggio a chiunque di loro? Perfino se la scorta fosse svanita, come poteva avvicinarsi abbastanza da passare un messaggio quando le era proibito rivelare la presenza di Aes Sedai agli estranei?
Il tizio dagli occhi rapaci sembrava annoiato dalla sua mansione di questa mattina, e si preoccupava a malapena di nascondere i suoi sbadigli dietro una mano guantata. «...Quando avremo finito qui,» stava dicendo mentre passava davanti a Toveine «vi mostrerò il Quartiere dei Mestieri. Decisamente più grande di questo. Abbiamo ogni tipo di artigiani: muratori, carpentieri, fabbri e sarti. Possiamo fare ogni cosa di cui abbiamo bisogno, lady Elayne.»
«Tranne le rape» disse una delle donne ad alta voce, e l’altra rise. Toveine sussultò. Osservò i cavalieri muoversi lungo la strada accompagnati dallo sbraitare degli ordini e dal ritmo del passo. Lady Elayne Trakand? La più giovane delle due poteva corrispondere alla descrizione che le era stata data. Elaida non aveva rivelato perché disperasse tanto dal mettere le mani su un’Ammessa fuggitiva, perfino una che poteva diventare regina ma non permetteva mai che una Sorella lasciasse la Torre senza ordini su cosa fare nel caso in cui l’avesse incontrata. Sta’ molto attenta, Elayne, pensò Toveine. Non mi piacerebbe che Elaida avesse la soddisfazione di mettere le mani su di te.
Voleva pensare a questo, alla possibilità che ci fosse qualche modo per servirsi della presenza della ragazza qui, ma all’improvviso fu consapevole delle sensazioni nei recessi della sua mente. Un moderato appagamento e un crescente proposito. Logain aveva terminato di far colazione. Sarebbe uscito presto. Le aveva detto di essere lì, per allora.
Prima che potesse rifletterci i suoi piedi stavano già correndo. Col risultato che le gonne le si impigliarono nelle gambe e lei cadde duramente a terra, restando senza fiato. Rabbia e furia montavano dentro di lei, ma si rialzò in piedi e, senza fermarsi a togliersi di dosso la polvere, raccolse le sue gonne fino alle ginocchia e riprese a correre, col mantello che le si gonfiava dietro. Le grida roche degli uomini la seguivano lungo la strada, e bambini ridevano e la indicavano mentre lei li superava correndo. All’improvviso un branco di cani le fu attorno, ringhiando e cercando di morderle le caviglie. Lei saltò, roteò e scalciò, ma quelli la incalzavano. Voleva strillare dalla frustrazione e dalla furia. I cani erano sempre una seccatura e lei non poteva incanalare nemmeno una piuma per cacciarli via. Un segugio grigio strappò con un morso un pezzo della sua gonna, strattonandola di lato. Il panico ebbe la meglio su tutto il resto. Se fosse caduta di nuovo, l’avrebbero sbranata.
Una donna urlante vestita di lana marrone vibrò il suo pesante canestro contro il cane che stava strattonando la gonna di Toveine, costringendolo a scansarlo. Il secchio di una donna rotonda colpì un cagnaccio striato nelle costole e quello corse via uggiolando. Toveine rimase a bocca aperta dalla sorpresa e, per la sua disattenzione, dovette ritrarre la gamba sinistra da un altro cane al costo di un pezzo di calza e un po’ di pelle. Tutt’attorno a lei c’erano donne che percuotevano gli animali con qualunque cosa avessero in mano.
«Vai pure, Aes Sedai» le disse una scarna donna dai capelli ingrigiti, sferzando un cane a macchie con uno scudiscio. «Non ti importuneranno più. A me piacerebbe un bel gatto, ma i gatti ora non tollerano mio marito. Vai.»
Toveine non attese di ringraziare le sue salvatrici. Corse, riflettendo furiosamente. Le donne sapevano. Se sapeva una, lo sapevano tutte. Ma non avrebbero portato alcun messaggio, non le avrebbero fornito alcun aiuto per fuggire, non quando loro stesse erano disposte a rimanere. Non se capivano cosa stavano aiutando. Era quello il motivo. Poco lontano dalla casa di Logain, una delle tante lungo una stretta via laterale, rallentò e velocemente lasciò ricadere le sue gonne. Otto o nove uomini in giubbe nere stavano aspettando fuori, di tutte le età, ma non c’era ancora traccia di Logain. Poteva ancora percepirlo, pieno di proposito ma concentrato. Forse stava leggendo. Camminò per il resto del tragitto a passo solenne. Calma e in tutto e per tutto una Aes Sedai, qualunque fossero le circostanze. Era quasi riuscita a dimenticare la sua frenetica fuga dai cani. La casa la sorprendeva ogni volta che la vedeva. Le altre su quella strada erano fino a due volte più grandi. Una normale casa di legno a due piani, anche se la porta, le imposte e le finestre rosse sembravano strane. Semplici tende nascondevano l’interno, ma, anche se fossero state aperte, il vetro delle finestre era tanto scadente che dubitava che avrebbe potuto vedere dentro chiaramente. Una casa adatta per un bottegaio fallito, non certo la residenza di uno degli uomini più famosi al mondo.
Si domandò di sfuggita cosa stesse trattenendo Gabrelle. L’altra Sorella vincolata a Logain aveva le sue stesse istruzioni e, finora, era sempre arrivata lì per prima. Gabrelle era entusiasta e studiava gli Asha’man come se intendesse scrivere un libro sull’argomento. Forse era così; le Marroni avrebbero scritto di qualunque cosa. Scacciò dalla mente il pensiero dell’altra Sorella. Anche se, nel caso in cui Gabrelle fosse arrivata in ritardo, avrebbe voluto scoprire come c’era riuscita. Per ora, aveva altro da studiare. Gli uomini fuori dalla porta rossa la osservarono, ma non dissero nulla, nemmeno fra loro. Tuttavia non c’era animosità. Stavano solo aspettando. Nessuno indossava un mantello, anche se il loro respiro si condensava in pallide piume di fronte alle loro facce. Erano tutti Dedicati, con la spilla d’argento a forma di spada sui colletti.
Era stato così ogni mattina in cui si era presentata in questo modo, anche se non erano sempre gli stessi uomini. Conosceva alcuni, i loro nomi almeno, e talvolta qualche altra informazione che aveva racimolato. Evin Vinchova, il bel ragazzo che era lì quando Logain l’aveva catturata, era appoggiato contro un angolo della casa e giocherellava con un pezzo di corda. Donalo Sandomere, se quello era il suo vero nome, col suo grinzoso volto da contadino e la barba accuratamente spuntata, si sforzava di assumere la posa languida che riteneva tipica dei nobili. Androl Genhald di Tarabon, un tizio robusto con delle pesanti sopracciglia corrucciate in atteggiamento pensieroso teneva le mani dietro la schiena; indossava un anello d’oro con sigillo, ma a lei sembrava un novellino che si fosse tagliato i baffi e avesse abbandonato il velo. Mezar Kurin, un Domanese con le tempie grigie, tastava il granato al suo orecchio sinistro; poteva essere un nobile minore. Stava accumulando un bell’elenco di nomi e volti nella propria testa. Presto o tardi sarebbero stati braccati, e ogni brandello di informazione che poteva aiutare a identificarli sarebbe stato utile.