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«Logain!» Welyn Kajima procedeva lungo la strada correndo all’impazzata, i campanelli appesi alle sue trecce nere che tintinnavano. Un altro Dedicato, un uomo di mezz’età che sorrideva decisamente troppo, anch’egli era presente quando Logain l’aveva catturata. Kajima aveva vincolato Jenare. Era quasi senza fiato quando si fece strada attraverso gli altri uomini, e non stava sorridendo.

«Logain,» annaspò «il M’Hael è tornato da Cairhien e ha affisso una lista di nuovi disertori a palazzo. Non crederai ai nomi!» Divulgò la lista tutta d’un fiato fra esclamazioni da parte degli altri che impedirono a Toveine di ascoltare nulla più di qualche frammento.

«Dei Dedicati hanno disertato prima,» borbottò il cairhienese quando Kajima ebbe terminato «ma mai un vero Asha’man. E ora sette tutti insieme!»

«Se non mi credi...» cominciò Kajima, raddrizzandosi stizzito. Era stato un funzionario ad Arafel.

«Ti crediamo» disse Genhald in tono rassicurante. «Ma Gedwyn e Torval sono gli uomini del M’Hael. Anche Rochaid e Kisman. Perché dovrebbero disertare? Lui ha dato loro tutto ciò che un re potrebbe volere.»

Kajima scosse la testa irritato, facendo tintinnare i suoi campanelli. «Sai che la lista non dà mai ragioni. Solo nomi.»

«Meglio così» brontolò Kurin. «Almeno, lo sarebbe se non dovessimo dar loro la caccia, ora.»

«Sono gli altri che non riesco a capire» si inserì Sandomere. «Ero ai pozzi di Dumai. Ho visto il lord Drago scegliere, dopo. Dashiva aveva la testa fra le nuvole, come sempre. Ma Flinn, Hopwil, Narishma? Non avete mai visto uomini più contenti. Erano come agnelli lasciati liberi nella capanno dell’orzo.»

Un tizio robusto coi capelli brizzolati sbraitò: «Be’, io non ero ai pozzi, ma sono andato a sud contro i Seanchan.» Il suo accento era andorano.

«Forse agli agnelli il cortile del macellaio non è piaciuto quanto il capanno dell’orzo.»

Logain aveva ascoltato senza partecipare, le braccia conserte sul petto. Il suo volto era indecifrabile: una maschera. «Ti preoccupa il cortile del macellaio, Canler?» disse a quel punto. L’andorano fece una smorfia, poi scrollò le spalle. «Suppongo che siamo tutti diretti lì, prima o poi, Logain. Non credo che abbiamo molta scelta, ma non per questo devo riderci sopra.»

«Sempre che tu sia lì il giorno giusto» disse Logain con calma. Si rivolse all’uomo di nome Canler, ma diversi altri annuirono.

Guardando oltre gli uomini, Logain contemplò Toveine e Gabrelle. Toveine cercò di non far sembrare che stava origliando e ricordando con attenzione i nomi. «Andate dentro: qui fa freddo» disse loro. «Prendete del tè per riscaldarvi. Io tornerò il prima possibile. Non toccate le mie carte.»

Radunando gli altri uomini con un gesto, li condusse nella direzione da cui era venuto Kajima.

Toveine digrignò i denti per la frustrazione. Almeno non avrebbe dovuto seguirlo nell’area di allenamento, oltre il cosiddetto Albero dei Traditori, dove penzolavano dai rami nudi teste come frutti infetti, per osservare uomini studiare come distruggere tramite il Potere, ma aveva sperato in un’altra giornata per sé, a gironzolare libera e vedere cosa poteva apprendere. Aveva udito uomini parlare del ‘palazzo’ di Taim, prima, e oggi sperava di trovarlo e forse di dare una sbirciata all’uomo il cui nome era famigerato come quello di Logain. Invece, seguì con aria sottomessa l’altra donna attraverso la porta rossa. Non valeva la pena ribellarsi. All’interno si guardò intorno per l’atrio mentre Gabrelle appendeva il suo mantello a un piolo. Malgrado l’esterno, si era aspettata qualcosa di più sfarzoso da Logain. Un debole fuoco bruciava in un rozzo caminetto di pietra. Un tavolo lungo e stretto e sedie dall’alto schienale si trovavano su uno spoglio assito. Una scrivania, poco più elaborata del resto del mobilio, catturò la sua attenzione. Pile di cassette per le lettere munite di coperchio vi erano disseminate sopra, così come raccoglitori di cuoio colmi di lunghi fogli di carta. Le dita le prudevano, ma sapeva che, se anche si fosse solo seduta alla scrivania, non sarebbe stata in grado di poggiare un dito su niente più che una penna o una boccetta di inchiostro.

Con un sospiro, seguì Gabrelle nella cucina, dove una stufa di ferro emanava troppo calore e i piatti sporchi della colazione erano posati su un basso mobiletto sotto la finestra. Gabrelle riempì un bollitore e lo mise sulla stufa, poi prese una teiera smaltata di verde e un contenitore di legno da un altro armadietto. Toveine dispose il suo mantello sopra una sedia e si sedette al tavolo quadrato. Non voleva del tè se non con la colazione che aveva saltato, ma sapeva che l’avrebbe bevuto.

Quella sciocca Marrone continuava a cianciare mentre portava a termine le sue faccende domestiche come un’allegra campagnola. «Ho già appreso un bel po’. Logain è l’unico vero Asha’man che vive in questo villaggio. Gli altri vivono tutti nel ‘palazzo’ di Taim,. Hanno servitori, ma Logain ha assunto la moglie di una recluta per cucinare e pulire per lui. Sarà qui presto, e quella donna pensa che sia lui a far sorgere il sole, perciò sarà meglio che per allora abbiamo finito di discutere degli argomenti importanti. Logain ha trovato la tua scrivania portatile.»

Toveine si sentì come se una mano gelida le avesse afferrato la gola. Cercò di nasconderlo, ma Gabrelle la stava guardando dritto negli occhi.

«L’ha bruciata, Toveine. Dopo aver letto quello che conteneva. Sembrava pensare di averci fatto un favore.»

La mano allentò la presa e Toveine poté respirare di nuovo. «L’ordine di Elaida era fra le mie carte.» Si schiarì la gola per liberarsi della raucedine. L’ordine di Elaida di domare ogni uomo che avessero trovato qui e impiccarlo seduta stante, senza il processo a Tar Valon richiesto dalla legge della Torre. «Elaida ha imposto severe condizioni, e questi uomini avrebbero reagito in malo modo, se l’avessero saputo.» Malgrado il calore della stufa, fu percorsa da un tremito. Quell’unica carta avrebbe potuto far sì che venissero tutte quietate e impiccate. «E perché ci farebbe dei favori?»

«Non so perché, Toveine. Non è un farabutto, non più della maggior parte degli uomini. Potrebbe trattarsi solo di questo.» Gabrelle appoggiò sul tavolo un piatto di panini croccanti e un altro con del formaggio bianco. «O potrebbe darsi che il legame sia come quello col Custode in altri sensi oltre a quelli che conosciamo. Forse non voleva solo sentire su di sé il dolore delle nostre esecuzioni.» Lo stomaco di Toveine brontolò, ma lei prese un panino come se non volesse far altro che piluccarlo.

«Sospetto che ‘severe’ sia un eufemismo» proseguì Gabrelle, mettendo delle foglie di tè nella teiera con un cucchiaio. «Ti ho vista trasalire. Di certo, si sono presi una bella briga per portarci qui. Cinquantuno Sorelle in mezzo a loro e, anche col legame, devono temere che possiamo trovare qualche modo di aggirare i loro ordini, qualche scappatoia che non hanno considerato. La risposta ovvia è che, se fossimo morte, questo avrebbe destato la furia della Torre. Con noi vive e prigioniere, perfino Elaida si muoverà con cautela.» Rise, sobriamente divertita. «La tua faccia, Toveine. Pensavi che avessi passato tutto il tempo a passare le dita fra i capelli di Logain?»

Toveine chiuse la bocca e rimise a posto il panino intatto. Era freddo, comunque, e pareva duro. Era sempre un errore reputare che le Marroni fossero distaccate, assorbite dai propri libri e studi fino a escludere ogni altra cosa. «Cos’altro hai visto?»

Ancora con in mano il cucchiaio, Gabrelle si sedette dall’altra parte del tavolo e si sporse in avanti con fare deciso. «Il loro muro potrà essere solido una volta finito, ma questo posto è pieno di divisioni. C’è la fazione di Mazrim Taim, e quella di Logain, anche se non sono certa che ciascuna consideri l’altra come tale. Forse anche altre fazioni, e di certo uomini che non sanno che le fazioni esistono. Cinquantuno Sorelle dovrebbero essere in grado di sfruttare la situazione in qualche modo, perfino col vincolo. La seconda domanda è, come la sfruttiamo?»