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«Lord Perrin, la tua signora e moglie e io stavamo cacciando con la regina Alliandre quando siamo stati attaccati dagli Aiel. Io sono riuscita a fuggire. Nessun altro del gruppo è tornato, non ancora, anche se può darsi che gli Aiel abbiano preso dei prigionieri. Ho inviato una squadra di lancieri in esplorazione. Eravamo circa dieci miglia a sudovest, perciò dovrebbero tornare con delle notizie per il crepuscolo.»

«Faile è stata catturata?» disse Perrin con voce incerta. Anche prima di giungere ad Amadicia da Ghealdan avevano sentito di Aiel che bruciavano e depredavano, ma era sempre stato da qualche altra parte, il villaggio un po’ più distante o quello ancora oltre, se non più lontano. Mai abbastanza vicino da preoccuparsi o per essere sicuri che fosse qualcosa di più di semplici dicerie. Non quando aveva gli ordini di Rand dannato al’Thor da eseguire! E guarda cos’era costato.

«Perché siete ancora tutti qui?» domandò ad alta voce. «Perché non siete tutti a cercarla?» Si rese conto che stava urlando. Voleva ululare, morderli.

«Siate tutti dannati, cosa state aspettando?» La calma della sua risposta, come lei stesse riferendo quanto foraggio rimaneva nei cavalli, gli infilò aghi di rabbia nella testa. Ancor di più perché aveva ragione.

«Sono stati in due o trecento a tenderci un agguato, lord Perrin, ma tu sai quanto me che, da quanto abbiamo sentito, potrebbero facilmente esserci una dozzina di bande del genere, o anche più, che vagano per la campagna. Se le inseguiamo in forze, rischieremmo di ritrovarci in una battaglia che potrebbe costarci molto, contro Aiel che non sappiamo nemmeno se siano quelli che hanno catturato tua moglie. Non siamo nemmeno sicuri che sia ancora viva. Dobbiamo sapere questo prima, lord Perrin, o il resto sarà meno che inutile.»

Se era ancora viva. Fu percorso da un tremito; il freddo era dentro di lui, all’improvviso. Nelle sue ossa. Nel suo cuore. Doveva essere viva. Doveva. Oh, Luce, non avrebbe mai dovuto permettere che venisse ad Abila con lui. Il viso dalla bocca larga di Annoura era una maschera di solidarietà incorniciata da trecce tarabonesi. All’improvviso si rese conto del dolore alle mani, serrate sulle redini. Si costrinse ad allentare la stretta e piegò le dita all’interno dei suoi guanti d’arme.

«Lei sta bene» disse piano Elyas, avvicinando il suo castrone. «Trattieniti. Se incappi negli Aiel, stai solo chiedendo di morire. Forse porteresti molti uomini con te a una brutta fine. Morire non serve a niente se tua moglie rimane prigioniera.» Cercò di assumere un tono più leggero, ma Perrin poteva fiutare la tensione nella sua voce. «Comunque, la troveremo, ragazzo. Una donna come lei potrebbe anche essere scappata. Può darsi che si stia dirigendo qui a piedi. Impiegherebbe molto tempo, in un abito lungo. Gli esploratori della Prima troveranno delle tracce.» Passandosi le dita nella lunga barba, Elyas proruppe in una risatina autoironica. «Se non riesco a trovare più dei Mayenesi, mangerò della corteccia. Te la riporteremo.»

Perrin non si era lasciato ingannare. «Sì» disse in tono aspro. Nessuno poteva sfuggire agli Aiel a piedi. «Vai ora. Sbrigati.» Non l’aveva ingannato per niente. Quell’uomo si aspettava di trovare il corpo di Faile. Doveva essere viva, e questo voleva dire prigioniera, ma meglio prigioniera che... Non potevano parlare fra loro come facevano coi lupi, ma Elyas esitò come se comprendesse i pensieri di Perrin. Non cercò di negarli, però. Il suo castrone si avviò verso sudest al passo, tanto veloce quanto la neve gli consentiva, e, dopo una rapida occhiata a Perrin, Aram lo seguì, il volto cupo. All’ex Calderaio non piaceva Elyas, ma quasi adorava Faile, anche solo perché era la moglie di Perrin.

Non sarebbe servito a nulla spossare gli animali, si disse Perrin, accigliandosi verso le loro schiene che si allontanavano. Voleva che corressero. Voleva correre con loro. Gli sembrava di essere percorso da crepe sottili. Se fossero tornati con le notizie sbagliate, sarebbe andato in pezzi. Con sua meraviglia, i tre Custodi spinsero al trotto le loro cavalcature dietro Elyas e Aram fra spruzzi di neve, semplici mantelli di lana che sventolavano alle loro spalle, poi adeguarono la velocità non appena li ebbero raggiunti. Riuscì a rivolgere a Masuri e Seonid un cenno di gratitudine col capo, e incluse Edarra e Carelle. Chiunque fosse stato a suggerirlo, non c’era dubbio su chi avesse dato il permesso. Il fatto che nessuna delle Sorelle tentasse di prendere il comando era una misura del controllo che le Sapienti avevano stabilito. Era probabile che le Aes Sedai lo volessero, ma le loro mani guantate rimasero piegate sui pomelli delle loro selle e nessuna tradì impazienza né batté ciglio. Non tutti stavano osservando gli uomini che si allontanavano. Annoura si alternava fra l’irradiare solidarietà verso di lui ed esaminare le Sapienti con la coda dell’occhio. A differenza delle altre due Sorelle, non aveva fatto promesse, ma era circospetta verso le Aiel quasi quanto loro stesse. L’unico occhio di Gallenne era fisso su Berelain, in attesa di un segnale per estrarre la spada che teneva stretta, mentre lei era concentrata su Perrin, il suo viso ancora liscio e indecifrabile. Grady e Neald tenevano le loro teste vicine, scoccando rapide occhiate torve nella sua direzione. Balwer sedeva del tutto immobile, come un passerotto appollaiato sulla sella, cercando di essere invisibile, intento ad ascoltare.

Arganda spinse il suo alto castrone roano oltre il nero dal torace possente di Gallenne, ignorando l’unico occhio del Mayenese che lo fissava con aria di offesa. La bocca del primo capitano si agitava con rabbia dietro le lucenti sbarre della visiera del suo elmo, ma Perrin non udì nulla. In testa aveva solo Faile. Oh, Luce, Faile! Si sentiva come se avesse il petto avvolto in cinghie di ferro. Era in preda al panico, e si reggeva sul precipizio solo con le unghie. Dalla disperazione protese la sua mente, cercando freneticamente dei lupi. Elyas doveva averci già provato — Elyas non si era fatto prendere dal panico alla notizia — ma doveva provare lui stesso.

Cercandoli, li trovò: branchi di Tre Dita e Acqua Gelida, Crepuscolo e Picco di Primavera, e altri ancora. Il dolore fluì insieme alla sua richiesta d’aiuto, ma si acuì in lui invece che attenuarsi. Avevano udito Giovane Toro e si dolevano con lui per la perdita della sua compagna, ma si tenevano a distanza dai due-zampe, che spaventavano tutte le prede ed erano morti per ogni lupo che trovavano da solo. C’erano così tanti branchi di due-zampe in giro, a piedi e sopra i piedi-duri quattro-zampe, che non potevano dire se qualcuno di quelli che percepivano era colei che lui cercava. I duezampe erano due-zampe per loro, indistinguibili, tranne quelli che potevano incanalare e i pochi con cui potevano parlare. Piangila, gli dissero, e vai avanti, e incontrala di nuovo nel sogno dei lupi.

Una a una, le immagini che nella sua mente si trasformavano in parole svanirono, finché solo una indugiò. Piangila, e incontrala di nuovo nel sogno dei lupi. Poi anche quella scomparve.

«Stai ascoltando?» domandò Arganda in tono rude. Non era un nobile dai modi melliflui e, nonostante le sete e gli intarsi dorati sul suo pettorale argenteo, appariva ciò che era, un soldato ingrigito che aveva sollevato la lancia per la prima volta da ragazzo e probabilmente aveva due dozzine di cicatrici. I suoi occhi scuri erano febbrili quasi quanto quelli degli uomini di Masema. Odorava di rabbia e paura. «Quei selvaggi hanno preso anche la regina Alliandre!»

«Troveremo la tua regina quando avremo trovato mia moglie» disse Perrin, la sua voce fredda e dura quanto il filo della sua ascia. Doveva essere viva. «Suppongo che tu voglia dirmi che è per via di tutto questo che siete schierati e pronti a caricare, a quanto sembra. E state perfino minacciando la mia gente.» Lui aveva anche altre responsabilità. Riconoscerlo era amaro come fiele. Nient’ altro contava di fronte a Faile. Niente! Ma gli uomini dei Fiumi gemelli erano la sua gente.