«Lord Perrin?» disse Grady dietro di lui. Perrin si voltò. I due Asha’man in piedi davanti ai loro cavalli, giocherellavano con fare incerto con le redini. Grady prese fiato e proseguì, con Neald che annuiva in accordo. «Noi due potremmo coprire molto terreno, Viaggiando. E se troviamo quelli che l’hanno rapita, be’, dubito che perfino qualche centinaio di Aiel possano impedire a due Asha’man di riprenderla.»
Perrin aprì la bocca per dir loro di partire all’istante, poi la chiuse di nuovo. Grady era stato un contadino, vero, ma mai un cacciatore o un boscaiolo. Neald pensava che ogni posto senza un muro di pietra fosse un villaggio. Avrebbero potuto distinguere un’impronta da una quercia, ma se anche avessero trovato delle tracce, molto probabilmente nessuno dei due sarebbe stato in grado di dire in quale direzione erano dirette. Certo, sarebbe potuto andare con loro. Non era abile come Jondyn, ma... sarebbe potuto andare, e lasciare Dannil a vedersela con Arganda. E con Masema. Per non parlare degli intrighi delle Sapienti.
«Andate a prepararvi» disse con calma. Dov’era Balwer? Non lo vedeva da nessuna parte. Non era molto probabile che lui fosse corso via a cercare Faile. «Ci può essere bisogno di voi qui.»
Grady sbatté le palpebre dalla sorpresa e Neald spalancò la bocca. Perrin non diede loro l’opportunità di discutere. Si avviò a grandi passi verso la bassa tenda coi lembi legati. I legacci dall’esterno non si potevano disfare. Quando le Sapienti non volevano essere disturbate non c’era modo di uscirne né per i capoclan né per nessun altro, incluso un abitante delle terre bagnate a cui avevano addossato il titolo di signore dei Fiumi Gemelli. Estrasse il suo pugnale e si chinò per tagliare i legacci, ma, prima che potesse infilare la lama attraverso la stretta fenditura fra i lembi dell’ingresso, questi sussultarono come se qualcuno li stesse disfacendo dall’interno. Si raddrizzò e attese. I lembi della tenda si aprirono e Nevarin venne fuori. Aveva il suo scialle legato attorno alla vita, ma, tranne per il suo fiato che si condensava, pareva non sentire l’aria gelida. I suoi occhi verdi videro il pugnale che lui aveva in mano e piantò i pugni sulle anche in un tintinnio di braccialetti. Aveva lunghi capelli color sabbia tenuti indietro da uno scuro fazzoletto ripiegato; era esile quasi quanto Nynaeve e più alta quasi di un palmo, ma era sempre lei che gli ricordava. Era ritta a bloccare l’entrata della tenda.
«Sei impetuoso, Perrin Aybara.» La sua voce lieve era calma, ma lui aveva l’impressione che stesse meditando di dargli uno scapaccione. Proprio come Nynaeve. «Anche se può essere comprensibile, date le circostanze. Cosa vuoi?»
«Come...?» Dovette smettere di deglutire. «Come la tratteranno?»
«Non so dirlo, Perrin Aybara.» Non c’era compassione sul suo viso, non c’era la minima espressione. Gli Aiel avrebbero potuto dare delle lezioni alle Aes Sedai in quello. «Prendere prigionieri abitanti delle terre bagnate è contro le usanze, a meno che non si tratti degli assassini dell’albero, anche se questo è cambiato. Come è cambiato l’uccidere senza necessità. Ma molti hanno rifiutato di accettare le verità rivelate dal Car’a’carn. Alcuni sono stati presi dalla tetraggine e hanno abbandonato le lance, tuttavia potrebbero averle riprese. Altri se ne sono semplicemente andati, per vivere nel modo che secondo loro si addice a noi. Non so dire quali usanze possano essere state mantenute o abbandonate da coloro che hanno lasciato clan e setta.» L’unica emozione che mostrò fu una punta di disgusto alla fine, per coloro che avevano abbandonato clan e setta.
«Per la Luce, donna, devi avere qualche idea! Di certo puoi fare un’ipotesi...»
«Non diventare irrazionale» lo interruppe bruscamente. «Accade spesso agli uomini, in situazioni simili, ma abbiamo bisogno di te. Penso che non gioverà alla tua reputazione con gli altri abitanti delle terre bagnate se dobbiamo legarti finché non ti calmi. Va’ alla tua tenda. Se non riesci a controllare i tuoi pensieri, bevi finché non sarai più in grado di pensare. E non disturbarci mentre siamo in consiglio.» Si chinò per rientrare nella tenda, e i lembi si richiusero di colpo e cominciarono a contrarsi mentre venivano legati di nuovo.
Perrin esaminò i lembi richiusi, facendo scorrere il pollice lungo la lama del suo coltello, poi lo infilò nel fodero. Avrebbero potuto mettere in atto ciò che Nevarin aveva minacciato, se lui avesse fatto irruzione. E avrebbero potuto non dire nulla di ciò che voleva sapere. Ma non pensava che Nevarin avrebbe tenuto dei segreti in un momento come questo. Non su Faile, comunque.
La sommità della collina era silenziosa, ora che la maggior parte degli uomini dei Fiumi Gemelli se n’era andata. Quelli rimanenti, che ancora osservavano guardinghi l’accampamento ghealdano lì sotto, battevano i piedi per scrollarsi il freddo di dosso, ma nessuno parlava. I gai’shain affaccendati quasi non facevano rumore. Gli alberi oscuravano parte degli accampamenti degli uomini di Ghealdan e di Mayene, ma Perrin poteva vedere che in entrambi i carri venivano caricati. Comunque decise di lasciare gli uomini in allerta. Poteva trattarsi di un inganno di Arganda. Un uomo con un odore del genere poteva solo essere... irrazionale, terminò il pensiero freddamente.
Non aveva nient’altro da fare sulla collina, perciò si avviò a fare il mezzo miglio che lo separava dalla sua tenda. La tenda che divideva con Faile. Ogni tanto incespicava, facendo fatica quando la neve si sollevava attorno alle sue gambe. Si strinse il mantello attorno, sia per impedire che si agitasse per il vento, sia per stare al caldo. Non c’era calore. Quando vi giunse, l’accampamento dei Fiumi Gemelli brulicava di attività. I carri formavano un grosso cerchio, con uomini e donne dalle tenute di Dobraine a Cairhien che li caricavano, mentre altri approntavano i cavalli per essere sellati. Con la neve tanto abbondante, per le ruote sarebbe stato come procedere nel fango, perciò le avevano legate con delle cinghie ai lati dei carri e rimpiazzate con delle slitte di legno. Infagottati per difendersi dal freddo al punto che sembravano larghi il doppio, i Cairhienesi quasi non si fermavano a guardarlo, ma ogni uomo dei Fiumi Gemelli che lo vedeva non smetteva di guardare finché qualcun altro non gli dava di gomito per incitarlo a continuare con quello che stava facendo. Perrin era lieto che nessuno aggiungesse parole alla solidarietà in quegli sguardi. Pensava che sarebbe potuto scoppiare a piangere, se qualcuno l’avesse fatto. Non sembrava neanche che ci fosse nulla da fare per lui qui. La sua grande tenda — sua e di Faile — era già smontata e su un carro, insieme a ciò che conteneva. Basel Gill stava camminando lungo i carri con una lunga lista fra le mani. L’uomo corpulento aveva assunto il mestiere di shambayan, amministrando la casa di Faile e Perrin come uno scoiattolo in un magazzino di granturco. Ma, essendo più abituato alle città che a viaggiare fuori dalle loro mura, soffriva per il freddo e indossava non solo un mantello, ma una spessa sciarpa attorno al collo, una cappello a tesa floscia e pesanti guanti di lana. Per qualche ragione, Gill quando lo vide trasalì e borbottò qualcosa in merito al fatto che bisognava controllare i carri, prima di allontanarsi più veloce che poteva. Strano.