Dov’era Nynaeve? E Vandene? I suoi pensieri erano confusi come il tempo. Dovrebbero essere già qui! Luce! Vorrei imparare a poter far a meno di dormire, e loro se la prendono comoda! No, questo era ingiusto. La sua rivendicazione formale del Trono del Leone risaliva solo a pochi giorni prima, e per lei tutto il resto per ora veniva in secondo piano. Nynaeve e Vandene avevano altre priorità, altre responsabilità, come loro le consideravano. Nynaeve era impegnatissima nell’organizzare insieme a Reatine e al resto del Circolo della Maglia come far fuggire di nascosto le donne della Famiglia dalle terre controllate dai Seanchan prima che venissero scoperte e che fosse messo loro il collare. Le donne della Famiglia sapevano come non ostentare troppo, ma i Seanchan non le avrebbero liquidate come semplici selvatiche come avevano sempre fatto le Aes Sedai. Presumibilmente, Vandene era ancora scossa per l’omicidio della sorella: mangiava appena e a stento era in grado di dare consigli di qualunque genere. Anche se mangiava poco, ciò che la stava davvero consumando era il desiderio di trovare l’assassino. Mentre apparentemente si aggirava per i corridoi a strani orari in preda alla sofferenza, in realtà stava dando in segreto la caccia agli Amici delle Tenebre. Tre giorni prima, quel solo pensiero sarebbe bastato a far rabbrividire Elayne; ora era un pericolo fra tanti. Era un pensiero più forte degli altri, in effetti, perché ne aveva molti. Erano impegnate in compiti importanti, con l’approvazione e l’incoraggiamento di Egwene; nonostante ciò desiderava che si sbrigassero, per quanto sembrasse egoista. Vandene era prodiga di buoni consigli, grazie a lunghi studi ed esperienze, e gli anni passati da Nynaeve a trattare col Consiglio del Villaggio e la Cerchia delle Donne a Emond’s Field le avevano conferito una certa scaltrezza nelle faccende politiche, per quanto lei lo negasse. Che io sia dannata, ho un centinaio di problemi, alcuni proprio qui a palazzo, e ho bisogno di loro! Se avesse potuto fare a modo suo, Nynaeve al’Meara sarebbe stata l’Aes Sedai consigliera della prossima regina dell’Andor. Le serviva tutto l’aiuto che riusciva a trovare — e di cui poteva fidarsi. Lisciandosi il viso, voltò le spalle al caldo focolare. Tredici sedie alte, intarsiate in modo semplice ma squisito, formavano un ferro di cavallo di fronte al caminetto. Paradossalmente il posto d’onore, dove la regina sedeva quando riceveva in quel luogo, si trovava più distante dal calore del fuoco. Proprio così. La sua schiena cominciò a riscaldarsi immediatamente, mentre il davanti si raffreddava. Fuori la neve cadeva, il tuono rimbombava e il fulmine guizzava. Proprio come nella sua testa. Calma. Una regnante aveva bisogno di calma quanto qualunque Aes Sedai.
«Deve trattarsi dei mercenari» disse, non riuscendo del tutto a impedire che dalla sua voce trasparisse rammarico. Di certo entro un mese sarebbero cominciati ad arrivare dai suoi possedimenti uomini armati, non appena avessero appreso che lei era viva, ma ci sarebbe voluto mezzo anno prima che quelli che Birgitte stava reclutando fossero in grado allo stesso tempo di cavalcare e maneggiare una spada. «...E Cercatori del Corno, se si segnano e imprecano.» C’erano molti di entrambe le fazioni intrappolati a Caemlyn per via delle intemperie. Troppi di entrambe, dicevano in molti, che si ubriacavano, si azzuffavano e molestavano donne che non volevano essere oggetto delle loro attenzioni. Almeno lei li avrebbe resi utili a qualcosa, adoperandoli per fermare i guai invece di esserne la causa. Desiderava non pensare che stesse cercando di convincere sé stessa in merito a tutto ciò. «Costoso, ma l’oro nei forzieri basterà.» Per un po’ sarebbe bastato. Sperava che gli introiti che assicuravano i suoi possedimenti arrivassero presto.
Ancor più incredibile, le due donne in piedi davanti a lei reagirono in modo molto simile.
Dyelin emise un grugnito irritato. Una grossa spilla rotonda d’argento, decorata col gufo e la quercia di Taravin era fissata sul collo alto del suo abito verde scuro, l’unico gioiello che indossava. Un’ostentazione di orgoglio per la sua casata, forse troppo; la Somma Signora della casata Taravin era un donna nel complesso fiera. I suoi capelli d’oro erano striati di grigio e rughe sottili si intessevano agli angoli dei suoi occhi; nonostante ciò il suo volto era deciso, il suo sguardo controllato e acuto. La sua mente era un rasoio. O forse una spada. Una donna senza peli sulla lingua, o almeno così sembrava, che non nascondeva le proprie opinioni.
«I mercenari conoscono il lavoro,» disse sprezzante «ma sono difficili da controllare, Elayne. Quando hai bisogno di un tocco leggero, sono propensi a essere un martello, e quando ti serve un martello, hanno la tendenza a essere altrove, per di più a rubare. Sono fedeli all’oro, e solo finché questo dura. Sempre che non tradiscano prima per averne di più. Sono certa che su questo lady Birgitte sarà d’accordo con me.»
Le braccia incrociate sotto il seno e gli alti stivali ben divaricati, Birgitte fece una smorfia, come sempre quando qualcuno usava il suo nuovo titolo. Elayne le aveva concesso un possedimento non appena avevano raggiunto Caemlyn, dove poteva essere registrato. In privato, Birgitte brontolava continuamente di questo e dell’altro cambiamento nella sua vita. I suoi pantaloni azzurro cielo avevano lo stesso taglio di quelli che indossava di solito, gonfi e raccolti alle caviglie, ma la sua corta giubba nera aveva un alto colletto bianco e ampi polsini bianchi bordati d’oro. Era lady Birgitte Trahelion nonché capitano generale delle guardie della regina, e poteva borbottare e lamentarsi quanto voleva, sempre che lo facesse in privato.
«Lo sono» bofonchiò controvoglia, rivolgendo a Dyelin un’occhiataccia non proprio furtiva. Il legame fra Custode e Aes Sedai riportava a Elayne ciò che aveva percepito per tutta la mattina. Frustrazione, irritazione, determinazione. Alcune di queste emozioni potevano essere un riflesso delle sue, però. Da quando avevano stretto il legame si rispecchiavano a vicenda in modi sorprendenti, in senso emotivo e non solo. Addirittura il suo ciclo si era spostato di più di una settimana per uniformarsi a quello dell’altra donna!
Era evidente che la riluttanza di Birgitte a discutere la seconda ipotesi era pari alla sua avversione ad assentire. «I Cacciatori non sono dannatamente meglio, Elayne» borbottò. «Hanno prestato il giuramento del Cercatore per trovare avventura e un posto nelle storie, se ci riescono. Non per sistemarsi e osservare la legge. Quasi tutti sono boriosi saccenti, guardano chiunque altro dall’alto in basso; gli altri non fanno solo quello che è necessario, ma vanno in cerca di occasioni. Basta che venga sussurrata una chiacchiera sul Corno di Valere e a dir tanto due su tre spariranno dalla sera alla mattina.»
Dyelin esibì un lieve sorriso, come se avesse segnato un punto a suo favore. L’olio e l’acqua non erano nulla, paragonati a quelle due: ognuna sembrava andare piuttosto d’accordo con chiunque altro, ma, per qualche motivo, fra loro potevano litigare perfino sul colore del carbone. E lo facevano. «Inoltre, sia i Cacciatori sia i mercenari sono quasi tutti forestieri. Questo scontenterà poveri e ricchi allo stesso modo. Li scontenterà molto. L’ultima cosa che vuoi è scatenare una ribellione.» Un fulmine guizzò, illuminando brevemente i battenti delle finestre, e un rombo di tuono particolarmente fragoroso sottolineò le sue parole. In mille anni, sette regine dell’Andor erano state rovesciate da un’aperta rivoluzione, e le due che erano sopravvissute probabilmente avrebbero desiderato essere morte. Elayne trattenne un sospiro. Su uno dei tavolini intarsiati lungo le pareti era appoggiato un pesante vassoio d’argento con delle coppe e un’alta caraffa di caldo vino speziato. Vino speziato tiepido, ora. Lei incanalò un tenue filamento di Fuoco e un esile sbuffo di vapore si levò dalla brocca. Riscaldarlo conferì alle spezie un vago sapore amarognolo, ma ne valeva la pena solo per il calore della coppa intarsiata d’argento fra le sue mani. Con uno sforzo, resistette al desiderio di riscaldare l’aria nella stanza tramite il Potere e abbandonò la Fonte; comunque il calore non sarebbe durato a meno che non avesse tenuto costanti i filamenti. Aveva superato la riluttanza a lasciar andare saidar ogni volta che lo abbracciava — be’, fino a un certo punto — tuttavia di recente la voglia di attingerne sempre più cresceva ogni volta. Ogni Sorella doveva confrontarsi con quel pericoloso desiderio. A un gesto, anche le altre si versarono del vino.