«Così sia,» disse infine Caramon, con freddezza, mentre anche lui avanzava nel cerchio d’argento.
«Un’altra morte non significherà molto per nessuno di noi due, adesso, non è vero, fratello mio?»
Crysania fissava affascinata la spada insanguinata che risplendeva alla luce del bastone.
L’immaginò con grande chiarezza che le trafiggeva il corpo e, sollevando lo sguardo e guardando Caramon negli occhi, vide che anche lui s’immaginava la stessa cosa ma che neppure questo l’avrebbe fatto desistere. Lei non era niente per lui, neppure un essere umano vivente che respirava.
Era soltanto un ostacolo sulla sua strada, che le impediva di arrivare al suo vero obbiettivo, suo fratello.
Che terribile odio! pensò Crysania e poi, guardando nelle profondità di quegli occhi che adesso erano così vicini ai suoi, ebbe un improvviso lampo d’intuizione: che terribile amore!
Caramon le si lanciò addosso con una mano protesa, pensando di afferrarla e di scagliarla da parte.
Spinta dal panico, Crysania schivò la sua stretta, barcollando all’indietro e finendo addosso a Raistlin il quale non fece nessun movimento per toccarla. La mano di Caramon ghermì soltanto una manica della sua veste lacerandogliela e stappandola via. In preda al furore, Caramon scagliò a terra il bianco tessuto, e adesso Crysania seppe di dover morire. Ma continuò a interporre il proprio corpo fra quello di Raistlin e suo fratello.
La spada di Caramon balenò.
Disperata, Crysania strinse il medaglione di Paladine che le cingeva la gola.
«Fermo!». Urlò quell’ordine nel medesimo istante in cui chiudeva gli occhi per la paura. Il suo corpo si ritrasse in attesa del terribile dolore dell’acciaio che le lacerava le carni. Poi udì un gemito e il tonfo metallico di una spada che cadeva sul pavimento di pietra. Il sollievo la invase e fu colta da una debolezza improvvisa; fu sul punto di svenire. Singhiozzando, sentì che stava per cadere.
Ma mani snelle e agili l’afferrarono; braccia sottili e muscolose la strinsero, una voce sommessa pronunciò il suo nome in tono di trionfo. Fu avvolta da una calda oscurità, vi affogò dentro, affondando sempre più in basso. E sentì bisbigliare al suo orecchio le parole della strana lingua della magia. Come mani o ragni che l’accarezzassero, le parole strisciarono sopra il suo corpo. Il salmodiare delle parole divenne sempre più forte, la voce di Raistlin sempre più alta. La luce argentea avvampò, poi scomparve. La stretta del braccio di Raistlin intorno a Crysania si serrò ancor più nell’estasi, e si sentì roteare, imprigionata in quell’estasi, vorticando via insieme a lui in mezzo alla tenebra.
Gli mise le braccia intorno alle spalle, gli appoggiò la testa sul petto e si lasciò affondare nella tenebra. Mentre cadeva, le parole della magia si mescolarono al canto del suo sangue e al canto delle pietre del Tempio...
E in mezzo a tutto questo, una singola nota discordante: un gemito aspro e straziante.
Tasslehoff Burrfoot sentì le pietre che cantavano, ed esibì un sorriso sognante. Ricordò di essere un topo che zampettava in mezzo alla polvere d’argento mentre le pietre cantavano...
Tas si risvegliò all’improvviso. Giaceva su un freddo pavimento di marmo, coperto di polvere e di macerie. Sotto di lui il suolo aveva ricominciato a tremare e a fremere. Tas seppe, a causa della strana e insolita sensazione di paura che andava crescendo dentro di lui, che stavolta gli dei facevano sul serio. Stavolta il terremoto non sarebbe finito.
«Crysania! Caramon!» gridò Tas, ma sentì rispondergli soltanto l’eco della sua voce stridula, che rimbalzò cavernosa dalle pareti sussultanti.
Alzandosi in piedi barcollante, ignorando il dolore alla testa, Tas vide che la torcia ardeva ancora sopra la stanza buia dentro la quale Crysania era entrata... quella parte dell’edificio sembrava non essere stata toccata dai sussulti convulsi del suolo.
Magia, pensò Tas vagamente, entrando nella stanza e riconoscendo cose stregonesche. Cercò segni di vita, ma vide soltanto le orrende creature imprigionate nelle gabbie che si scagliavano contro gli sportelli delle loro celle, sapendo che la fine della loro torturata esistenza era vicina, ma per nulla disposte a rinunciare alla vita, non importava quanto fosse dolorosa.
Tas si guardò intorno con occhi spiritati. Dov’erano mai andati tutti? «Caramon?» chiamò, con un filo di voce. Ma non vi fu nessuna risposta, soltanto un lontano borbottìo a mano a mano che i tremiti del terreno si intensificavano. Poi, alla vaga luce della torcia esterna, Tas intravide un luccichio metallico sul pavimento, vicino a una scrivania. Attraversando il pavimento con passo barcollante, Tas riuscì a raggiungerlo.
La sua mano si chiuse sull’elsa di una spada da gladiatore. Appoggiandosi alla scrivania per sorreggersi, Tas fissò la lama d’argento coperta di nere macchie di sangue. Poi sollevò qualcos’altro che si trovava sul pavimento sotto la spada: i resti d’un tessuto bianco. Vide dei ricami dorati raffiguranti il simbolo di Paladine luccicare opachi al bagliore della torcia. C’era un cerchio di polvere sul pavimento, polvere che un tempo avrebbe potuto essere stata d’argento ma che adesso era bruciata ed annerita.
«Se ne sono andati,» esclamò Tas con voce sommessa, rivolto alle farfuglianti creature chiuse nelle gabbie. «Se ne sono andati... sono rimasi tutto solo.»
Un improvviso sussulto del terreno fece cadere il kender carponi sul pavimento. Vi fu uno schiocco lacerante, così forte che quasi lo assordò. Le rocce si spezzarono, le fondamenta del Tempio si divisero.
E poi il Tempio stesso andò in frantumi. Le mura andarono in pezzi. I marmi si squarciarono. I diversi piani esplosero l’uno dopo l’altro, come i petali d’una rosa che si dischiudono alla luce del mattino... una rosa, questa, che sarebbe morta al calar della notte. Il kender seguì con lo sguardo quel terribile processo fino a quando vide la torre stessa del Tempio spaccarsi in due e crollare al suolo con uno schianto più devastante di un terremoto.
Incapace di muoversi, protetto dai potenti incantesimi delle tenebre lanciati da un mago malefico morto da tempo, Tas rimase nel laboratorio di Fistandantilus con lo sguardo levato al firmamento.
E vide che dal cielo cominciava a piovere fuoco.