«Amata dagli dei? Ma lo siamo tutti, non è così, Reverenda Figlia?» chiese Raistlin, voltandosi ancora una volta verso Crysania. La sua voce era morbida come il velluto delle sue vesti. «Non sta forse scritto nei dischi di Mishakal? Non è forse questo che insegna il divino Elistan?»
«Sì,» sillabò Crysania, fissandolo con sospetto, aspettandosi altri dileggi. Ma il suo volto metallico era serio, d’un tratto aveva l’aspetto d’un erudito, intelligente, saggio. «Così sta scritto.» Crysania esibì un freddo sorriso. «Mi fa piacere sentire che hai letto i sacri dischi, anche se è ovvio che non hai appreso nulla da essi. Non ricordi quello che viene detto nel...»
Fu interrotta da una sbuffata di Astinus.
«Sono stato distolto dai miei studi per anche troppo tempo.» Lo storico attraversò il pavimento di marmo fino alla porta dell’anticamera. «Suonate per chiamare Bertrem quando sarete pronti ad andarvene. Arrivederci, Reverenda Figlia. Arrivederci... vecchio amico.»
Astinus aprì la porta. Il pacifico silenzio della biblioteca fluì dentro la stanza, avvolgendo Crysania d’una corroborante frescura. Sentì che recuperava il controllo di sé e si rilassò. La sua mano lasciò andare il medaglione. Rivolse un inchino graziosamente formale ad Astinus, così come fece Raistlin. Poi, la porta si chiuse dietro lo storico. I due furono soli.
Per lunghi istanti nessuno dei due parlò. Poi Crysania, sentendo il potere di Paladine scorrerle attraverso il corpo, si voltò verso Raistlin. «Avevo dimenticato che sei stato tu e quelli che erano con te a recuperare i sacri dischi. È naturale che tu li abbia letti. Vorrei discuterli ulteriormente con te ma, d’ora in avanti, in qualunque futuro rapporto possa esserci tra noi, Raistlin Majere,» gli disse con la sua fredda voce, «ti chiederò di parlare di Elistan con maggior rispetto. Egli...»
S’interruppe stupefatta, osservando allarmata il corpo del mago che pareva sbriciolarsi davanti ai suoi occhi.
Scosso da accessi di tosse, stringendosi il petto, Raistlin annaspò per riuscire a respirare. Barcollò, e se non fosse stato per il bastone a cui si appoggiava, sarebbe caduto sul pavimento. Dimenticando la sua avversione e il disgusto, reagendo d’istinto, Crysania tese le braccia e, appoggiandogli le mani sulle spalle, mormorò una preghiera guaritrice. Sotto le sue mani le vesti nere erano morbide e calde. Potè sentire i muscoli di Raistlin contorcersi in preda agli spasimi, avvertì il suo dolore e le sue sofferenze. La pietà riempì il suo cuore.
Raistlin si sottrasse al suo tocco con uno scatto, spingendola via. Gradualmente la sua tosse si calmò. In grado di respirare di nuovo liberamente, la guardò con disprezzo.
«Non sprecare le tue preghiere per me, Reverenda Figlia,» disse in tono amaro. Tirò fuori dalle sue vesti un morbido panno, si sfregò le labbra, e Crysania vide che si macchiava di sangue. «Non c’è cura per la mia malattia. Questo è il sacrificio, il prezzo che ho pagato per la mia magia.»
«Non capisco,» lei mormorò. Le sue mani si contrassero ricordando vividamente la levigatezza morbida e vellutata delle vesti nere e, inconsapevolmente serrò le dita dietro la schiena.
«Davvero non capisci?» le chiese Raistlin, fissandola nelle profondità della sua anima con i suoi strani occhi dorati. «Qual è stato il sacrificio che hai fatto per il tuo potere?»
Un debole rossore, appena distinguibile alla luce del fuoco morente, tinse le guance di Crysania di sangue, proprio come ne erano tinte le labbra del mago. Allarmata da questa invasione del suo essere, Crysania distolse lo sguardo dal mago volgendo ancora una volta gli occhi verso la finestra.
La notte era scesa sopra Palanthas. La luna d’argento, Solinari, era un gancio luminoso nel cielo buio. La luna rossa, la sua gemella, non era ancora sorta. La luna nera - si sorprese a chiedersi Crysania - dov’è? Lui riesce davvero a vederla?
«Devo andare,» disse Raistlin, il respiro gli usciva raschiante. «Questi spasimi m’indeboliscono. Ho bisogno di riposo.»
«Certo.» Crysania si sentiva di nuovo calma. Con tutti i fili delle sue emozioni non più aggrovigliati ma disposti in bell’ordine, tornò a voltarsi per affrontarlo. «Ti ringrazio per essere venuto...»
«Ma la nostra faccenda non è conclusa,» disse Raistlin con voce sommessa. «Vorrei una possibilità per dimostrarti che queste paure dei tuoi sono senza fondamento. Ho un suggerimento. Vieni a farmi visita nella Porre della Grande Stregoneria. Là mi vedrai in mezzo ai miei libri e XXXX Mi nel X Quando l’avrai fatto, la tua mente si tranquillizzerà. Come inscenato dai Disci, noi temiamo soltanto ciò che ignoria - avvicinò a lei di un altro passo.
rillu da quella proposta, Crysania spalancò gli occhi. Cercò di irsi da lui ma, inavvertitamente, si era lasciata intrappolare o alla finestra. «Non posso venire... nella Torre,» disse balbettando mentre la sua vicinanza la soffocava, rubandole il respiro. Cercò di fargli intorno, ma lui mosse leggermente il proprio bastone, bloccandole la strada. Freddamente, lei continuò: «Gli incantesimi lanciati sopra di essa tengono tutti fuori... »
«Salvo coloro che io scelgo di far entrare,» bisbigliò Raistlin. Ripiegando il panno chiazzato di sangue, tornò a infilarlo in una tasca segreta della sua veste. Poi allungando un braccio prese la mano di Crysania.
«Come sei coraggiosa, Reverenda Figlia,» commentò. «Non tremi al mio tocco malefico.»
«Paladine è con me, » rispose Crysania, sprezzante.
Raistlin sorrise, un sorriso caldo, tenebroso e segreto... un sorriso per loro due soltanto. Ciò affascinò Crysania. Lui l’attirò vicino a sé, poi lasciò cadere la sua mano. Appoggiò il bastone alla sedia, tese le braccia e le prese la testa fra le esili mani, appoggiando le dita sul suo bianco cappuccio. Adesso Crysania tremò al suo tocco, ma non poteva muoversi, non poteva parlare o fare qualunque altra cosa se non fissarlo in preda a un’incontrollabile paura che non poteva né reprimere né capire.
Tenendola con mano ferma, Raistlin si sporse in basso e sfregò le proprie labbra chiazzate di sangue sulla sua fronte. Mentre lo faceva, farfugliò strane parole. Poi la lasciò andare.
Crysania inciampò e quasi cadde per terra. Si sentiva debole e stordita. Portò la mano alla fronte dove il tocco delle sue labbra le penetrava bruciante nella pelle causandole un dolore lancinante.
«Che cos’hai fatto?» gridò con voce rotta. «Non puoi lanciare un incantesimo su di me! La mia fede protegge...»
«Naturalmente.» Raistlin ebbe uno stanco sospiro, con un’espressione di dolore nel suo viso e nella sua voce, il dolore di qualcuno che viene sempre sospettato, frainteso. «Ti ho soltanto dato un incantesimo che ti permetterà di passare attraverso il Boschetto di Shoikan. Il percorso non sarà facile.» Il suo sarcasmo tornò. «Ma indubbiamente la tua fede ti sosterrà!»
Riabbassandosi il cappuccio sugli occhi, il mago rivolse in silenzio un inchino a Crysania, la quale riuscì soltanto a fissarlo, poi s’incamminò verso la porta con passi lenti ed esitanti. Allungando una mano scheletrica, tirò il cordone del campanello. La porta si aprì e Bertrem comparve così in fretta e all’improvviso da far intuire a Crysania che doveva aver sostato fino ad allora appena fuori della porta. Le sue labbra si strinsero. Lanciò all’estetico un’occhiata così furente e imperiosa che l’uomo impallidì visibilmente, anche se del tutto inconsapevole del crimine che aveva commesso, e si asciugò la fronte luccicante con la manica della sua veste.
Raistlin fece per andarsene, ma Crysania lo fermò. «Mi... mi scuso per non essermi fidata di te, Raistlin Majere,» disse con voce sommessa. «E, ancora una volta, ti ringrazio per essere venuto.»
Raistlin si voltò. «Ed io mi scuso per la mia lingua tagliente,» rispose. «Arrivederci, Reverenda Figlia. Se davvero non temi il sapere, allora vieni alla Torre, due notti da questa notte, quando Lunitari farà la sua prima comparsa nel cielo.»