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«E un Lannister paga sempre i suoi debiti» disse lady Nymeria. «Però mi sembra che lord Tywin intenda ripagarci con la nostra stessa moneta. Ho ricevuto un corvo messaggero da parte del nostro dolce ser Daemon, il quale è pronto a giurare che nel corso del duello mio padre ha ferito più volte quel mostro. Se così è, ser Gregor è come fosse già morto, e non grazie a Tywin Lannister.»

Il principe Doran fece una smorfia. Se per via della gotta o delle parole di sua nipote, al capitano non fu possibile dirlo. «Forse è andata così.»

«Forse? Di certo così.»

«Obara vorrebbe che io scendessi in guerra.»

Nym rise. «Sì, non vede l’ora di ridurre Vecchia Città in cenere. La odia tanto quanto la nostra sorella minore la ama.»

«E tu?»

Nym gettò uno sguardo oltre la carrozza, verso i suoi lancieri che cavalcavano una decina di incollature più indietro. «Ero a letto con i gemelli Fowler quando ho ricevuto la notizia» la udì dire il capitano. «Tu conosci il motto dei Fowler: "Che io mi levi in volo!". Ed è proprio questo che io ti chiedo, zio. Lascia che io mi levi in volo. Non mi serve un esercito possente, solo una dolce sorella.»

«Obara?»

«Tyene. Obara è troppo aggressiva. Tyene è così delicata e gentile che nessun uomo sospetterà mai di lei. Obara vorrebbe fare di Vecchia Città la pira funeraria di nostro padre, ma io non sono così avida. Per me saranno sufficienti quattro vite. I biondi gemelli di lord Tywin, come risarcimento per i bambini di Elia. Il vecchio Leone, per Elia stessa. E infine il piccolo re, per mio padre.»

«Il ragazzo non ci ha fatto alcun torto.»

«È un bastardo, frutto di tradimento, incesto e adulterio, a prestar fede alle parole di lord Stannis Baratheon.»

La dolcezza era completamente svanita dalla voce di lady Nymeria. Il capitano delle guardie, con gli occhi socchiusi, si ritrovò a osservarla. Sua sorella Obara portava una frusta e una lancia che chiunque poteva vedere. Lady Nymeria non era meno letale, anche se teneva ben celate le sue lame.

«Solo del sangue reale può ripagare l’assassinio di mio padre.»

«Oberyn è caduto in duello, uomo contro uomo, combattendo per una ragione che mai avrebbe dovuto riguardarlo. Questo io non lo chiamo assassinio.»

«Chiamalo come vuoi. Noi mandiamo loro l’uomo più eccezionale di Dorne, e loro ci rimandano indietro un mucchio d’ossa.»

«Oberyn è andato ben al di là di quanto gli avevo chiesto. "Valuta il giovane re e il suo concilio, analizza i loro punti di forza e di debolezza" gli dissi sulla terrazza. Stavamo mangiando arance. "Trova gli amici di Dorne, ammesso che ne esistano. Scopri quello che puoi riguardo alla morte di Elia, ma evita di provocare lord Tywin senza motivo": furono queste le parole che gli dissi. Oberyn rise. "E quando mai ho provocato un uomo… senza motivo?" rispose. "Faresti meglio a dire ai Lannister di non provocare me." Voleva che giustizia fosse fatta per Elia, ma non ha saputo aspettare…»

«Ha aspettato per diciassette anni» lo interruppe lady Nym. «Se fossi stato ucciso tu, mio padre avrebbe guidato i suoi vessilli di guerra a nord prima ancora che il tuo corpo fosse diventato freddo. Fossi stato tu, ora le lance cadrebbero fitte come gocce di pioggia sulle Terre Basse di Dorne.»

«Non ne dubito.»

«Né dovresti dubitare di questo, mio principe: le mie sorelle e io non aspetteremo diciassette anni per avere la nostra vendetta.»

Lady Nymeria diede di speroni e ripartì al galoppo verso Lancia del Sole, seguita dalla sua scorta come da un fiume in piena.

Il principe Doran si appoggiò allo schienale e chiuse gli occhi, ma Hotah sapeva che non stava dormendo. "Soffre." Per un momento pensò di chiamare maestro Caleotte, ma se il principe Doran avesse voluto, sarebbe stato lui a chiamarlo.

Le ombre del pomeriggio erano lunghe e scure, e il sole era rosso e turgido come le giunture del principe quando, a est, avvistarono le torri di Lancia del Sole. Per prima la snella Torre della lancia, alta centocinquanta piedi e sulla quale svettava una lancia di acciaio lucidato che aggiungeva altri trenta piedi alla sua altezza. Poi la possente Torre del sole, con la sua cupola d’oro e di vetro istoriato. Per finire, la Nave di sabbia, di colore grigio, che sembrava un mostruoso dromone venutosi ad arenare sulla spiaggia e divenuto pietra.

Solamente tre leghe di costa dividevano i Giardini dell’Acqua da Lancia del Sole, eppure erano come due mondi diversi. Là, i bambini giocavano nudi nel sole, la musica echeggiava nei corali ombreggiati e nell’aria dominava il profumo penetrante dei limoni e delle sanguinelle. Qui l’aria sapeva di polvere, fumo e sudore, e il berciare di mille voci riempiva le notti. Ai Giardini dell’Acqua una profusione di marmo rosa, a Lancia del Sole costruzioni di fango e paglia, color marrone e grigio scuro. L’antica fortezza della Casa Martell si ergeva sulla propaggine più orientale di un piccolo promontorio di roccia e sabbia, circondata su tre lati dal mare. Verso occidente, all’ombra delle mura massicce di Lancia del Sole, botteghe di fango e tuguri privi di finestre si abbarbicavano al castello come balani alla chiglia di una galea. Stalle e locande, osterie e bordelli erano cresciuti a ovest, molti racchiusi da proprie mura, e altre catapecchie spuntavano anche a ridosso di quelle mura. "E così via all’infinito’’ avrebbero detto i preti barbuti. Paragonata a città libere come Tyrosh, Myr o Grande Norvos, la città-ombra era poco più di un villaggio, eppure era quanto di più vicino a una vera e propria città avessero i dorniani.

Lady Nymeria li aveva preceduti di parecchie ore, e senza dubbio la Serpe delle Sabbie aveva allertato le guardie della venuta del principe: quando arrivarono, la Porta dell’albero piegato era spalancata. Quello era l’unico punto in cui le porte della città-ombra si allineavano una dietro l’altra, consentendo ai viandanti di superare tutti e tre gli anelli delle Mura Serpeggianti e di arrivare direttamente all’Antico Palazzo, senza dover percorrere miriadi di vicoli stretti, cortili nascosti e bazar rumorosi.

Arrivati in vista della Torre della lancia, il principe Doran aveva chiuso le tendine, eppure, al passaggio della carrozza, il popolino cominciò a urlare. "Le Serpi delle Sabbie li hanno portati all’ebollizione" pensò il capitano con inquietudine. Attraversarono lo squallido perimetro esterno e varcarono la seconda porta. Al di là, l’aria puzzava di catrame, salsedine e alghe putrescenti. E la folla si faceva a ogni passo più fitta.

«Fate largo al principe Doran!» tuonò Areo Hotah, battendo il manico dell’ascia contro i mattoni. «Largo al principe Doran!»

«Il principe è morto!» strillò una donna dietro di lui.

«Alle lance di guerra!» gridò qualcuno da un balcone.

«Doran!» chiamò una voce nobiliare. «Alle lance di guerra!»

Hotah rinunciò a individuare di chi fosse quella voce, la calca era troppo minacciosa, e un terzo di quella gente stava vociando. «Alle lance! Vendetta per la Vipera rossa!»

Quando raggiunsero la terza porta, le guardie stavano spingendo indietro la gente per consentire il passaggio della carrozza del principe, e la folla cominciava a lanciare oggetti. Un ragazzo coperto di stracci oltrepassò i lancieri con una melagrana marcia in mano. Ma quando vide Areo Hotah stagliarsi davanti a lui, con la lunga ascia bipenne pronta a colpire, lasciò cadere a terra il frutto senza lanciarlo e batté rapidamente in ritirata. Più indietro, altri si misero a tirare limoni e arance. «Guerra! Guerra!» urlavano. «Alle lance!» Una delle guardie fu colpita a un occhio da un limone, lo stesso Hotah fu centrato da un’arancia che gli si spappolò su un piede.

Nessuna risposta venne dalla carrozza. Doran Martell rimase celato dietro le sete fino a quando le spesse mura della fortezza inghiottirono tutti loro e la grata difensiva calò con un pesante tonfo metallico. L’eco delle grida si perse lentamente. La principessa Arianne era in attesa nel cortile esterno, pronta ad accogliere il padre, con attorno metà della corte: il vecchio, cieco siniscalco Ricasso, ser Manfrey Martell, il castellano, il giovane maestro Myles dalle tuniche grigie e la barba profumata, due schiere di cavalieri dorniani in lini fluenti dalle mille sfumature. La piccola Myrcella Baratheon era in piedi tra la sua septa e ser Axys Oakheart della Guardia reale, grondante sudore nella bianca armatura.