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La principessa Arianne si avvicinò alla carrozza calzando sandali di pelle di serpente allacciati fino alla coscia. I capelli erano una cascata di trecce nere come l’inchiostro, lunghe fino alle reni, e attorno alla fronte portava una catenella di soli di rame. "È ancora poco più di una bambina" pensò il capitano. Mentre le Serpi delle Sabbie erano tutte alte, Arianne aveva preso dalla madre, che era alta cinque piedi e due pollici. Eppure, sotto quella radiosa ghirlanda e i numerosi, fluenti strati di sete viola e gialle, si celava un corpo di donna, formoso e sensuale.

«Padre!» lo salutò quando le tendine della carrozza si aprirono. «Lancia del Sole si rallegra del tuo ritorno.»

«Sì, non mi è sfuggita la gioia.» Il principe Doran rispose con un debole sorriso e accarezzò la guancia della figlia con una mano gonfia, arrossata. «Hai un magnifico aspetto. Capitano, avrei bisogno di aiuto per scendere.»

Hotah fissò l’ascia lunga nella cinghia sulla schiena e prese il principe tra le braccia, delicatamente, per non tormentare le articolazioni infiammate. Ciononostante, Doran Martell represse un gemito di dolore.

«Ho dato ordine ai cuochi di allestire un banchetto per questa sera» disse Arianne «con i tuoi piatti preferiti.»

«Temo di non poter rendere loro onore.» Il principe fece scorrere lentamente lo sguardo sul cortile della fortezza. «Non vedo Tyene.»

«Ha chiesto di poterti parlare in privato. L’ho mandata ad attendere il tuo arrivo nella sala del Trono.»

Il principe sospirò. «Molto bene. Capitano? Prima avrò sbrigato questa faccenda, prima mi potrò riposare.»

Hotah lo portò su per i lunghi scalini di pietra della Torre del sole, fino alla grande sala circolare sotto la cupola, dove l’ultima luce del pomeriggio entrava in lame oblique dalle profonde finestre ornate di marmi multicolori, spargendo manciate di diamanti iridescenti sul pavimento di marmo chiaro. Era là che la terza Serpe delle Sabbie li aspettava.

Sedeva a gambe incrociate su un cuscino sotto la piattaforma su cui si ergevano i troni di Dorne. Quando entrarono, si alzò. Indossava una tunica aderente di spessa seta azzurra, con le maniche in pizzo di Myr che la facevano apparire innocente come una vergine. In una mano teneva il ricamo che stava facendo, nell’altra due aghi dorati. Anche i suoi capelli erano dorati, e gli occhi erano laghi blu scuro… che in qualche modo ricordarono al capitano gli occhi di suo padre, anche se quelli del principe Oberyn erano neri come la notte. "Tutte le figlie del principe Oberyn hanno i suoi stessi occhi da vipera" si rese improvvisamente conto Hotah. "Non importa il colore."

«Zio» disse Tyene Sand. «Ti stavo aspettando.»

«Capitano, portami fino allo scanno alto.»

Sulla piattaforma c’erano due troni, pressoché identici tranne che sul retro della spalliera di uno, incastonata in oro, c’era la lancia dei Martell, mentre sull’altro spiccava il sole incandescente che garriva sugli alberi delle navi dei guerrieri di Rhoyne, quando millenni prima erano approdati sulle coste di Dorne. Il capitano adagiò il principe sullo scanno con la lancia e si allontanò.

«Soffri così tanto?» La voce di lady Tyene era gentile, e lei sembrava dolce come le fragole mature. Sua madre era stata una septa e attorno a Tyene aleggiava un’aura di innocenza quasi ultraterrena. «C’è nulla che io possa fare per lenire la tua sofferenza?»

«Di’ quello che hai da dire, Tyene, e lasciami riposare. Sono molto stanco.»

«Questo l’ho fatto per te, zio.» Tyene dispiegò il ricamo cui stava lavorando. Rappresentava suo padre, il principe Oberyn Martell, in sella a uno stallone del deserto, sorridente, con un’armatura rossa. «Quando l’avrò finito, sarà tuo e ti aiuterà a ricordarlo.»

«Non potrei mai dimenticare tuo padre.»

«Mi fa piacere saperlo. Sono in molti a dubitarne.»

«Lord Tywin ci ha promesso la testa della Montagna che cavalca.»

«È molto gentile da parte sua… ma la mannaia del boia non è la giusta fine per il valoroso ser Gregor Clegane. Abbiamo pregato così a lungo per la sua morte, ed è giusto che anche lui lo faccia. So quale veleno ha usato mio padre: il più lento e terribile. Presto udiremo le urla della Montagna, perfino qui a Lancia del Sole.»

Il principe Doran sospirò. «Obara è venuta a chiedermi la guerra. Nymeria si accontenterebbe dell’assassinio. E tu?»

«La guerra» rispose Tyene «ma non quella che intende mia sorella. I dorniani combattono meglio nella loro terra, quindi io dico: affiliamo le nostre lance e aspettiamo. Quando i Lannister e i Tyrell marceranno contro di noi, li stermineremo sui passi di montagna e li seppelliremo sotto le tempeste di sabbia, così come abbiamo fatto cento e cento volte in passato.»

«Se marceranno contro di noi.»

«Oh, lo devono fare, se non vogliono vedere di nuovo il regno diviso, com’era prima che noi sposassimo i draghi. Me lo ha detto mio padre. Ha detto anche che dobbiamo ringraziare il Folletto, per averci mandato la principessa Myrcella. È così graziosa, non trovi? Mi piacerebbe avere dei riccioli come i suoi. È fatta per essere regina, proprio come sua madre.» Sulle guance di Tyene apparvero due fossette maliziose. «Sarei onorata di organizzare il matrimonio, e anche di controllare la forgiatura delle corone. Trystane e Myrcella sono così ingenui e innocenti. Pensavo, magari, oro bianco… e smeraldi, lo stesso colore degli occhi di Myrcella. Oh, anche diamanti e perle andrebbero bene, purché si sposino e vengano incoronati. Poi, l’unica cosa che dobbiamo fare è proclamare Myrcella regina degli Andali e dei Rhoynar e dei Primi Uomini ed erede di diritto dei Sette Regni d’Occidente. E poi attendere l’arrivo dei Leoni.»

«Erede di diritto?» ringhiò il principe Doran.

«È più vecchia di suo fratello Tommen» spiegò Tyene, come se stesse parlando con uno sprovveduto. «Secondo la legge, il Trono di Spade spetta a lei.»

«Secondo la legge dorniana.»

«Quando il buon re Daeron sposò la principessa Myriah e ci portò nel proprio regno, l’accordo fu che la legge dorniana sarebbe stata per sempre la legge di Dorne. E Myrcella è a Dorne.»

«Effettivamente è qui.» Il tono di Doran era aspro. «Lascia che ci pensi sopra.»

Tyene si irrigidì. «Tu pensi troppo, zio.»

«Davvero?»

«Era mio padre a dirlo.»

«Tuo padre, per contro, non pensava abbastanza.»

«Certi uomini pensano perché hanno paura di agire.»

«C’è una certa differenza tra paura e prudenza.»

«In tal caso, zio, pregherò perché tu non sia mai spaventato. Potresti dimenticarti di respirare…» Tyene alzò una mano.

Il capitano delle guardie batté l’estremità dell’ascia lunga sul pavimento di marmo con un colpo secco. «Mia signora, stai osando troppo. Allontanati dalla piattaforma, se ti compiace.»

«Non ho cattive intenzioni, capitano. Io voglio bene a mio zio, così come so lui ne voleva a mio padre.» Tyene mise un ginocchio a terra al cospetto del principe. «Ho detto tutto quello che volevo dire, zio. Se ti ho arrecato offesa, perdonami. Il mio cuore è a pezzi. Ho ancora il tuo amore?»

«Sempre.»

«Allora concedimi la tua benedizione, e io mi congederò.»