Doran ebbe un momento di esitazione prima di porre la mano sul capo della nipote. «Abbi coraggio, figliola.»
«Oh, e come potrei non averne? Sono sua figlia.»
Appena Tyene lasciò la sala del Trono, maestro Caleotte si precipitò verso la piattaforma. «Mio principe, la fanciulla non avrà… lascia che guardi la tua mano.»
Il maestro esaminò prima la palma. Poi, girò con delicatezza la mano e annusò il dorso delle dita. «No, tutto bene. Non ci sono graffi, per cui…»
Il principe Doran ritirò la mano. «Maestro, posso avere del latte di papavero? Una piccola coppa sarà sufficiente.»
«Papavero. Sì, certo.»
«Lo vorrei subito.» La voce di Doran Martell era carica di cortese urgenza.
Caleotte si affrettò verso le scale.
Fuori, il sole era tramontato. La luce all’interno della cupola aveva assunto le tonalità del crepuscolo, e sul pavimento tutti i diamanti stavano svanendo. Il principe rimase seduto sul suo alto scanno, sotto la lancia dei Martell, con il volto terreo per il dolore.
Dopo un lungo silenzio si voltò verso Areo Hotah. «Capitano, quanto sono leali le mie guardie?»
«Sono leali.» Il capitano non sapeva cos’altro dire.
«Tutte quante o solo alcune?»
«Sono bravi uomini. Bravi dorniani. Faranno quello che io comanderò loro.» Hotah batté di nuovo l’asta dell’ascia sul pavimento. «Ti porterò la testa di chiunque osasse tradirti.»
«Non voglio teste, voglio obbedienza.»
«L’avrai.» Servire. Obbedire. Proteggere. Parole semplici per uomini semplici. «Quanti uomini sono necessari?»
«Lascerò decidere a te. Pochi uomini fidati possono essere meglio di un esercito. Voglio che la cosa venga fatta nel modo più rapido e quieto possibile, senza spargimento di sangue.»
«Rapido, quieto e pulito, aye. Che cosa comandi?»
«Troverai le figlie di mio fratello Oberyn, le metterai agli arresti e le confinerai nelle celle in cima alla Torre della lancia.»
«Le Serpi delle Sabbie?» La gola del capitano era secca. «Tutte… tutte e otto, mio principe? Anche le piccole?»
Il principe Doran rifletté. «Le figlie di Ellaria sono troppo giovani per rappresentare un pericolo, ma le altre potrebbero servirsi di loro contro di me. Di conseguenza, sarebbe meglio che tutte fossero sotto controllo. Per cui, sì, anche le piccole… Ma prima Tyene, Nymeria e Obara.»
«Come il mio principe comanda.» Il cuore di Hotah era tormentato. "Alla mia piccola principessa questo non piacerà." «E Sarella? È una donna fatta, ha quasi vent’ anni.»
«A meno che non faccia ritorno a Dorne, non c’è nulla che io possa fare riguardo a lei se non pregare che dia prova di maggiore buonsenso delle sue sorelle. Lascia che giochi la sua… partita. Prendi le altre. Non dormirò fino a quando non saprò che le Serpi sono al sicuro e sotto sorveglianza.»
«Sarà fatto.» Il capitano esitò. «Quando si verrà a sapere, il popolino comincerà a strepitare.»
«Tutta Dorne comincerà a strepitare.» La voce di Doran Martell era stanca. «Prego solo che lord Tywin possa udire quello strepito fino ad Approdo del Re, e sappia così quale leale amico ha a Lancia del Sole.»
CERSEI
Sognò di sedere sul Trono di Spade, più in alto di tutti.
Sotto di lei, i cortigiani erano come topi dai vividi colori. Grandi lord e orgogliose lady si inginocchiavano al suo cospetto. Valorosi cavalieri deponevano le loro spade ai suoi piedi, invocando i suoi favori. La regina concedeva loro il suo sorriso. Fino a quando, dal nulla, apparve il nano. Puntava il dito verso di lei e rideva in modo sguaiato. Anche i lord e le lady cominciarono a sghignazzare, celando i sorrisi dietro le dita. Solo a quel punto la regina si rese conto di essere nuda.
Inorridita, cercò di coprirsi con le mani. Si chinò in avanti per nascondere le vergogne, i rostri e le lame del Trono di Spade artigliarono le sue carni. Il sangue le ruscellò lungo le gambe mentre zanne di acciaio la mordevano nel didietro. Quando cercò di alzarsi, un piede scivolò in un vuoto in agguato fra tutto quel metallo contorto. Più si agitava, più il trono la stringeva, strappandole brandelli di carne dal seno, dal ventre, infliggendole tagli sulle braccia e le gambe, finché tutto il suo corpo diventò un simulacro rosso e luccicante.
Mentre il nano suo fratello, là sotto, continuava a sbellicarsi dalle risate…
Le sentiva ancora echeggiare quando percepì un lieve tocco sulla spalla.
Si svegliò con un sussulto. Per un momento, anche quel tocco sembrò far parte dell’incubo. Cersei gridò, ma era solo Senelle. Il viso della serva era pallido, spaventato.
"Non siamo sole" capì la regina. C’era una folla di ombre attorno al suo letto, figure alte, cotte di maglia di ferro scintillanti sotto i mantelli. Uomini d’arme: non avrebbero dovuto trovarsi lì. "Dove sono le mie guardie?" La sua camera da letto era immersa nell’oscurità, tranne che per la lanterna che uno degli intrusi teneva sollevata. "Non devo mostrare di aver paura."
Cersei spinse indietro i capelli arruffati dal sonno. «Che cosa volete?»
Uno degli uomini avanzò nell’alone di luce della lanterna. Cersei vide che la sua cappa era bianca: la Guardia reale. «Jaime?» "Ho sognato uno dei miei fratelli, ma l’altro viene a svegliarmi."
«Maestà.» Non era la voce di suo fratello. «Il lord comandante ci ha incaricato di venire a prenderti.»
L’uomo aveva i capelli ricci come quelli di Jaime, ma suo fratello era biondo oro, come lei, mentre i capelli di quest’uomo erano neri e unti. Cersei rimase a fissarlo, disorientata, mentre l’uomo borbottava qualcosa riguardo a una latrina e a una balestra. Alla fine, nominò suo padre. "Sto ancora sognando" pensò Cersei. "Non mi sono svegliata, l’incubo non ha avuto fine. Ben presto Tyrion striscerà fuori da sotto il letto e mi riderà in faccia."
No, era la follia. Suo fratello Tyrion, il nano deforme, era giù nelle celle nere, condannato a morire quello stesso giorno. Cersei abbassò lo sguardo sulle proprie mani, per accertarsi di avere ancora tutte le dita. Quando si accarezzò un braccio, sentì la pelle d’oca, ma non c’erano tagli, e nemmeno sulle gambe, e non aveva piaghe sulle piante dei piedi. Un sogno, nient’altro che un sogno. "Ieri sera ho bevuto troppo, queste paure sono solamente gli umori provocati dal vino. Sarò io a ridere per ultima, quando calerà il crepuscolo. I miei figli saranno al sicuro, anche il trono di Tommen, e quel piccolo, contorto valonqar marcirà senza più la testa attaccata alle spalle.
Jocelyn Swyft era al suo fianco e le porse una coppa. Cersei bevve: acqua e limone spremuto, così aspra che la sputò. Sentiva il vento della notte scuotere le imposte, e la sua mente era stranamente lucida. Jocelyn tremava come una foglia, spaventato quanto Senelle. Ser Osmund Kettleblack incombeva su di lei. Alle sue spalle c’era ser Boros Blount con la lanterna. Sulla porta c’erano dei Lannister armati, con gli emblemi del leone scintillanti, sulle creste dei loro elmi. Anche loro parevano spaventati. "Può essere?" si chiese la regina. "Può essere vero?"
Cersei si alzò e lasciò che Senelle le mettesse una vestaglia da camera sulle spalle per nascondere la sua nudità. Cersei si allacciò da sola la cintura, le sue dita erano rigide, goffe.
«Il lord mio padre ha guardie attorno a sé, giorno e notte» disse.
Sentiva la lingua gonfia. Bevve un altro sorso di acqua e limone, sciacquandosi la bocca per rinfrescare l’alito. Una falena era andata a finire nella lanterna di ser Boros. Cersei ne udiva il ronzio, vedeva l’ombra dell’insetto che sbatteva contro il vetro.
«Le guardie erano ai loro posti, maestà» disse ser Osmund Kettleblack. «Abbiamo trovato una porta nascosta dietro il caminetto. Un passaggio segreto. Il lord comandante è andato a esplorare dove conduce.»