In ginocchio tra il letto e la parete, Brienne impugnò la lama e levò una preghiera silenziosa alla Vecchia, la cui lanterna dorata mostrava agli uomini il cammino nella vita. "Guidami tu" invocò Brienne "illumina il mio cammino, mostrami la via che conduce a Sansa Stark." Aveva fallito con Renly, aveva fallito con lady Catelyn. Non doveva fallire anche con Jaime. "Ha affidato a me la sua spada. Ha affidato a me il suo onore."
Dopo di che, si sistemò nel letto meglio che poté. Pur essendo largo, non era abbastanza lungo, per cui Brienne si sdraiò di traverso. Poteva ancora udire il cozzare dei boccali salire dalla sala comune, le voci echeggiare su per le scale. Le cimici di cui Longbough aveva parlato fecero la loro comparsa. Il prurito l’aiutò a stare sveglia.
Udì Hibald salire le scale e, qualche tempo dopo, anche i cavalieri. «… Non ho mai saputo come si chiamasse» stava dicendo ser Creighton, passando nel corridoio «ma sullo scudo aveva come emblema un pollo rosso sangue, e la sua lama grondava budella…» La sua voce si perse. Da qualche parte al piano superiore, una porta si aprì e si richiuse.
La candela si estinse. L’oscurità calò sul Vecchio ponte di pietra e la locanda divenne così silenziosa da poter udire il sussurro del fiume. Solo allora Brienne si alzò, per raccogliere le proprie cose. Si accostò alla porta, tese l’orecchio, restò in ascolto, scese le scale a piedi nudi. Una volta all’esterno, infilò gli stivali e si diresse verso le stalle per sellare la giumenta, chiedendo silenziosamente perdono a ser Creighton e ser Illifer mentre montava. Uno dei servitori di Hibald si svegliò quando lei gli passò davanti, ma non fece nulla per fermarla. Gli zoccoli della cavalla batterono sul vecchio ponte di pietra. Poi gli alberi si chiusero attorno a lei, neri come l’inchiostro, pieni di spettri e di memorie. "Sto venendo da te, lady Sansa" pensò Brienne cavalcando verso le tenebre. "Non temere. Non avrò requie fino a quando non ti avrò trovato."
SAMWELL
Stava leggendo degli Estranei quando notò il topo.
Aveva gli occhi arrossati e gli bruciavano. "Non dovrei continuare a stropicciarmeli" si ripeté per l’ennesima volta mentre se li sfregava. La polvere li faceva prudere e lacrimare, e là sotto la polvere era dappertutto. Piccoli sbuffi si sollevavano ogni volta che Sam voltava una pagina, altra polvere si gonfiava in nubi grigiastre quando spostava una intera pila di libri, per vedere che cosa poteva esserci nascosto sotto.
Samwell Tarly, il Guardiano della notte, il Distruttore, non ricordava quando era stata l’ultima volta che aveva dormito. Della grassa candela di sego che aveva acceso quando aveva cominciato a esaminare il fascio di pagine malridotte, trattenute alla meglio da un laccio, ormai restava meno di un pollice. Era stanco come una bestia da soma, eppure non riusciva a smettere. "Solo un altro libro" continuava a dirsi "poi mi fermo. Solo un altro foglio, solo uno. Un’altra pagina, poi vado di sopra a riposare e a mangiare qualcosa." Ma c’era sempre un’altra pagina, e dopo quella un’altra ancora, e un altro libro in attesa in fondo alla pila. "Do solo un’occhiata veloce, per vedere di cosa parla" pensava, e prima di rendersene conto ne aveva letto metà. Dopo la tazza di zuppa di fagioli e pancetta con Pyp e Grenn non aveva più mangiato niente. "Be’, a parte il pane e il formaggio" pensò "ma quello era solo uno spuntino." Fu allora che lanciò uno sguardo al piatto vuoto e vide il topo banchettare con le briciole di pane.
Era un topino lungo la metà del suo dito mignolo, occhietti neri e morbido pelo grigio. Samwell sapeva che avrebbe dovuto ucciderlo. I topi prediligono il pane e il formaggio, ma mangiano anche le pergamene. Sam aveva trovato molti escrementi di topo tra gli scaffali e i montanti, e le rilegature in cuoio di alcuni libri mostravano di essere state rosicchiate.
"È una creatura talmente piccola, però. E affamata." Come poteva risentirsi per poche briciole? "Però, se mangia…"
Dopo tutte quelle ore trascorse seduto, Sam sentiva la schiena rigida come un’asse di legno e le gambe mezzo intorpidite. Sapeva di non essere abbastanza rapido per prenderlo, ma forse sarebbe riuscito a schiacciarlo. Accanto a lui c’era una robusta copia rilegata in pelle degli Annali del Centauro Nero, un resoconto estremamente dettagliato, scritto da septon Jorquen, dei nove anni in cui Orbert Caswell aveva servito come lord comandante dei Guardiani della notte. C’era una pagina per ogni singolo giorno del suo impero, e ognuna cominciava con "Lord Orbert si alzò all’alba e andò di corpo" tranne l’ultima: "Lord Orbert venne rinvenuto all’alba, morto nel suo letto durante la notte".
"Non c’è topo che possa tener testa a septon Jorquen." Con molta lentezza, Sam afferrò il libro con la sinistra. Era un volume spesso e pesante, e quando cercò di alzarlo con una mano sola, gli scivolò tra le dita grassocce e ricadde con un tonfo. In un attimo, il topo svanì, rapido come la folgore. Sam si sentì sollevato. Schiacciare quell’animaletto gli avrebbe procurato degli incubi.
«Però non dovresti mangiare i libri» disse a voce alta. Forse, la prossima volta avrebbe dovuto portare più formaggio.
Notò con sorpresa quanto si era consumata la candela. E quella zuppa di fagioli e pancetta, era ieri che l’aveva mangiata? "Ieri, sì, dev’essere stato ieri." Un pensiero che gli provocò uno sbadiglio. Jon probabilmente si stava domandando dove fosse finito, ma Sam non dubitava che maestro Aemon avrebbe capito. Prima di perdere la vista, l’anziano saggio del Castello Nero amava i libri quanto Samwell Tarly. E capiva in che modo a volte si potesse venir risucchiati da loro, come se ogni pagina fosse un vortice che trasporta in un altro mondo.
Sam si costrinse ad alzarsi, con una smorfia per i formicolii ai polpacci. Il sedile era molto duro, e ogni volta che Sam si chinava in avanti su una pagina il bordo premeva contro il retro delle sue cosce. "La prossima volta devo ricordarmi di portare giù un cuscino." Ancora meglio sarebbe stato dormire là sotto, nella cella che aveva trovato seminascosta dietro quattro bauli pieni di pagine sciolte, staccatesi dai libri cui erano appartenute, ma non voleva lasciare maestro Aemon da solo per così lungo tempo. L’anziano sapiente non era stato bene negli ultimi tempi e aveva bisogno di aiuto, specialmente con i corvi messaggeri. Aemon aveva Clydas, d’accordo, ma Sam era più giovane e se la cavava meglio con i corvi.
Con una quantità di libri e di rotoli sotto il braccio sinistro, reggendo la candela con la mano destra, Sam avanzò lungo l’intrico di tunnel che i confratelli in nero chiamavano "il labirinto dei vermi". Una lama di luce pallida illuminava i gradini di pietra che conducevano in superficie, e Sam capì che fuori era giorno. Lasciò la candela accesa in una nicchia nella parete e cominciò a salire. Al quinto gradino aveva il fiato grosso. Al decimo si fermò per passare i libri sotto il braccio destro.
Una volta emerso, si trovò sotto un cielo dal colore livido. "Cielo da neve" pensò, alzando lo sguardo. Neve. La prospettiva lo mise a disagio. Gli ricordava quella notte, sul Pugno dei Primi Uomini, quando i morti che camminano e le nevi si erano alleati. "Non essere tanto codardo. Hai al tuo fianco i confratelli in nero, per non parlare di Stannis Baratheon e di tutti i suoi cavalieri." I manieri e le torri del Castello Nero, piazzaforte dei Guardiani della notte, si ergevano tutt’attorno a lui, rimpiccioliti dall’immensità della Barriera. Sull’immane muraglia di ghiaccio, a un quarto dell’altezza, stava lavorando un piccolo esercito per costruire una nuova scala che sarebbe andata a ricongiungersi con quanto restava della vecchia, distrutta nell’estrema difesa contro i bruti. Il rumore delle seghe e delle mazze echeggiava tra i ghiacci. Jon Snow, nuovo lord comandante dei Guardiani della notte, stava facendo lavorare i costruttori giorno e notte. A cena, Sam ne aveva sentiti parecchi che si lamentavano, insistendo che lord Mormont, il Vecchio Orso, predecessore di Jon, non li aveva mai fatti sgobbare così tanto. Senza la grande scala, l’unico modo per raggiungere la sommità della Barriera era l’argano a catena. Samwell Tarly odiava le scale, tutte le scale, ma odiava ancora di più la gabbia dell’argano. Chiudeva sempre gli occhi, convinto che la catena stesse per spezzarsi. Ogni volta che la gabbia di ferro strisciava contro il ghiaccio, il suo cuore cessava per un attimo di battere.