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«Lo stesso vale per te, Sam. Che tu possa avere un viaggio rapido e sicuro. Abbi cura di lei, del bimbo e di Aemon.» Jon sorrise, un sorriso strano e triste. «E tira su il cappuccio. I fiocchi di neve ti stanno bagnando i capelli.»

ARYA

Debole e remoto scintillava quel chiarore, basso sull’orizzonte, vivido tra le nebbie oceaniche.

«Sembra una stella» disse Arya Stark.

«La stella di casa» aggiunse Denyo.

Il padre di Denyo stava impartendo ordini. Marinai si arrampicavano su e giù per i tre grandi alberi del vascello, muovendosi lungo il sartiame, dispiegando le spesse vele di colore viola. Sotto coperta, i rematori si spezzavano la schiena sui due ordini di lunghi remi. Le tolde si inclinarono scricchiolando mentre la galea Figlia del Titano iniziava la virata a babordo.

"La stella di casa." Arya rimase sulla prora, reggendosi con una mano all’elaborata polena, una fanciulla che reggeva un cesto di frutta. Per un battito di ciglia, Arya volle fingere di credere che davanti a lei ci fosse davvero la sua casa.

Ma era un’idea sciocca. La sua casa non c’era più, i suoi genitori erano morti e tutti i suoi fratelli erano stati assassinati, tranne Jon Snow, ancora sulla Barriera. Era là che anche Arya sarebbe voluta andare. Lo aveva detto al capitano della Figlia del Titano, ma neppure la singolare moneta di ferro era bastata a smuoverlo. Sembrava che Arya Stark non riuscisse mai ad andare dove voleva. Yoren, il confratello reclutatore dei Guardiani della notte, aveva giurato di riportarla a Grande Inverno. Invece Arya era finita a Harrenhal, la fortezza maledetta, e Yoren era sotto terra. Una volta fuggita da Harrenhal diretta a Delta delle Acque, Lem, Anguy e Tom Settecorde, guerrieri e fuorilegge, l’avevano presa prigioniera e trascinata fino alla collina cava. Poi era riapparso Sandor Clegane, il Mastino, che l’aveva presa dalla collina cava e trascinata alle Torri Gemelle. Dopo la morte di suo fratello Robb e la distruzione dell’esercito del Nord a opera del vile tradimento dei Frey, Arya aveva lasciato il Mastino a morire lungo il Tridente ed era andata avanti da sola fino alle Padelle Salate, nella speranza di trovare un passaggio fino al Forte Orientale, caposaldo est della Barriera, ma…

"Braavos potrebbe non essere così male. Syrio era di Braavos, e anche Jaqen porrebbe essere là." Era stato Jaqen H’ghar, il misterioso uomo in grado di mutare il proprio aspetto, a darle l’altrettanto misteriosa moneta di ferro. Jaqen non era stato un suo vero amico, non come Syrio Forel, il defunto maestro di scherma, ma infine cosa mai avevano fatto per lei i buoni amici? "Non mi servono amici: mi basta Ago." Passò il pollice sul liscio pomello dell’elsa della spada, desiderando…

In verità, Arya non era certa di che cosa desiderasse, così come non era certa di che cosa l’aspettasse oltre quella luce lontana. Il capitano della galea le aveva dato un passaggio ma non aveva avuto tempo da dedicarle. Una parte degli uomini dell’equipaggio l’aveva ignorata, in compenso altri le avevano fatto dei regali: una forchetta d’argento, guanti a mezze dita, un berretto floscio di lana con pezze di cuoio. Uno le aveva insegnato a fare i nodi da marinaio. Un altro le aveva offerto minuscole coppe di vino di fuoco. I marinai amichevoli si indicavano il petto, ripetendo senza sosta i loro nomi fino a quando Arya riusciva a pronunciarli, anche se nessuno le aveva mai chiesto il suo, di nome. La chiamavano Salty, perché si era imbarcata alle Padelle Salate, vicino alla foce del Tridente. Era un nome come un altro, pensò Arya.

L’ultima stella della notte era scomparsa… a parte le due che brillavano esattamente davanti alla prora.

«Adesso le stelle sono due.»

«Due occhi» disse Denyo. «Il Titano ci vede.»

"Il Titano di Braavos." La Vecchia Nan, l’anziana nutrice di Grande Inverno, raccontava a lei e ai suoi fratelli storie del Titano. Un gigante di pietra, alto quanto una montagna, che emetteva fiamme dagli occhi ogni volta che Braavos era in pericolo, e quando attraversava il mare per schiacciare i nemici i suoi arti di pietra facevano un rumore terribile.

"I braavosiani lo nutrono con la carne rosea delle fanciulle nobili" concludeva sempre la Vecchia Nan, e Sansa emetteva un lamento simile a un belato. Ma maestro Luwin, il saggio di Grande Inverno, diceva che il Titano era solo una statua, e che le storie della Vecchia Nan erano frutto della sua fantasia.

"Grande Inverno adesso è bruciata e in rovina" ricordò Arya a se stessa. Probabilmente la Vecchia Nan e maestro Luwin erano morti entrambi, e anche Sansa. Pensare a loro non serviva a nulla. "Tutti gli esseri umani devono morire." Era questo il significato delle parole che Jaqen H’ghar le aveva insegnato, dandole l’usurata moneta di ferro. Da quando aveva lasciato Padelle Salate, Arya aveva appreso altre parole in braavosiano, "per favore", "grazie", "mare", "stella" e "vino di fuoco", ma a quelle parole era arrivata sapendo che "tutti gli esseri umani devono morire". La maggior parte della ciurma della Figlia aveva una infarinatura del linguaggio comune grazie alle notti trascorse in franchigia a Vecchia Città, ad Approdo del Re e a Maidenpool, per quanto solo il capitano e i suoi figli lo parlassero bene abbastanza da comunicare con lei. Dei figli, Denyo era il più giovane, un ragazzino di dodici anni, rotondetto e allegro, che teneva in ordine la cabina del padre e aiutava i fratelli maggiori a far di conto.

«Spero che il tuo Titano non sia affamato» gli disse Arya.

«Affamato?» ripeté Denyo, perplesso.

«Lascia perdere.»

Quand’anche il Titano si fosse davvero cibato della carne rosea delle fanciulle nobili, Arya non lo temeva. Era una ragazzina minuta, certamente non adatta al pasto di un gigante, e a quasi undici anni era ormai una donna fatta. "E poi Salty non è una fanciulla nobile."

«Il Titano è il dio di Braavos?» chiese a Denyo. «Oppure venerate i Sette Dèi?»

«Tutti gli dèi vengono venerati a Braavos.» Il figlio del capitano amava parlare della sua città tanto quanto della nave di suo padre. «I tuoi Sette Dèi hanno un tempio, qui, il Tempio al di là del Mare, ma solo i marinai del continente occidentale ci vanno.»

"Non sono i miei Sette Dèi. Quelli erano gli dèi di mia madre, eppure hanno permesso che anche lei venisse assassinata dai Frey alle Torri Gemelle." Arya si domandò se a Braavos avrebbe potuto trovare un parco degli dèi, con un albero-diga al centro. Denyo forse lo sapeva, ma lei non poteva chiedergli una cosa del genere. Salty veniva da Padelle Salate, e una ragazzina di Padelle Salate che cosa mai poteva saperne degli antichi dèi del Nord? "Gli antichi dèi sono morti… come mia madre, mio padre, Robb, Bran, Rickon. Sono tutti morti." Molto tempo prima, ricordava che suo padre, lord Eddard Stark, le aveva detto che quando i gelidi venti soffiano il lupo solitario muore mentre il branco sopravvive. "Invece è vero il contrario." Arya, il lupo solitario, continuava a vivere, mentre i lupi del branco erano stati presi, uccisi e scuoiati.

«I Cantori della Luna ci guidarono in questo rifugio, dove i draghi di Valyria non ci potevano trovare» disse Denyo. «Il loro è il tempio più grande. Noi veneriamo anche il Padre delle Acque, ma la sua dimora viene ricostruita ogni volta che lui prende moglie. Gli altri dèi risiedono tutti insieme su un’isola al centro della città. È là che troverai il… dio dai Mille volti.»

Gli occhi del Titano sembravano più luminosi, adesso, e più distanziati l’uno dall’altro. "Ser Gregor" pensò Arya "Dunsen, Rafa Dolcecuore, ser Ilyn, ser Meryn, regina Cersei." I nomi dell’odio. I nomi di coloro che Arya voleva uccidere. "Ne rimangono solamente sei." Joffrey era morto avvelenato al banchetto delle sue nozze, il Mastino aveva sventrato Polliver e lei stessa aveva accoltellato Messer Sottile, l’infame torturatore di ser Gregor Clegane, e aveva infilzato quello stupido stalliere il giorno della sua fuga dalla Fortezza Rossa. "Se non mi avesse afferrata non lo avrei ucciso." Quando lo aveva abbandonato sulla riva del Tridente, anche il Mastino era in punto di morte, arso dalla febbre causata da una brutta ferita. "Avrei dovuto concedergli il dono della misericordia e piantargli una lama nel cuore."