Wolff fu spaventato dall’orribile deformità della creatura, ma non arretrò d’un passo. Se avesse ceduto, e si fosse messo a correre verso la salvezza, si sarebbe trovato con un coltello infilato nella schiena.
Quando il gworl, alternando sibili e suoni raschianti nel suo sgradevole linguaggio, fu giunto a due metri da lui, Wolff si eresse. Sollevò la pietra, e il gworl, vedendo le sue intenzioni, sollevò il coltello per lanciarlo. La pietra partì velocissima, diritta, e colpì alla fronte il gworl. La creatura barcollò, lasciò cadere il coltello, e cadde all’indietro nell’acqua. Wolff annaspò in quella direzione, si tuffò alla ricerca della pietra, la trovò, e uscì dall’acqua mentre il gworl si stava rimettendo in piedi. Sebbene conservasse un’espressione di stordimento, non era fuori combattimento. E impugnava un altro coltello.
Wolff sollevò la pietra e la fece piombare con forza sul cranio della creatura. Si udì uno schianto. Il gworl tornò a cadere, sparendo nell’acqua, e apparve a diversi metri di distanza, galleggiando bocconi.
Allora subentrò la reazione. Il suo cuore batteva così forte che sembrava dover cedere da un momento all’altro, e lui tremava in ogni fibra, e una violenta nausea lo attanagliava. Ma ricordò il coltello piantato nel fango, e andò a riprenderlo.
La fanciulla era ancora dietro l’albero. Aveva un aspetto terrorizzato, era ammutolita dallo spavento. Wolff raccolse il corno, strinse con una mano il braccio della fanciulla, e la scosse con violenza.
«Scuotiti, avanti! Pensa a quanto sei stata fortunata! Avresti potuto morire tu, al posto loro!»
Lei cominciò a lamentarsi fiocamente, poi scoppiò in lacrime. Lui attese che lo sfogo si fosse esaurito, poi riprese a parlare.
«Non so neppure il tuo nome.»
I suoi occhi enormi erano arrossati, e il volto sembrava invecchiato. Malgrado ciò, nessuna donna della Terra che Wolff avesse mai visto avrebbe potuto paragonarsi a lei. La sua bellezza rese lontano l’orrore della lotta.
«Sono Chryseis» disse lei. Come se ne fosse orgogliosa, e nel contempo si vergognasse del suo orgoglio, aggiunse. «Sono la sola, qui, cui sia permesso portare questo nome. Il Signore l’ha proibito a tutte le altre.»
Lui brontolò:
«Di nuovo il Signore. Sempre il Signore. Chi diavolo è il Signore?»
«Non lo sai davvero?» rispose lei, come se non riuscisse a credergli.
«No, non lo so.» Rimase in silenzio per un momento, poi ripeté il suo nome, come se lo stesse assaporando. «Chryseis, eh? Criseide. Non è ignoto sulla Terra, sebbene io tema che l’università nella quale insegnavo sia piena di analfabeti che non lo hanno mai sentito nominare. Sanno soltanto che Omero ha composto l’Iliade, e le loro nozioni si fermano qui.
«Criseide, figlia di Crise, sacerdote di Apollo. Fu catturata dai greci durante l’assedio di Troia, e data ad Agamennone. Ma Agamennone fu costretto a restituirla a suo padre, a causa della pestilenza mandata da Apollo.»
Chryseis rimase in silenzio per un periodo così lungo che Wolff si spazientì. Era deciso ad andarsene il più lontano possibile con lei, ma non sapeva quale fosse la direzione migliore da prendere.
Chryseis, aggrottando la fronte, disse:
«È successo tanto, tanto tempo fa. Lo ricordo a stento. È tutto così vago, ormai.»
«Di che cosa stai parlando?»
«Di me. Di mio padre. Di Agamennone. Della guerra.»
«Be’, e allora?» Stava pensando che avrebbe fatto bene ad andare fino ai piedi della montagna. Laggiù avrebbe potuto farsi un’idea dell’entità della scalata.
«lo sono Chryseis» disse lei. «Quella di cui stavi parlando. Parli come se fossi appena giunto dalla Terra. Oh, dimmi, è vero?»
Sospirò. Quella gente non mentiva, ma non era detto che le storie che raccontavano, e che secondo loro erano vere, lo fossero davvero. Aveva sentito abbastanza cose incredibili per rendersi conto che essi non solo avevano delle informazioni parziali ed erronee, ma ricostruivano il passato in modo assolutamente personale. Lo facevano in tutta sincerità, ovviamente.
«Non voglio spezzare il tuo bel mondo di sogno» disse lui. «Ma quella Chryseis. se è mai esistita, morì almeno 3000 anni or sono. Inoltre, era una creatura umana. Non aveva capelli tigrati e occhi dalle pupille feline.»
«Neppure io… allora. È stato il Signore che mi ha presa, mi ha portata in questo Universo, e ha mutato il mio corpo. Ed è stato lui che ha preso gli altri, li ha cambiati, oppure ha messo le loro menti all’interno di corpi da lui fabbricati.»
Indicò verso il mare e verso l’alto un punto lontano.
«Ora vive lassù, e non lo vediamo molto spesso. Alcuni dicono che è scomparso da molto tempo, e che un nuovo Signore ha preso il suo posto.»
«Andiamocene di qui» disse lui. «Di questo, possiamo parlarne dopo.»
Avevano percorso quasi mezzo chilometro, quando Chryseis gli fece un segno, e gli indicò di nascondersi con lei dietro un arbusto dai grossi rami purpurei e dalle foglie dorate. Si nascose vicino a lei, aprì un poco le fronde, e vide quello che aveva allarmato la fanciulla. A diversi metri di distanza c’era un uomo dalle gambe pelose, con delle grosse corna caprine sulla fronte. All’altezza degli occhi dell’uomo, appollaiato su un ramo d’albero, c’era un corvo gigantesco. Era grande come un’aquila reale e aveva una fronte altissima. Il cranio era di dimensioni capaci di ospitare un cervello grande come quello di un fox-terrier.
Wolff non fu sorpreso delle dimensioni del corvo, perché aveva già visto altre enormi creature. Ma fu sbalordito nel vedere che uomo e pennuto stavano conversando.
«L’Occhio del Signore» mormorò Chryseis. E puntò un dito in direzione del corvo, in risposta alla sua muta domanda. «È una delle spie del Signore. Volano sul mondo e vedono quanto vi accade e poi vanno a riferire tutto al Signore.»
Wolff ripensò all’affermazione, sincera in apparenza, a proposito della possibilità che il Signore aveva di porre cervelli umani all’interno di corpi da lui fabbricati. Lui formulò la domanda, e la fanciulla rispose:
«Sì, ma non so se ha messo cervelli umani nelle teste dei corvi. Può darsi che abbia fabbricato dei piccoli cervelli, servendosi del cervello umano come modello, e che poi abbia istruito i corvi. O potrebbe essersi limitato a usare parti di un cervello umano.»
Disgraziatamente, sebbene tendesse al massimo i suoi sensi, Wolff riuscì a cogliere solo qualche parola qua e là. Passarono diversi minuti. Il corvo, gracchiando forte un arrivederci in un greco distorto ma comprensibile, spiccò il volo dal ramo. Le sue grandi ali cominciarono a sbattere velocemente, ed esse lo sollevarono verso il cielo, e presto scomparve oltre la folta cupola vegetale. Dopo qualche istante, Wolff colse una rapida visione del corvo, attraverso una breccia del fogliame. Il gigantesco uccello nero stava salendo sempre di più, e il suo volo lo portava verso le montagne di là dal mare.
Si accorse che Chryseis stava tremando. Le disse:
«Cosa potrebbe dire il corvo al Signore, per spaventarti tanto?»
«Non sono spaventata tanto per me, quanto per te. Se il Signore scopre che tu sei qui, vorrà ucciderti. Non ama che nel suo mondo si trovino degli ospiti non invitati.»
Lei posò la mano sul corno, e tremò di nuovo.