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«So che è stato Kickaha a dartelo, e che non è colpa tua, se ora lo possiedi. Ma il Signore potrebbe non sapere che non è colpa tua. E, anche se lo sapesse, potrebbe non curarsene affatto. Si adirerebbe spaventosamente, se sospettasse che tu hai avuto qualcosa a che fare col suo furto. Ti farebbe delle cose spaventevoli; meglio sarebbe che tu ti finissi ora, piuttosto che permettere al Signore di mettere le mani su di te.»

«Kickaha ha rubato il corno? Come fai a saperlo?»

«Oh, credimi, lo so. È del Signore. E Kickaha deve averlo rubato, perché il Signore non l’avrebbe mai dato a nessuno.»

«Sono confuso» disse Wolff. Ma forse un giorno potremo aggiustare tutto. Adesso sono preoccupato di più per Kickaha: dove si trova?

Chryseis indicò la montagna, e disse:

«I gworl l’hanno portato lassù. Ma prima di farlo…»

Si coprì il volto con le mani; tra le dita filtrarono delle lacrime.

«Gli hanno fatto qualcosa?» domandò Wolff.

Lei scosse il capo.

«No! Hanno fatto qualcosa a… a…»

Wolff le strinse le mani, e con fermezza le tolse dagli occhi di lei.

«Se non riesci a parlarne, potresti mostrarmelo?»

«Non posso. È… troppo orribile. Mi fa star male.»

«Mostramelo, comunque.»

«Ti porterò laggiù. Ma non chiedermi di… guardarla… un’altra volta.»

Lei cominciò a camminare, e Wolff la seguì. Spesso lei si fermava, ma subito lui con dolcezza la faceva procedere. Dopo un percorso fatto per vie tortuose, circa un chilometro, lei si fermò. Davanti a loro c’era una piccola boscaglia di arbusti bassi. Le foglie dei rami di uno erano strettamente allacciate a quelle dell’arbusto vicino. Le foglie erano larghe e a forma di orecchio di elefante, color verde pallido con venature rossastre, e terminavano in una specie di fiordaliso rugginoso.

«È là dentro» disse Chryseis. «Ho visto i gworl… prenderla e portarla tra gli arbusti. Li ho seguiti… Io…»

Wolff, stringendo il coltello in pugno, si aprì un varco tra gli arbusti. Si trovò in una radura naturale. Al centro, sull’erbetta bassa e verde, giacevano le ossa disseminate di una femmina umana. Le ossa erano grige e prive di carne, e portavano dei segni di piccoli denti, dai quali seppe che i piccoli bipedi volpini si erano occupati di lei.

Non rimase gelato dall’orrore, ma riuscì a immaginare quello che aveva dovuto provare Chryseis. Doveva avere visto parte della scena, probabilmente uno stupro, e poi l’uccisione, fatta sicuramente con metodi barbari e crudeli. Doveva avere reagito come gli altri abitatori del Giardino. La morte era una cosa tanto orribile, che la parola stessa era divenuta tabù da molto tempo, e quindi era caduta dalla lingua. In essa venivano contemplate soltanto le cose piacevoli, e tutto il resto doveva essere escluso.

Ritornò da Chryseis, che lo fissò con i suoi grandi occhi, quasi supplicandolo di dirle che non c’era nulla nella radura. Lui disse:

«Ormai ne restano soltanto le ossa, e lei non può più soffrire.»

«I gworl pagheranno per questo!» disse ferocemente lei. «Il Signore non permette che le sue creature soffrano! Questo Giardino è suo, e tutti gli intrusi sono puniti.»

«Buon per te» disse lui. «Cominciavo a credere che la scossa ti avesse paralizzata. Odia i gworl finché vuoi; lo meritano. E hai bisogno di sfogarti.»

Lei gridò, e balzò contro di lui e gli martellò il petto coi suoi piccoli pugni. Poi cominciò a piangere, e dopo qualche tempo lui la strinse tra le braccia. Le sollevò il capo e la baciò. Lei rispose al bacio appassionatamente, anche se le lacrime scendevano ancora.

Dopo, lei disse:

«Ho corso fino alla spiaggia per dire alla mia gente quello che avevo visto. Ma non hanno voluto ascoltare. Mi hanno voltato la schiena e hanno fatto finta di non avermi udita. Ho cercato di farli ascoltare, ma Owisandros… l’uomo dalle corna d’ariete che parlava al corvo… Owisandros mi ha colpita con un pugno e mi ha detto di andarmene. Dopo questo, nessuno di loro ha più voluto avere qualcosa a che fare con me. E io… avevo bisogno di amicizia e di amore.»

«Non puoi ottenere amicizia o amore dicendo alla gente quello che la gente non vuole sentire» rispose lui. «Né qui, né sulla Terra. Ma tu hai me, Chryseis, e io ho te. Penso di cominciare a innamorarmi di te, sebbene possa trattarsi solo di una reazione alla solitudine e alla bellezza più strana che mai io abbia visto. E alla mia rinnovata giovinezza.»

Si sollevò, mettendosi a sedere sull’erba, e indicò la montagna.

«Se i gworl sono intrusi, qui, da dove vengono? Perché cercavano il corno? Perché hanno portato con loro Kickaha? E chi è Kickaha?»

«Viene anche lui di lassù. Ma penso che sia un terrestre.»

«Che vuoi dire con «terrestre»? Hai detto di venire anche tu dalla Terra.»

«Voglio dire che si tratta di un nuovo arrivato. Non lo so. Mi è sembrato che fosse così, ecco tutto.»

Lui si alzò, e l’aiutò a rialzarsi.

«Andiamo a cercarlo.»

Chryseis trattenne il respiro e, portando una mano al seno, si ritrasse da lui.

«No!»

«Chryseis, potrei restare qui con te ed essere molto felice. Per qualche tempo. Ma mi domanderei sempre che cosa si nasconde dietro al Signore e a Kickaha. L’ho visto solo per pochi istanti, ma mi è piaciuto moltissimo. Inoltre, non mi ha gettato il corno solo perché io mi trovavo per caso davanti a lui. Penso che l’abbia fatto per una buona ragione, e io devo scoprire qual è. E non posso riposare, mentre lui si trova nelle mani di quegli orribili gworl.»

Le tolse la mano dal seno, e baciò la mano.

«È tempo orinai che tu lasci un paradiso che non è il paradiso. Non puoi restare qui per sempre, per sempre fanciulla.»

Lei scosse il capo.

«Non ti potrei aiutare affatto. Ti intralcerei soltanto. E… partendo… partendo… io… bene, finirei.»

«Devi cominciare ad apprendere un nuovo vocabolario» le disse lui. «La morte dovrà essere una delle tante parole che potrai pronunciare senza rabbrividire né tremare. Ti renderà una donna migliore. Rifiutare di pronunciare questa parola non può impedirle di esistere, lo sai. Le ossa della tua amica sono là, che tu possa parlarne o meno.»

«È orribile!»

«Spesso la verità lo è.»

Le voltò le spalle, e si diresse verso la spiaggia. Dopo cento metri, si fermò e si voltò indietro. Lei aveva cominciato a corrergli dietro, proprio in quel momento. L’attese, la strinse tra le braccia, la baciò, e disse:

«Troverai il cammino difficile, Chryseis, ma non ti annoierai, non dovrai suggere il loto per sopportare la vita.»

«Lo spero» mormorò lei. «Ma ho paura.»

«Anch’io, ma ormai siamo in cammino.»

CAPITOLO IV

Le prese la mano, e avanzarono fianco a fianco verso la continua canzone delle onde. Non avevano percorso cento metri, che Wolff vide il primo gworl. Uscì dal riparo di un tronco, e sembrò stupito quanto loro. Gridò, estrasse il coltello, poi si voltò a gridare qualcosa ad altri, dietro di lui. Dopo pochi secondi, un gruppo di sette gworl si era raccolto, e ciascuno impugnava un lungo coltello ricurvo.

Wolff e Chryseis avevano un vantaggio di cinquanta metri. Sempre stringendo la mano di Chryseis, e il corno nell’altra mano, Robert Wolff corse il più velocemente possibile.

«Dove possiamo rifugiarci?» domandò.

«Non lo so!» rispose lei. con voce disperata. «Potremmo nasconderci nel cavo di un albero, ma se ci scoprissero saremmo in trappola.»

Continuarono a correre. Di quando in quando, lui si voltava; gli arbusti erano fitti e nascondevano alcuni gworl, ma ce n’erano sempre due o tre in vista.

«Il masso!» disse lui. «È proprio davanti a noi. Potremo fuggire di lì!»

Si rese conto improvvisamente di quanto non volesse ritornare nel suo mondo natale. Anche se rappresentava una via di scampo e un nascondiglio temporaneo, lui non voleva tornare indietro. La prospettiva di restare intrappolato là e di non potere più ritornare in quel nuovo mondo era così terrificante che fu sul punto di decidere di non suonare il corno. Ma doveva farlo. Quale altro rifugio gli si offriva?