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La possibilità di scelta gli fu tolta dopo pochi secondi. Quando lui e Chryseis corsero verso il masso, egli vide diverse figure nere acquattate intorno a esso. Si alzarono, e divennero gworl dai coltelli lampeggianti e dai canini aguzzi.

Wolff e la fanciulla fecero una svolta, mentre i tre che si trovavano ai piedi del masso si univano agli inseguitori. Questi tre erano più vicini degli altri, a soli venti metri dai due fuggiaschi.

«Non conosci nessun posto?» ansimò lui.

«Oltre il bordo» disse lei. «È il solo posto in cui non possano seguirci. Sono stata di sotto un’altra volta; ci sono delle caverne. Ma è pericoloso.»

Lui non rispose, risparmiando il fiato per correre. Le sue gambe erano pesanti e i polmoni e la gola bruciavano. Chryseis sembrava in condizioni migliori; correva con scioltezza, le sue lunghe gambe si muovevano armonicamente, e respirava profondamente, ma non con sforzo.

«Ci saremo tra due minuti» disse lei.

I due minuti sembrarono molto più lunghi, ma ogni volta che egli sentì di doversi fermare, si voltò a dare un’occhiata dietro di sé e le energie gli si rinnovarono. I gworl, sebbene ancora più distanziati, erano dietro di loro. Barcollavano sulle loro gambette tozze e arcuate, coi volti bitorzoluti fissi in un’espressione di determinazione.

«Forse, se tu dessi loro il corno» suggerì Chryseis, «se ne andrebbero. Penso che vogliano il corno, e non noi.»

«Lo farò se sarà necessario» ansimò lui. «Ma solo come ultima risorsa.»

Bruscamente, si trovarono a salire una ripida ascesa. Le sue gambe erano pesanti, ma aveva superato il primo momento e poteva farcela ancora per un poco. Poi si trovarono in cima a una collina, sul bordo di un dirupo.

Chryseis gli fece segno di non superare il bordo. Avanzò fino ad esso, precedendolo, si fermò, guardò, e gli fece segno di raggiungerla. Quando fu accanto a lei, anche lui guardò in basso. Il suo stomaco si contrasse bruscamente.

Composta di roccia nera e lucida, la discesa era a strapiombo per diversi chilometri. Poi, più nulla.

Nulla, all’infuori del cielo verde.

«Così… questo è il bordo… del mondo!» disse lui.

Chryseis non rispose. Avanzò, precedendolo, sporgendosi a intervalli regolari a guardare di sotto e a esaminare il bordo.

«Altri sessanta metri, più o meno» disse lei. «Oltre quegli alberi che crescono proprio sul bordo.»

Lei continuò a procedere speditamente, e lui le rimase alle calcagna. Nello stesso istante, un gworl sbucò dai cespugli che crescevano sul bordo interno della collina. Si voltò a gridare, ovviamente per segnalare ai suoi compagni di avere trovato la preda. Poi attaccò senza aspettarli.

Wolff corse verso il gworl. Quando vide che la creatura si preparava a lanciare il coltello, le scagliò contro il corno. Questo sorprese il gworl… o forse, il corno rifletté la luce del sole, abbagliandolo. Qualunque fosse stata la causa, l’esitazione fu sufficiente a Wolff per passare all’attacco. Si avventò, mentre il gworl arretrava e sollevava una mano per prendere il corno. Le enormi dita pelose si strinsero intorno al corno, e un grido di felicità uscì dalla gola della creatura, e Wolff fu su di lui. Mirò allo stomaco rigonfio; il gworl sollevò il suo coltello; le due lame cozzarono l’una contro l’altra con clangore.

Avendo fallito il primo colpo, Wolff desiderò di fuggire di nuovo. Quella creatura era indubbiamente esperta nel maneggiare quei coltelli. Wolff conosceva la scherma molto bene, e non aveva mai cessato di allenarsi. Ma c’era una bella differenza tra la scherma e le lotte a corpo a corpo col coltello, e lui lo sapeva. Eppure non poteva scappare. In primo luogo, il gworl lo avrebbe colpito alla schiena prima che lui avesse potuto fare quattro passi. Inoltre, c’era il corno, stretto nella mano sinistra del gworl. Wolff non poteva lasciarlo.

Il gworl, vedendo la brutta situazione di Wolff, sogghignò. I suoi canini erano lunghi, viscosi, gialli e aguzzi. Con quelli, pensò Wolff, non aveva bisogno di un coltello.

Una forma abbronzata, con una scia di capelli tigrati, passò come un lampo accanto a Wolff. Gli occhi del gworl si spalancarono, ed egli fece per rivolgersi a sinistra. L’estremità di un palo, un lungo bastone privo delle foglie e di parte della corteccia, si affondò nel petto del gworl. All’altra estremità c’era Chryseis. Aveva corso velocissima, con il ramo secco impugnato come l’asta di un saltatore, e appena prima del colpo lo aveva abbassato e aveva colpito la creatura con una velocità, e di conseguenza con una forza, tali da farla cadere all’indietro. Il corno sfuggì di mano al gworl, ma il coltello rimase stretto nell’altra mano.

Wolff balzò avanti e infilò la lama del suo coltello tra le due gibbosità cartilaginee e nel robusto collo del gworl. I muscoli del collo erano duri e grossi, ma non tanto da fermare la lama. Si fermò soltanto quando recise la carotide.

Wolff porse a Chryseis il coltello del gworl.

«Prendi questo.»

Lei lo accettò, ma la sua espressione rimase attonita. Wolff la schiaffeggiò con forza, fino a che ella non si riscosse.

«Hai agito magnificamente!» le disse. «Chi avresti preferito vedere morto, me o lui?»

Staccò la cintura dal cadavere e se l’allacciò intorno alla vita. Adesso possedeva tre coltelli. Infilò nella guaina l’arma macchiata di sangue, prese il corno in una mano, strinse con l’altra la mano di Chryseis, e ricominciò a correre. Dietro di loro, si udì un ululato, quando il primo gworl superò il ciglio dell’altura. Comunque, lui e Chryseis avevano un vantaggio di una trentina di metri, e lo mantennero fino a quando raggiunsero il gruppo di alberi che sorgeva accanto al bordo. Chryseis lo precedeva. Si sdraiò sul ciglio del precipizio, poi lo superò. Wolff si guardò alle spalle, poi la seguì alla cieca, e vide una stretta striscia di terra a circa due metri sotto il bordo. Lei era già scesa sulla striscia di terra, e dopo un istante rimase sospesa nel vuoto, appoggiandosi al terrapieno con le mani. Scese di nuovo, questa volta su una striscia più esigua. Ma essa non terminava; scendeva con un’angolazione di quarantacinque gradi lungo il fianco del precipizio. Potevano servirsi di quel passaggio, appiattendosi contro la parete di roccia, e servendosi delle mani come appoggio.

Anche Wolff si servi di entrambe le mani; si era infilato il corno alla cintura.

Si udì un grugnito, proveniente dall’alto. Sollevò lo sguardo e vide il primo gworl che si calava sul primo terrapieno. Allora, Wolff si voltò a guardare Chryseis, e per la sorpresa fu sul punto di cadere nel vuoto. Era scomparsa.

Lentamente, girò il capo per guardare verso il basso. Si attendeva di vederla cadere nel vuoto, accanto alla parete rocciosa, se non di scoprirla già fluttuante nell’immenso nulla verde.

«Wolff!» disse lei. La sua testa spuntava dalla roccia. «Qui c’è una caverna. Svelto!»

Tremando, sudando, avanzò lentamente lungo il costone verso di lei, e dopo qualche tempo si trovò all’interno di un’apertura. La volta della caverna era sufficientemente alta; riusciva quasi a toccare le pareti con le mani, da entrambe le parti, se spalancava le braccia; il fondo scompariva nell’oscurità.

«Quanto è profonda?»

«Non molto. Ma c’è un’apertura naturale, un pozzo nella roccia, che porta in basso. Si apre sul fondo del mondo; non c’è nulla di sotto, solo cielo e aria.»

«Non può essere» disse lentamente Wolff. «Ma è vero. Questo è un universo basato su princìpi fisici diametralmente opposti a quelli del mio universo. Un pianeta piatto, coi suoi bordi. Ma non riesco a capire come funzioni qui la forza di gravità. Dov’è il suo centro?»