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«Ipsewas?» domandò Wolff.

Lo zebrilla rispose:

«Ipsewas. Non parlare, adesso. Devo risparmiare il fiato. Non è facile.»

Wolff obbedì, sebbene gli fosse molto difficile non fare domande su Chryseis. Quando raggiunsero il culmine del pozzo, Ipsewas gli tolse la corda dal collo.

Finalmente, osò parlare.

«Dov’è Chryseis?»

Ipsewas uscì a sua volta dal pozzo, rigirò Wolff e gli slegò le mani. Ansimava per la fatica, ma riuscì a parlare lo stesso:

«I gworl l’hanno portata con loro in una grossa canoa e hanno preso il mare, in direzione della montagna. Lei gridava verso di me, mi supplicava di aiutarla. Poi un gworl l’ha colpita, penso che le abbia fatto perdere i sensi. Io ero seduto sulla spiaggia, ubriaco come il Signore, stordito dal succo di noce, e mi divertivo con Autonoe… sai, la akowile dalla bocca grande.

«Prima di perdere i sensi, Chryseis mi gridò qualcosa su di te appeso al Foro nel Fondo del Mondo. Non capivo di che stava parlando, perché sono venuto qui l’ultima volta molto, molto tempo fa. Quanto, non vorrei dirlo. Anzi, non lo ricordo affatto. Ormai, tutto è piuttosto nebuloso, vedi.»

«No, non vedo» disse Wolff. Si alzò e si fregò i polsi. «Ma temo che, se restassi ancora per molto in questo posto, anch’io finirei stordito da una nebbia alcoolica.»

«Ho pensato di seguirla» disse Ipsewas. «Ma i gworl hanno agitato contro di me quei loro grandi coltelli, e mi hanno minacciato di morte. Hanno tirato fuori dagli arbusti la loro canoa, e in quel momento ho pensato che anche se mi uccidevano, cosa me ne importava? Non avrei permesso che se la cavassero, minacciandomi, e portando via quella povera piccola Chryseis solo il Signore sa dove. Ai vecchi tempi, nella Troade, io e Chryseis eravamo amici, anche se non ci frequentiamo molto, da un po’ di tempo in qua. Anzi, da molto tempo in qua, credo. Comunque, bruscamente mi era venuto il desiderio di una vera avventura, di un’eccitazione autentica… e ho sfidato quelle mostruose creature deformi.

«Mi sono messo a correre, ma quando ebbi preso la mia decisione, loro erano già in mare, con Chryseis a bordo. Allora mi sono guardato intorno, cercando un histoikhthys, immaginando di speronare con esso la loro canoa. Quando fossero stati in acqua, sarebbero stati nelle mie mani, coltelli o no. Dal modo in cui si comportavano a bordo, deducevo che la loro confidenza col mare non era eccessiva. Dubito che sappiano nuotare.»

«Anch’io ne dubito» disse Wolff.

«Ma non c’era nessun histoikhthys a portata di mano. E il vento stava portando lontano l’imbarcazione: avevano issato una grande vela. Ritornai da Autonoe, e bevvi ancora. Avrei potuto dimenticarmi di te, come tentavo di dimenticare Chryseis. Ero sicuro che le sarebbe stato fatto del male, e non riuscivo a sopportare l’idea, e così volevo ubriacarmi per dimenticare. Ma Autonoe. sia benedetto il suo cervellino, mi ricordò quello che Chryseis aveva detto di te.»

«Partii in fretta, e per un po’ rimasi in giro a cercare, perché non riuscivo a ricordare dove si trovasse il costone che conduceva alla caverna. Fui sul punto di rinunciare, e di ricominciare a bere. Ma qualcosa mi impose di continuare. Forse, il desiderio di fare una cosa, una sola cosa buona, in questa eternità in cui non si fa nulla, né in bene né in male.»

«Se non fossi giunto, sarei rimasto appeso fino all’eternità, a morire di fame e di sete. Ora, Chryseis ha una possibilità di salvezza, sempre che riesca a trovarla. La seguirò, e andrò a cercarla. Vuoi venire anche tu?»

Wolff si aspettava il sì di Ipsewas, ma non pensava che Ipsewas avrebbe conservato la sua determinazione, una volta di fronte all’oceano. E così rimase molto sorpreso.

Lo zebrilla si gettò a nuoto, afferrò una parte di guscio quando un histoikhthys gli passò accanto, e si issò sul dorso della creatura. La guidò fino alla spiaggia, schiacciando i grossi centri nervosi, chiazze rosso-scuro ben visibili sulla carne esposta.

Wolff, sotto la guida di Ipsewas, mantenne la pressione su un certo punto per trattenere il pesce-barca (questa era la traduzione letterale di histoikhthys) sulla spiaggia. Lo zebrilla raccolse diverse bracciate di frutta e noci e una buona quantità di noci da cocktail.

«Dovremo mangiare e bere, soprattutto bere» spiegò Ipsewas. «Può essere un lungo viaggio attraverso Okeanos fino ai piedi della montagna. Non ricordo.»

Dopo aver stivato le ultime provviste in uno dei ricettacoli naturali che si trovavano nel guscio del pesce-barca, essi partirono. Il vento spinse la sottile vela cartilaginea, e il grosso mollusco inghiottì acqua dalla bocca e la sprigionò da una valvola muscolare che si trovava nella sua parte posteriore.

«I gworl hanno un certo vantaggio» disse Ipsewas. «Ma non possono sostenere la nostra velocità. Non raggiungeranno l’altra sponda molto prima di noi.» Aprì una noce da cocktail e ne offri il contenuto a Wolff. Wolff accetto. Era esausto, ma teso. Aveva bisogno di qualcosa che lo stordisse e lo facesse dormire. C’era una nicchia nel guscio, nella quale entrò. Rimase sdraiato contro la pelle nuda del pesce-barca, che era calda. Dopo qualche tempo si addormentò, ma prima colse un’ultima immagine del corpo massiccio di Ipsewas. vicino a uno dei centri nervosi. Ipsewas stava sollevando un’altra noce da cocktail sopra il suo capo, e si versava tra le spesse labbra da gorilla il contenuto.

Quando Wolff si svegliò, scoprì che il sole stava uscendo dalla curva della montagna. La luna piena (era sempre piena) stava scivolando in quel momento dall’estremità opposta della montagna.

Riposato, e famelico, mangiò qualche frutto s ie noci ricche di proteine. Ipsewas gli mostrò come si poteva variare la dieta coi «sanguinacci». Erano bacche color marrone scuro, che crescevano a grappoli da peduncoli che uscivano dal guscio del pesce-barca. Ciascuna era grande come una palla da baseball e aveva una pellicola, che si apriva facilmente, dalla quale usciva un liquido che aveva l’aspetto e il sapore del sangue. La carne, all’interno, sembrava carne di manzo, con un lieve profumo di gamberetti.

«Quando sono mature cadono, e i pesci le mangiano quasi tutte. Ma alcune giungono fino alla spiaggia. Sono migliori quando le stacchi dal peduncolo.»

Wolff si sedette accanto a Ipsewas. Mangiando, disse:

«L’histoikhtys è molto comodo. Sembra troppo buono per essere vero.»

«Il Signore li ha progettati e fabbricati per il nostro piacere, e per il suo.»

«Il Signore ha creato questo universo?» disse Wolff, che non si sentiva più di giurare sul fatto che si trattasse di una leggenda.

«È meglio che tu ci creda» replicò Ipsewas, bevendo di nuovo. «Perché in caso contrario il Signore ti finirà. Anzi, dubito che ti permetta di continuare, comunque vada. Non gli piacciono gli ospiti non invitati.»

Sollevò la noce e disse: «Ti auguro di poter sfuggire alla sua vigilanza. E morte e dannazione al Signore.»

Lasciò cadere la noce e balzò su Wolff. Wolff fu preso del tutto di sorpresa, e non ebbe la minima possibilità di difendersi. Cadde nella nicchia del guscio nella quale aveva dormito, con Ipsewas sopra di lui.

«Buono!» disse Ipsewas. «Rimani dentro finché non ti dirò di uscire. C’è un Occhio del Signore.»

Wolff scivolò nell’ombra della nicchia, e cercò di confondersi in essa. Comunque, guardò fuori di sbieco, e vide l’ombra del corvo avvicinarsi, seguita dal corvo stesso. L’uccello passò su di luì una volta, compì una voltata, e cominciò a scendere per posarsi sul pesce-barca.