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««‘Lei può certamente alzare la sua offerta», dissi io,» continuò Kickaha. ««Perché, in caso contrario, lei non otterrà nulla».

««Ventimila?» domandò Vannax.

««Alziamo un poco» dissi io.

««Trentamila?».»

Finnegan decise di lanciarsi. Domandò a Vannax se fosse stato disposto a pagare centomila dollari. Vannax divenne ancora più rosso in volto, e inghiottì. Ma rispose che avrebbe avuto la somma nel giro di ventiquattro ore.

«Allora scoprii di possedere qualcosa di veramente importante» disse Kickaha a Wolff. «Mi domandai di che cosa si trattasse. E poi, perché quel Vannax voleva entrarne in possesso, così disperatamente? E che tipo era? Nessun altro individuo, in possesso di buon senso, nessun essere umano normale, avrebbe abboccato così completamente all’esca. Sarebbe stato più cauto.»

«Che aspetto aveva Vannax?» domandò Wolff.

«Oh, era un tizio grosso, sessantacinque portati bene. Aveva un naso aquilino e degli occhi da aquila. Indossava degli abiti classici e costosissimi. Aveva una personalità notevole, ma cercava di contenersi, per mettermi a mio agio. E faceva una fatica del diavolo. Sembrava un tipo disabituato a vedersi contrariato, anche nelle minime cose.

««Per trecentomila dollari è sua», dissi. Non avrei mai sperato che potesse dire di sì. Credevo che si sarebbe infuriato, se ne sarebbe andato sbattendo la porta. Perché non avevo la minima intenzione di vendere la mezzaluna, neppure se avesse offerto un milione.»

Vannax, sebbene fosse furioso, disse che avrebbe pagato trecentomila dollari, ma Finnegan avrebbe dovuto concedergli un’altra dilazione di ventiquattro ore.

««Prima di tutto, lei deve dirmi a cosa le serve la mezzaluna, e perché la vuole» dissi io.

««Niente da fare!» gridò lui. «Ti è sufficiente derubarmi, tu, lurido mercante, verme… della Terra!».

««Se ne vada, prima che la cacci via a pedate. O meglio, prima che io chiami la polizia,» gli risposi.»

Vannax aveva cominciato a urlare in una lingua straniera. Finnegan era andato in camera da letto, ed era tornato con una calibro 45. Vannax non sapeva che era scarica. Se ne andò, imprecando e brontolando tra sé per tutta la strada che lo divideva dalla sua Rolls-Royce del 1940.

Quella notte, Finnegan fece fatica ad addormentarsi. Vi riuscì dopo le due, e fu una specie di dormiveglia agitato. Durante uno dei momenti di veglia, udì un rumore nel soggiorno. Silenziosamente, scese dal letto e prese la calibro 45, che adesso era carica, di sotto il cuscino. Avviandosi verso la porta, prese una torcia elettrica dal comodino.

Il raggio colse Vannax piegato in due, al centro del soggiorno. Aveva in mano la mezzaluna argentea.

«Fu allora che vidi la seconda mezzaluna sul pavimento. Vannax ne aveva portato un’altra con sé. Lo avevo colto nell’atto di mettere insieme le due mezzelune, per formare un circolo completo. Non sapevo perché lo stesse facendo, ma lo scoprii un attimo dopo.

«Gli dissi di alzare le mani. Lui obbedì, ma sollevò il piede, per entrare nel circolo. Gli dissi di non muoversi neppure di un millimetro, se non voleva che gli sparassi. Comunque, lui mise un piede nel circolo. Così, sparai. Mirai alto, e la pallottola gli passò sul capo e andò a conficcarsi nella parete opposta. Volevo soltanto spaventarlo, immaginando che, se lo avessi spaventato abbastanza, avrebbe cominciato a parlare. E spaventato lo era: balzò subito indietro.

«Avanzai, mentre lui indietreggiava, verso la porta. Stava balbettando come un maniaco, minacciandomi con una frase e offrendomi mezzo milione in quella seguente. Pensavo di farlo indietreggiare fino alla porta, e di piantargli allora nello stomaco la canna della calibro 45. Allora avrebbe parlato, e mi avrebbe detto tutto della mezzaluna.

«Ma, mentre lo incalzavo verso la porta, entrai nel circolo formato dalle due mezzelune. Lui vide quello che stavo facendo, e mi gridò di non farlo. Era troppo tardi. Lui e l’appartamento sparirono, e io mi trovai ancora nel circolo… solo, non si trattava esattamente dello stesso… e in questo mondo. Nel palazzo del Signore, in cima al mondo.»

Kickaha disse che, in quel momento, avrebbe potuto lasciarsi prendere da uno shock. Ma lui si era nutrito di racconti fantastici e fantascientifici fin dalla quarta elementare. Il concetto di universi paralleli, e di passaggi tra di essi, gli era familiare. Era stato condizionato ad accettare questo assunto. In effetti, quasi vi credeva. Di conseguenza, era abbastanza flessibile da piegarsi senza spezzarsi, e poi da ritornare nella posizione normale di equilibrio. Era spaventato, ma nello stesso tempo era pure eccitato e curioso.

«Immaginai perché Vannax non mi aveva seguito al di là del passaggio, le due mezzelune, messe insieme, formavano un «circuito». Ma non erano attivate finché un essere vivente non entrava nel «campo» da esse creato, di qualsiasi natura fosse. Allora un semicerchio restava sulla Terra, mentre l’altro veniva trasportato in questo universo, dove si univa a un altro semicerchio che lo attendeva. In altre parole, ci vogliono tre mezzelune per creare un circuito. Una nel mondo nel quale sei diretto, e due in quello che stai abbandonando. Tu entri nel «campo»; una mezzaluna si trasferisce accanto alla sola presente nell’altro universo, lasciando nel mondo di partenza una sola mezzaluna.

«Vannax doveva essere venuto sulla Terra per mezzo di queste mezzelune. E non avrebbe potuto farlo se non fosse esistita una mezzaluna anche sulla Terra. Chissà come, e forse non lo sapremo mai, lui perse una di esse sulla Terra. Forse gli fu rubata, da qualcuno che non ne conosceva l’esatto valore. In ogni modo, doveva averla cercata, e quando quell’articolo illustrativo della mia scoperta gli capitò sotto gli occhi, capì di avere terminato la sua ricerca. Dopo avere parlato con me, concluse che io non l’avrei venduta. Così penetrò nel mio appartamento con la mezzaluna che già possedeva. Stava per completare il circolo ed entrarvi, quando io ero entrato nel soggiorno.

«Deve essere prigioniero sulla Terra, impossibilitato a venire qui, finché non riesce a trovare un’altra mezzaluna. A quanto mi consta, devono essercene altre sulla Terra. Quella che ho trovato in Germania potrebbe anche non essere la sola da lui perduta.»

Finnegan aveva vagato per il «palazzo» per molto tempo. Era immenso, incredibilmente bello ed esotico e pieno di tesori, gioielli e lavori d’arte. C’erano anche dei laboratori, o forse, camere di bioprocesso era un termine migliore. In esse, Finnegan vide delle strane creature formarsi lentamente all’interno di enormi cilindri trasparenti. C’erano diversi quadri di comando, con diversi apparecchi in funzione, ma lui non aveva la minima idea del loro funzionamento. I simboli erano ignoti.

«Fui fortunato. Il palazzo è pieno di trappole, che stordiscono e uccidono l’ospite non invitato. Ma non erano in funzione… perché, non so, come non so come mai allora il palazzo era deserto. Ma fu la mia fortuna.»

Finnegan lasciò il palazzo per qualche tempo, per visitare gli stupendi giardini che lo circondavano. Giunse sul ciglio del monolito sul quale poggiavano il palazzo e i giardini.

«Hai già visto abbastanza, per immaginare quello che ho visto quando ho guardato dal ciglio. Il monolito deve essere alto almeno dieci chilometri. Sotto di esso c’è il piano che il Signore ha chiamato Atlantide. Non so se la leggenda terrestre di Atlantide sia fondata su questa Atlantide, o se il Signore si sia ispirato direttamente alla leggenda.

«Sotto Atlantide, c’è il piano chiamato Drachelandia. Poi. Amerindia. Mi bastò un’occhiata per vedere tutto, come tu puoi vedere da un’astronave la faccia della Terra. Niente particolari, naturalmente, soltanto grandi nubi, grandi laghi, mari, e profili di continenti. E una buona parte di ogni piano più basso era coperta da quello sovrastante.