Wolff disse:
«Allora, l’attuale Signore non può viaggiare tra i piani, servendosi dei punti di risonanza?»
«Non senza il corno. E scommetto che in questo momento starà sudando freddo. Non c’è nulla che impedisca ai gworl di servirsi del corno per andare in un altro universo a offrirlo a un altro Signore. Nulla, tranne la loro ignoranza a proposito dell’ubicazione dei punti di risonanza. Se ne trovassero uno… comunque, non l’hanno usato accanto al macigno, così immagino che non lo useranno affatto. Sono perversi, ma non certo intelligenti.»
Wolff disse:
«Se i Signori sono degli scienziati così eccelsi, perché Arwoor non si serve di un aereo, per spostarsi di piano in piano?»
Kickaha rise a lungo. Poi disse:
«Questo è il bello. I Signori sono gli eredi di una scienza e di un potere che sorpassano di molto quelli della Terra. Ma gli scienziati e i tecnici del loro popolo sono morti. Quelli che adesso vivono sanno come manovrare le loro macchine, ma sono incapaci di spiegare i princìpi sui quali esse si basano.
«La lotta per il potere, durata millenni, ha ucciso quasi tutti. Sono rimasti in pochi, e questi pochi, malgrado i loro immensi poteri, sono ignoranti. Sono dei sibariti, dei megalomani, dei paranoici, scegli la definizione che preferisci. Tutto, ma non certo scienziati.
«È possibile che Arwoor sia un Signore privato del suo universo. Ha dovuto fuggire per salvare la vita, e solo perché Jadawin se ne era andato, per chissà quale motivo, è stato capace di impadronirsi di questo mondo. È entrato nel palazzo a mani vuote; gli unici poteri cui ha avuto accesso sono stati quelli del palazzo, molti dei quali lui non sapeva come controllare. È salito di un gradino nel gioco cosmico di questi Signori, nei loro universi, ma è ancora in una posizione di svantaggio.»
Kickaha si addormentò. Wolff guardò nella notte, perché a lui toccava il primo turno di guardia. Non torvava incredibile il racconto, ma gli sembrava di vedere delle crepe in esso. Kickaha doveva spiegare molte altre cose. E poi, c’era Chryseis. Ripensò a un volto stupendo, di una bellezza che lo faceva soffrire, dagli immensi occhi da gatto. Dov’era Chryseis, cosa stava facendo, e lui sarebbe mai più stato in grado di rivederla?
CAPITOLO VIII
Durante il secondo turno di guardia di Wolff, una cosa nera e lunga e svelta scivolò nella luce della luna tra due arbusti. Wolff lanciò una freccia contro il predatore, che emise un grido lamentoso e si impennò sulle gambe posteriori, mostrandosi alto il doppio di un cavallo. Wolff infilò un’altra freccia nell’arco, e mirò allo stomaco bianco della creatura. L’animale non morì neppure stavolta, ma fuggì lamentandosi e provocando un grande fragore tra gli arbusti.
In quel momento Kickaha, con il coltello in pugno, fu accanto a lui.
«Sei stato fortunato» disse lui. «Non ti accorgi sempre della loro presenza, e allora… paff!… ti ritrovi con la gola spezzata.»
«Avrei dovuto usare un fucile da elefanti» disse Wolff. «E non sarei ancora stato sicuro che lo avesse fermato. Fra parentesi, perché i gworl… o gli indiani, da quello che mi hai detto… non si servono di armi da fuoco?»
«È strettamente proibito dal Signore. Vedi, il Signore non ama certe cose. Vuole mantenere il suo popolo a un certo livello di popolazione, a un certo livello tecnologico, e con certe strutture sociali. Il Signore governa un pianeta piuttosto chiuso.
«Per esempio, egli ama la pulizia. Devi avere notato che gli abitanti di Okeanos sono pigri e amano godersi la vita comoda. Eppure, puliscono sempre tutto. Non ci sono rifiuti, in giro. Lo stesso succede su questo piano, su ogni piano. Gli Amerindi amano anche la pulizia personale e così pure gli abitanti di Drachelandia e gli atlantidei. Il Signore vuole che le cose vadano in questo modo, e i trasgressori sono puniti con la morte.»
«Come costringe a obbedire alle sue leggi?» domandò Wolff.
«In gran parte, per averle instillate nei costumi degli abitanti. In origine, ha conservato uno stretto contatto con i sacerdoti e i medici, e servendosi della religione… mettendo se stesso nel posto destinato alla divinità… ha modellato e rafforzato le abitudini della popolazione. Gli piaceva la pulizia, odiava le armi da fuoco, e qualsiasi forma avanzata di tecnologia. Forse si trattava di un romantico, non so. Ma le diverse società di questo mondo sono quasi esclusivamente conformiste e statiche.»
«Così non esiste progresso?»
«Così cosa? Il progresso è necessariamente desiderabile, e una società statica è necessariamente da condannare? Personalmente, sebbene io detesti l’arroganza, la crudeltà e la mancanza di umanità del Signore, approvo alcune cose che egli ha fatto. Con certe eccezioni, questo mondo mi piace, sicuramente molto più della Terra.»
«Anche tu sei un romantico!»
«Può darsi. Questo mondo è vivo e abbastanza pericoloso, come già tu sai. Ma è libero da scorie e sudiciume, da malattie di ogni genere, dalle mosche e dai moscerini e da altri insetti. La gioventù dura per tutta la vita. Dopotutto, non è un posto così spiacevole, in cui trascorrere la propria vita. Non per me, in ogni modo.»
Wolff fece l’ultimo turno di guardia, e il sole girò l’angolo del mondo mentre lui vegliava. I punti luccicanti delle stelle impallidirono, e il cielo si riempì di verde e di luce. Il vento sfiorò con dita fresche e solleticanti i due uomini, e ripulì i loro polmoni con delle correnti che davano vigore. Si stirarono e poi discesero dalla piattaforma e si misero alla caccia della colazione. Più tardi, pieni di arrosto di scoiattolo e di bacche succulente, ripresero il viaggio.
La sera del terzo giorno dopo il loro arrivo sul piano di Amerindia, mentre il sole era a pochissima distanza dal fianco del monolito che l’attendeva per inghiottirlo, essi uscirono dalla pianura. Davanti a loro c’era un’alta collina, oltre la quale, così diceva Kickaha, si trovava un piccolo bosco. Uno degli alberi altissimi che si trovavano laggiù avrebbe offerto loro rifugio per la notte.
Improvvisamente, un gruppo di circa quaranta uomini scese dalla collina. Tutti erano a cavallo. Erano di pelle scura, e portavano i capelli divisi in due grandi trecce. I loro volti erano dipinti a strisce bianche e rosse, e ornati da X nere. Portavano dei bracciali simili a scudi, e stringevano in pugno lance e archi. Alcuni portavano in capo delle maschere d’orso; altri avevano delle penne in capo, in svariate acconciature.
Vedendo i due uomini a piedi davanti a loro, i cavalieri gridarono e lanciarono al galoppo le loro cavalcature. Furono sollevate delle lance dalle punte acuminate. Le frecce furono infilate negli archi, asce d’acciaio e daghe furono sollevate al di sopra del capo.
«Resta immobile!» disse Kickaha. Stava sorridendo. «Sono gli Hrowakas, il Popolo dell’Orso. Il mio popolo.»
Avanzò d’un passo, e impugnando l’arco con entrambe le mani, lo sollevò al di sopra del capo. Gridò agli uomini che caricavano, nella loro lingua, una lingua ricca di suoni gutturali e di vocali nasali.
Riconoscendolo, essi gridarono:
«AngLungawas TreKickaha!»
Gli galopparono vicino, sfiorandolo con la punta delle lance, agitando sul suo capo asce e bastoni, e molte frecce si infilarono nel terreno, davanti ai piedi di Kickaha, o anche tra di essi.
Wolff ricevette lo stesso trattamento, che subì senza batter ciglio. Come Kickaha, esibì un sorriso, ma secondo lui non era calmo come quello dell’amico.
Gli Hrowakas arrestarono i loro cavalli, compirono una breve giravolta, e tornarono alla carica. Questa volta, fermarono bruscamente le loro cavalcature davanti ai due. Gli animali si impennarono, nitrirono, scalciarono: Kickaha scattò, e buttò giù di sella un giovane con molte penne tra i capelli. Ridendo e ansimando, i due rotolarono a terra, finché Kickaha non ebbe immobilizzato l’Hrowakas. Allora Kickaha si alzò, e presentò a Wolff lo sconfitto.