«Comunque, abbiamo dovuto sospendere gli scavi, fino a che gli archeologi non avessero terminato il loro lavoro. Circa tre mesi di blocco, ma non abbiamo potuto muovere un dito, perché lo stato ci impediva di muoverci.
«Però, questa potrebbe essere stata la vostra fortuna. Se non ci avessero fermati, a quest’ora tutte le case sarebbero già state vendute. Così, tutto è bene quel che finisce bene, no?»
Sorrise cordialmente e guardò marito e moglie.
Wolff fece una pausa, inspirò profondamente, sapendo come avrebbe reagito Brenda, e disse:
«La prendiamo. Firmeremo subito i contratti.»
«Robert!» gridò la signora Wolff. «Non mi hai neppure chiesto un parere!»
«Mi dispiace, cara, ma ho deciso.»
«Be’, io no.»
«Andiamo, andiamo, amici, non c’è bisogno di precipitare le cose» disse Bresson. Il suo sorriso era disperato. «Prendete tempo, discutetene insieme. Anche se qualcuno verrà a comprare questa casa, questa in particolare… e potrebbe accadere, prima del tramonto; le vendiamo come il pane… be’, anche se succede questo, ce ne sono abbastanza, perfettamente uguali.»
«Io voglio questa casa.»
«Robert, sei diventato pazzo?» pigolò Brenda. «Non ti ho mai visto agire in questo modo.»
«Ho ceduto a te su quasi tutto» disse lui. «Volevo farti felice. Così, ora, cedi a me su questo. Non ti chiedo molto. Inoltre, stamattina tu stessa mi hai detto che volevi una casa come questa, e la Residenza Hohokam offre i prezzi migliori, i soli a noi accessibili.
«Firmiamo adesso le opzioni. Come acconto, posso dare un assegno.»
«Io non firmo, Robert.»
«Perché non andate a casa a discuterne?» suggerì Bresson. «Mi chiamerete, non appena raggiunta una decisione.»
«Non basta la mia firma?» domandò Wolff.
Conservando il suo sorriso forzato, Bresson disse:
«Mi dispiace. Deve firmare anche la signora Wolff.»
Brenda sorrise, trionfante.
«Mi prometta di non mostrarla a nessun altro» disse Wolff. «Comunque, fino a domani. Se ha paura di perdere un affare, le darò un anticipo.»
«Oh, questo non sarà necessario» Bresson si diresse verso la porta con una fretta che tradiva il suo desiderio di uscire da una situazione imbarazzante. «Non la mostrerò a nessuno fino a che non avrò vostre notizie, domattina.»
Durante il percorso verso le loro stanze al Sands Motel, a Tempe, nessuno dei due pronunciò una sola parola. Brenda rimase rigidamente seduta, e continuò a fissare un punto imprecisato, oltre il parabrezza. Wolff le lanciò qualche occhiata furtiva, notando che il suo naso sembrava più aguzzo e le sue labbra più sottili; se andava avanti così, tra poco avrebbe avuto l’aspetto di un grosso pappagallo.
E quando finalmente sarebbe esplosa in un fiume di parole, avrebbe parlato come un grosso pappagallo. Il solito torrente di rimproveri e di minacce, vecchi e stanchi eppure energici. Lo avrebbe rimproverato di non avere avuto cura di lei, per tutti quegli anni, gli avrebbe rimproverato per l’ennesima volta di avere sempre tenuto il naso tra i libri, o di essersi dedicato al tiro con l’arco, alle esplorazioni, alle scalate di montagne, tutte attività sportive nelle quali lei non lo aveva mai potuto seguire, a causa della sua artrite. Avrebbe dipanato la lunga sequenza di anni di infelicità, o di proclamata infelicità, e avrebbe finito col piangere amaramente e violentemente.
Perché era rimasto con lei? Lui sapeva soltanto di averla amata moltissimo, da giovane, e sapeva anche che le sue accuse non erano del tutto immotivate. Soprattutto, trovava penosa l’idea della separazione, più penosa perfino dell’idea di restare con lei.
Eppure, lui aveva il diritto di raccogliere il frutto delle sue fatiche, come professore d’inglese e di lingue classiche. Ora che possedeva abbastanza denaro e abbastanza tempo libero, avrebbe potuto proseguire quegli studi che il suo dovere professionale gli aveva impedito di approfondire. Con quella casa in Arizona come base, avrebbe potuto anche viaggiare. Ma lo poteva davvero? Brenda non avrebbe rifiutato di accompagnarlo… anzi, avrebbe insistito su questo punto. Ma si sarebbe tanto annoiata, da rendere un inferno la sua vita. E non poteva biasimarla, perché lei non possedeva i suoi stessi interessi. Ma lui doveva rinunciare alle cose che rendevano, secondo lui, la vita degna di essere vissuta, per farla contenta? Soprattutto sapendo che non sarebbe mai stata contenta ugualmente?
Come si era aspettato, la sua lingua silenziosa entrò in attività subito dopo cena. Lui ascoltò, cercò di protestare con calma, cercò di mettere in evidenza la sua mancanza di logica e l’ingiustizia e l’aleatorietà delle sue recriminazioni. Fu del tutto inutile. Lei terminò come al solito, piangendo e minacciando di lasciarlo o di uccidersi.
Questa volta, lui non si arrese.
«Voglio quella casa, e voglio godere la vita secondo i miei progetti» disse con fermezza. «Ecco tutto.»
Indossò il soprabito, e si diresse verso la porta.
«Ritornerò più tardi. Forse.»
Lei strillò, e gli tirò dietro un portacenere. Lui lo schivò; il portacenere colpì lo stipite della porta, ammaccando il legno. Fortunatamente, lei non lo seguì e non fece una scenata fuori, come era accaduto in precedenti occasioni.
Era ormai notte, la luna non era ancora sorta, e le sole luci erano quelle delle finestre del motel, delle lampade stradali, e dei numerosi fari delle macchine che percorrevano l’Apache Boulevard. Guidò la sua auto lungo il viale, poi si diresse a est, poi voltò verso sud. Dopo pochi minuti, era sulla strada che portava alla Residenza Hohokam. Il pensiero di quello che intendeva fare gli faceva battere forte il cuore e accapponare la pelle. Questa era la prima volta in vita sua in cui aveva considerato seriamente la possibilità di commettere un atto criminale.
Le case della Hohokam erano illuminate, rumorose (un sistema di altoparlanti diffondeva un programma di musiche) e si udivano le voci dei bambini che giocavano nella strada mentre i loro genitori guardavano le case.
Lui proseguì, attraversò Mesa, fece un giro vizioso e si diresse di nuovo verso Tempe, passò da Van Buren ed entrò nel cuore di Phoenix. Prese una scorciatoia, verso nord, poi si diresse a est, e finalmente si trovò nella città di Scottsdale. Là si fermò per un’ora e mezzo in una piccola taverna. Dopo essersi concesso il lusso di quattro bicchieri di Vat 69, rinunciò. Non ne voleva più… o meglio, non aveva il coraggio di prenderne di più, perché sarebbe stato spiacevole essere del tutto sbronzo durante l’esecuzione del suo progetto.
Quando ritornò alla Residenza Hohokam, le luci erano spente e il silenzio era tornato. Parcheggiò la sua auto dietro la casa che aveva visitato quel pomeriggio. Infilò il guanto alla mano destra, strinse il pugno e fracassò il vetro della finestra del soggiorno.
Quando entrò nella stanza, ansava e il cuore gli batteva come se avesse corso lungo dieci isolati. Era spaventato, ma riuscì ugualmente a sorridere di se stesso. Vivendo spesso in un mondo immaginario, si era spesso visto nei panni di uno scassinatore… non certo di un volgare delinquente, ma di un raffinato Arsenio Lupin. Adesso sapeva che il suo rispetto della legge era troppo, perché lui potesse mai diventare un criminale, piccolo o grande che fosse. La sua coscienza lo perseguiva per quel piccolo atto criminale, per il quale aveva trovato mille giustificazioni perfettamente valide. Inoltre, l’idea di essere catturato, sorpreso, svergognato lo fece quasi rinunciare al corno. Dopo avere vissuto una vita tranquilla e rispettabile, se lo avessero scoperto, sarebbe stato rovinato. Valeva la pena?
Decise per il sì. Se avesse rinunciato in quel momento, si sarebbe chiesto per tutto il resto della vita che cosa avesse perduto. La più grande delle avventure lo aspettava, un’avventura che mai uomo aveva intrapreso. Se ora agiva da vigliacco, avrebbe anche potuto spararsi, perché non avrebbe sopportato la perdita del corno e le recriminazioni sulla sua mancanza di coraggio.