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«Già, hai proprio ragione» disse Kickaha. «Non sarebbe arrivato dov’è adesso, voltando la schiena ai propri nemici. E tu cerca di nascondere la tua impazienza, Bob. Abbiamo una lunga attesa davanti a noi. Comportati da ubriaco, spingi un poco i tuoi rapporti con le dame… se non lo facessi, ti considererebbero anormale. Ma non scomparire con una di esse. Dobbiamo restare in vista, in modo di potercela filare assieme, quando verrà il momento giusto.»

CAPITOLO XIII

Wolff bevette abbastanza per allentare i fili che sembravano tendersi intorno a lui. Cominciò a parlare con Madonna Alison, moglie del barone di Wenzelbricht. Era una donna dai capelli neri e dagli occhi azzurri, di bellezza statuaria, e indossava una veste bianca e aderentissima. Era così scollata, che la gentildonna avrebbe potuto contentarsi dell’effetto esilarante che provocava sugli uomini: ma Madonna Alison continuava a lasciar cadere il suo ventaglio, e a chinarsi a raccoglierlo. In qualsiasi altro momento Wolff sarebbe stato felice di rompere la sua lunga astinenza sessuale con quella donna. Era evidente che non avrebbe avuto il minimo fastidio, perché lei era lusingata delle attenzioni che le rivolgeva il grande Von Wolfram. Aveva sentito parlare della sua vittoria su Von Laksberg. Ma lui riusciva a pensare solo a Chryseis, che doveva trovarsi in qualche punto del castello. Nessuno aveva parlato di lei, e lui non osava parlare. Eppure provava un desiderio irrefrenabile di formulare la domanda, e più volte fu costretto a contenersi a fatica.

Dopo qualche tempo, e proprio al momento per lui più opportuno… dato che non avrebbe potuto ulteriormente rifiutare le scoperte allusioni di Madonna Alison senza offenderla… Kickaha giunse al suo fianco. Kickaha aveva portato con sé il marito di Alison, per fornire all’amico un pretesto per filarsela in maniera onorevole. Più tardi, Kickaha gli rivelò di avere sottratto Von Wenzelbricht a un’altra donna, col pretesto di una chiamata da parte di sua moglie. Kickaha e Wolff se ne andarono insieme, lasciando il barone ubriaco a spiegare alla donna quello che voleva. Dato che né lui né sua moglie lo sapevano, avrebbero avuto una conversazione interessante, anche se piuttosto caotica.

Wolff fece segno al funem Laksfalk di raggiungerli. Insieme, i tre finsero di cercare, traballando, un luogo di decenza. Quando si furono sottratti alla vista di coloro che si trovavano nella sala da pranzo, i tre percorsero rapidamente un lungo corridoio. Senza che nessuno li notasse, salirono quattro rampe di scale. Erano armati solo di pugnale, perché sarebbe stato un insulto indossare armature e spade a pranzo. Wolff, comunque, era riuscito a sottrarre una corda dalle tende del suo appartamento. Teneva la corda intorno alla vita, sotto la veste.

Il cavaliere giudaico disse:

«Ho sentito che Abiru parlava al suo attendente, Rhamnish. Parlavano nella lingua dei mercanti di H’vaizhum, certo non sapendo che io avevo viaggiato sul fiume Guzirit e nella giungla. Abiru ha domandato a Rhamnish se egli aveva scoperto dove Von Elgers aveva portato Chryseis. Rhamnish ha risposto che aveva impiegato tempo e oro per estorcere informazioni ai servi e alle guardie. Era riuscito a scoprire soltanto che la fanciulla si trovava nella parte orientale del castello. I gworl, tra parentesi, sono nelle segrete.»

«Perché Von Elgers ha nascosto Chryseis?» domandò Wolff. «Non appartiene ad Abiru?»

«Può darsi che il barone abbia fatto dei progetti su di lei…» disse Kickaha. «Se è bella e straordinaria come tu dici…»

«Dobbiamo trovarla!»

«Non perdere la testa. La troveremo. Oh, oh, ecco una guardia in fondo al corridoio. Cammina verso di lui… e traballa di più.»

La guardia sollevò la lancia, quando essi si fermarono, dondolando su se stessi, davanti a lui. Con voce gentile ma ferma, disse loro che dovevano tornare indietro. Il barone aveva proibito a chiunque, sotto pena di morte, di avanzare oltre.

«Così sia» disse con voce strascicata Wolff, fingendo di voltarsi. Con un balzo felino saltò contro l’armigero e afferrò la lancia. Prima che la sbalordita sentinella potesse gridare, l’uomo fu buttato contro la parete, e l’impugnatura della lancia fu premuta contro la sua gola. Wolff continuò a premere. Gli occhi della sentinella si dilatarono, il volto divenne scarlatto, poi bluastro. Dopo un minuto, cadde come un sacco di patate, morto.

Il giudeo trascinò il corpo lungo il corridoio, e lo gettò in un ripostiglio. Quando ritornò, disse di avere nascosto il cadavere in una cesta.

«Peccato!» disse allegramente Kickaha. «Forse era un bravo ragazzo. Ma se dobbiamo combattere per aprirci la strada, avremo d’ora in poi un nemico di meno.»

Purtroppo, il morto non aveva chiavi.

«Von Elgers probabilmente è l’unico a possedere la chiave, e sarà piuttosto difficile estorcergliela» disse Kickaha. «Va bene. Ce la faremo.»

Discesero il corridoio, ed entrarono in un’altra stanza. Si arrampicarono sulla sua finestra. Lungo la parete esterna c’erano diverse decorazioni, teste di leone, di drago, d’orso, e di mostri inimmaginabili. Gli ornamenti non erano stati preparati per favorire una scalata, ma un uomo coraggioso o disperato poteva farcela. Quindici metri sotto di loro, la superficie del fossato rifletteva la luce delle torce che illuminavano il ponte levatoio. Fortunatamente, la luna era coperta da grosse nuvole di tempesta, e quelli che si trovavano sotto non avrebbero visto la loro temeraria impresa.

Kickaha abbassò lo sguardo, e vide Wolff, che stringeva un grondone di pietra, con un piede su una testa di serpente.

«Ehi, ho dimenticato di dirti che il barone ha riempito il fossato di draghi d’acqua? Non sono molto grossi, sono lunghi solo sette metri e non hanno zampe. Ma, di solito, sono denutriti.»

«A volte trovo il tuo spirito di cattivo gusto» disse furioso Wolff. «Zitto e andiamo avanti.»

Kickaha emise una risatina soffocata, e continuò a salire. Wolff lo seguì, dopo avere abbassato lo sguardo per assicurarsi che il giudeo li stesse seguendo sano e salvo. Kickaha si fermò e disse:

«Qui c’è una finestra, ma è sbarrata. Non credo ci sia nessuno dentro. È buio.»

Kickaha continuò a salire. Wolff passò davanti alla finestra, e si fermò a guardare. Era buio come in un pozzo senza fondo. Infilò la mano tra le sbarre, e andò a tentoni, finché non trovò una candela. Sollevandola con cautela, in modo che potesse uscire dalla sua custodia, la fece passare attraverso le sbarre. Con un braccio stretto intorno a una sbarra d’acciaio, rimase sospeso mentre con l’altra mano cercava un fiammifero nella sacca che portava alla cintura.

Dall’alto giunse la voce di Kickaha:

«Che stai facendo?»

Wolff glielo disse, e Kickaha rispose:

«Ho chiamato per due volte Chryseis; non c’è nessuno lì dentro. Smettila di perdere tempo.»

«Voglio essere sicuro.»

«Sei troppo minuzioso; presti troppa attenzione ai particolari. Devi dare dei colpi molto forti, se vuoi buttare giù un albero. Vieni.»

Senza rispondergli, Wolff accese il fiammifero. Si accese e si spense quasi, per il vento, ma lui riuscì a infilarlo tra le sbarre con sufficiente rapidità. La luce mostrò una stanza vuota di occupanti.

«Sei soddisfatto?» disse la voce di Kickaha, più debole, perché stava continuando a salire. «Abbiamo un’altra possibilità, la bertesca. Se non c’è nessuno… Comunque, non so come… ugh!»

Più tardi, Wolff fu lieto di essere stato tanto riluttante a rinunciare alla speranza che Chryseis si trovasse in quella stanza. Aveva lasciato bruciare il fiammifero, fin quasi a scottarsi le dita, e solo allora lo aveva lasciato cadere. Immediatamente dopo, e dopo l’esclamazione soffocata di Kickaha, fu colpito da un corpo che cadeva. Il colpo per poco non gli staccò il braccio. Emise un grugnito che faceva il paio con quello che veniva dall’alto, e rimase appeso al sostegno con una sola mano. Kickaha rimase attaccato a lui per diversi secondi, rabbrividì, poi sospirò profondamente e riprese a salire. Nessuno disse una parola sull’episodio, ma se non fosse stato per la cocciutaggine di Wolff, la caduta di Kickaha avrebbe fatto perdere l’equilibrio a Wolff, che si sarebbe trovato in posizione precaria su un grondone, e forse anche il funem Laksfalk sarebbe stato coinvolto nella caduta, perché si trovava proprio sotto Wolff.