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Era così buio nel soggiorno, che dovette trovare a tentoni la strada per il ripostiglio. Trovata la porta scorrevole, cominciò a spingere lentamente la maniglia. Lentamente, per evitare ogni rumore, e si arrestò per sentire se qualche suono proveniva dall’esterno.

Quando la porta fu completamente aperta, fece qualche passo indietro. Infilò l’imboccatura del corno tra le labbra, e soffiò, piano.

Il rumore che uscì dallo strumento fu così forte che egli lo lasciò cadere. A tentoni, riuscì finalmente a ritrovarlo sul pavimento, in un angolo della stanza.

La seconda volta, soffiò con forza. Ci fu un’altra nota, non più forte della prima. Qualche meccanismo, nell’interno del corno, forse il reticolato di fili d’argento, regolava il volume. Per diversi minuti attese, col conio vicino alle labbra. Stava cercando di ricostruire mentalmente l’esatta sequenza delle sette note che aveva udito. Evidentemente, i sette minuscoli bottoni determinavano i diversi accordi. Ma non avrebbe potuto scoprire l’esatto suono di ognuno, senza suonare e attirare così l’attenzione.

Si strinse nelle spalle, e mormorò: «Al diavolo!»

Soffiò di nuovo, ma questa volta schiacciò i bottoni: per primo, quello più vicino a lui. Uscirono sette note, e il rumore fu notevole. Erano quelle che ricordava, ma non nella sequenza che aveva udito.

Quando l’ultima nota fu emessa, si udì un grido, a una certa distanza. Wolff fu preso quasi dal panico. Imprecò, sollevò il corno alle labbra, e schiacciò i bottoni in un ordine che, sperava, avrebbe riprodotto l’apriti sesamo, la chiave musicale, che apriva la porta dell’altro mondo.

Nello stesso istante, il raggio di una torcia elettrica colpì la finestra dal vetro rotto, e passò oltre. Wolff soffiò di nuovo. La luce della torcia colpì di nuovo la finestra. Si udirono altre grida. Disperato, Wolff tentò diverse combinazioni, schiacciando i bottoni. Il terzo tentativo sembrò la riproduzione esatta del motivo emesso dal corno, quando era stato adoperato dal giovane in piedi sul macigno a forma di fungo.

Il raggio di una lampada penetrò dalla finestra. Una voce profonda grugnì:

«Vieni fuori, tu laggiù! Vieni fuori, se non vuoi che cominci a sparare.»

Nello stesso istante, una luce verdastra apparve sulla parete, si espanse, e aprì un foro. Da esso si sprigionò una luce lunare. Gli alberi e il macigno erano semplici profili oscuri, sullo sfondo di un cielo verde-argenteo, la cui luce era sprigionata da un enorme globo di cui soltanto il bordo era visibile.

Non indugiò. Forse avrebbe esitato, se non lo avessero scoperto, ma adesso doveva scappare. L’altro mondo offriva incertezza e pericolo, ma questo offriva la certezza dell’infamia, dell’ignominia e della vergogna. Mentre il guardiano ripeteva la sua intimazione, Wolff si lasciò alle spalle lui e il suo mondo. Fu costretto a chinarsi per attraversare l’apertura, che già si restringeva. Quando, una volta giunto dall’altra parte, si voltò a dare un’ultima occhiata al suo vecchio mondo, vide un’apertura non più grande dell’oblò di una nave. Dopo qualche istante, essa scomparve.

CAPITOLO II

Wolff si adagiò sull’erba, per riposare finché il suo respiro affannoso non si fosse calmato. Pensò a come sarebbe stato beffardo che l’emozione fosse troppo grande per il suo vecchio cuore. Morto all’accettazione. Loro… chiunque «loro» fossero… lo avrebbero dovuto seppellire, e sulla sua tomba avrebbero dovuto scrivere: TERRESTRE SCONOSCIUTO.

Poi, si sentì meglio. Quando si rimise in piedi, riuscì perfino a ridacchiare. Preso così un po’ di coraggio, si guardò intorno. La temperatura era abbastanza confortevole, circa venti gradi, secondo un giudizio approssimativo. Nell’aria aleggiavano dei profumi strani e piacevolissimi. Richiami d’uccelli (per lo meno, sperava che si trattasse soltanto di qualche richiamo d’uccelli) venivano da ogni parte, intorno a lui. Da una certa distanza, giungeva un basso brontolio, ma egli non si spaventò. Era certo, senza avere alcuna base razionale sulla quale fondare la sua certezza, che si trattava soltanto del suono della risacca, trasformato dalla distanza. La luna era piena ed enorme, due volte e mezzo più grande di quella della Terra.

Il cielo aveva perduto il colore verde brillante che aveva avuto durante il giorno, ed era diventato, a parte l’irradiazione lunare, nero quanto il cielo notturno del mondo che lui aveva lasciato. Una moltitudine di grosse stelle si muoveva con una velocità e in direzione che lo intontirono, per la paura e la confusione. Una delle stelle scese verso di lui, divenne sempre più grossa, sempre più luminosa, per compiere un elegante passaggio a pochi metri dalla sua testa. Alla luce giallo-arancio che veniva dalla sua parte posteriore, riuscì a vedere quattro grandi ali ellittiche, molte zampe sottili e, per un attimo, la forma di una testa con delle antenne.

Era una strana forma di lucciola, con una larghezza d’ali di circa tre metri.

Wolff seguì con lo sguardo lo spostamento, l’espansione e la contrazione delle costellazioni viventi, fino a che non riuscì ad abituarsi. Si chiese quale direzione avrebbe dovuto prendere, e il rumore della marea finalmente lo decise. Una spiaggia, una linea costiera, per lo meno gli avrebbero offerto una base di partenza definita, dalla quale scegliere poi la sua meta, qualsiasi essa fosse. La sua marcia fu lenta e prudente, con numerose soste per ascoltare ed esaminare le ombre.

Si udì un possente grugnito, molto vicino. Wolff si appiattì al suolo, sull’erba che si trovava all’ombra di un grosso cespuglio, e cercò di trattenere il respiro. Si udì un fruscio. Un ramo scricchiolò. Wolff sollevò il capo di quel tanto che bastava a permettergli di vedere la radura illuminata dalla luna. Una forma enorme, eretta, bipede, oscura, e pelosa, era a pochissimi metri di distanza da lui.

Si arrestò di colpo, e il cuore di Wolff perse un battito. Il capo della creatura si muoveva avanti e indietro, così Wolff poté vedere un muso simile a quello di un gorilla. Però, non si trattava di un gorilla… in ogni modo, non di un gorilla terrestre. Il suo pelo non era di un nero uniforme. Il suo corpo era coperto di strisce a zigzag, bianche, che spiccavano sul nero che predominava. Le braccia erano molto più corte di quelle dei gorilla terrestri, e le gambe non solo erano più lunghe, ma più diritte. Inoltre, la fronte, a parte le enormi arcate sopraccigliari, era alta.

Brontolò qualcosa, e non si trattò di un verso animalesco o di un mugolio senza significato, ma di una sequenza di sillabe modulate chiaramente. Il gorilla non era solo. La luna verdastra mise in mostra della pelle nuda, dalla parte opposta a quella in cui si trovava Wolff. Apparteneva a una donna che camminava accanto al gorilla e le cui spalle erano circondate dall’enorme braccio della creatura.

Wolff non poteva vedere il volto della donna, ma le lunghe gambe sottili, le anche morbide e rotonde, le braccia formose, e i lunghi capelli neri gli fecero domandare a se stesso se la donna fosse tanto bella e perfetta anche vista dal davanti.

Lei parlò al gorilla con una voce che somigliava al suono di un campanello d’argento. Il gorilla le rispose. Poi i due uscirono dalla radura illuminata dalla luna verde, e scomparvero nell’oscurità della giungla.

Wolff non si alzò subito, perché era troppo scosso.

Finalmente, si levò in piedi e ricominciò a procedere tra i cespugli del sottobosco, che non era così impenetrabile e fitto come quello di una giungla terrestre. Anzi, i cespugli erano separati da ampie radure. Se il paesaggio non fosse stato così esotico, non avrebbe neppure pensato a una giungla. Somigliava molto di più a un giardino pubblico, compresa l’erba soffice, che era così corta da suggerire l’idea di essere stata tagliata di recente.

Dopo pochi altri passi, rimase sorpreso udendo un grugnito e vedendo un animale balzare davanti a lui. Riuscì a scorgere un paio di corna, un muso bianchiccio, dei grandi occhi acquosi, e un corpo pezzato. La cosa gli passò accanto e sparì, ma dopo pochi secondi udì dei passi vicino a lui. Si voltò, e vide quella specie di cervo a diversi metri di distanza. Quando la bestia si rese conto di essere stata notata, trotterellò verso Wolff e gli lambì la mano. Poi, cominciò a fare le fusa e cercò di strusciarsi contro il fianco dell’uomo. Dato che pesava probabilmente un quarto di tonnellata, Wolff cercò di dissuadere l’animale, con le buone maniere.