La sbarra metallica doveva essere tirata, per azionare la porta. Pugnale in mano, Wolff vi passò attraverso. Si trovò in una grande stanza. Vi si trovava un grande letto di pregevole fattura, con un enorme baldacchino. Oltre il letto si trovava la finestra a forma di croce attraverso la quale aveva visto Chryseis qualche ora prima.
Von Elgers gli voltava la schiena. Il barone stringeva tra le braccia Chryseis, e la spingeva verso il letto. Gli occhi di lei erano chiusi, e il capo piegato per evitare i baci del barone. Entrambi erano ancora completamente vestiti.
Wolff percorse la stanza a lunghi passi, afferrò alla spalla il barone, e lo tirò indietro. Il barone lasciò Chryseis per raggiungere il pugnale che portava alla cintura, poi ricordò di non averlo portato con sé. A quanto pareva, non aveva voluto offrire a Chryseis la possibilità di sopraffarlo e di ucciderlo.
Il suo volto, prima così fiammeggiante, adesso era grigiastro. La sua bocca si aprì per gridare alle guardie che si trovavano fuori di soccorrerlo, ma la paura e la sorpresa lo paralizzavano.
Wolff non gli offri la minima possibilità di chiedere aiuto. Abbassò il pugnale, per colpire col pugno il mento di Von Elgers. Il barone, svenuto, si afflosciò a terra. Wolff non voleva perdere tempo, così passò accanto a Chryseis, che era pallidissima e aveva gli occhi spalancati. Strappò due strisce di stoffa dalle lenzuola del letto. La più piccola la infilò nella bocca del barone, la più grande la usò come bavaglio. Poi prese un pezzo di corda dalla cintura e legò le mani di Von Elgers. Issandosi in spalla il corpo del barone, disse a Chryseis:
«Andiamo. Avremo tempo per parlare, dopo.»
Si fermò a impartire delle istruzioni a Chryseis, la quale, seguendole, chiuse la porta interna alle loro spalle. Era assurdo permettere ad altri di scoprire il passaggio segreto, quando fossero giunti a indagare sul motivo della lunga assenza del barone. Chryseis tenne sollevata la torcia, alle sue spalle, mentre lui scendeva davanti col barone in spalla. Quando furono giunti sul livello delle acque, Wolff le impartì le ultime istruzioni per la fuga. Per prima cosa, era necessario riprendere il corno. Dopo averlo fatto, si scrollò l’acqua di dosso, ne raccolse nel palmo della mano, e la gettò sul viso del barone. Quando questi aprì gli occhi, lo informò su quanto egli doveva fare.
Von Elgers scosse il capo negativamente. Wolff disse:
«O vieni con noi come ostaggio e affronti il pericolo dei draghi d’acqua, oppure scegli di morire subito. Allora, qual è la tua risposta?»
Il barone annuì. Wolff gli sciolse le mani, ma attaccò la corda alla caviglia. Si immersero tutti e tre. Immediatamente, Von Elgers nuotò verso il muro, e si immerse. Gli altri passarono sotto il muro a loro volta: arrivava soltanto a un metro di profondità. Risalendo dall’altra parte. Wolff vide che le nuvole cominciavano a diradarsi. La luna ben presto avrebbe cominciato a risplendere della sua vivida luce verde.
Come ordinato, il barone e Chryseis nuotarono verso la sponda opposta del fossato. Wolff veniva dietro, col capo della corda legata alla caviglia del barone stretta in mano. Con quel peso morto, non potevano procedere rapidamente. Tra quindici minuti la luna sarebbe scomparsa dietro il monolito, e il sole sarebbe apparso poco dopo. Non c’era molto tempo per portare a termine il piano di Wolff, ma era impossibile controllare il barone, se si voleva guadagnare tempo.
Il punto d’arrivo dall’altra parte del fossato era a cento metri dal luogo in cui i gworl aspettavano con i loro prigionieri. Dopo pochi minuti, furono dall’altra parte del castello, celati agli occhi dei gworl e delle guardie del ponte levatoio, anche se la luna avesse cominciato a risplendere. Quella strada era un male necessario… un male, perché ogni secondo in più nell’acqua costituiva una probabilità maggiore di venire individuati dai draghi.
Quando furono a venti metri dalla loro meta, Wolff intuì, più che vedere, il movimento dell’acqua. Si voltò e vide la superficie incresparsi, e un’onda quasi impercettibile avanzare verso di lui. Allungò i piedi, e scalciò. I piedi colpirono qualcosa di duro e di solido, tanto da costituire una base d’appoggio per prendere lo slancio. Balzò indietro, lasciando l’estremità della corda nello stesso tempo. La forma passò tra lui e Chryseis, colpi Von Elgers, e scomparve.
Così pure l’ostaggio di Wolff.
Abbandonarono ogni tentativo di non provocare rumore. Nuotarono con tutte le loro forze. Si fermarono solo quando ebbero raggiunto la sponda, ebbero percorso un tratto scoperto, di corsa, e furono giunti tra gli alberi. Ansimarono, e si appoggiarono al tronco.
Wolff non attese di riprendere del tutto fiato. Il sole sarebbe apparso dalla Doozvillnavava entro pochi minuti. Disse a Chryseis di aspettarlo. Se non fosse tornato poco dopo l’apparire del sole, sarebbe stato assente per molto tempo… se non per sempre. Lei avrebbe dovuto andarsene e nascondersi nei boschi e cercare di cavarsela nel miglior modo possibile.
Lei lo supplicò di non andare, perché non poteva sopportare l’idea di restare sola in quel luogo.
«È necessario» disse lui, dandole un pugnale che era riuscito a nascondere tra le vesti prima di abbandonare il castello.
«Se tu verrai ucciso, lo userò su di me» disse lei.
Lui soffriva al pensiero di lasciarla sola, ma non c’era nient’altro da fare.
«Uccidimi adesso, prima di andare» disse lei. «Ho passato troppe prove; non posso sopportarne altre.»
La baciò dolcemente sulla bocca, e disse:
«Puoi, invece. Sei più forte di quanto non credessi, e sarai sempre più forte di quanto tu non creda. Guarda come sei ora. Puoi dire uccidere e morte senza battere ciglio.»
Se ne andò, correndo verso il punto in cui si trovavano i gworl e i suoi amici. Quando giudicò di trovarsi a venti metri dal punto, si fermò ad ascoltare. Non udì niente, a eccezione del canto di un uccello e di un grido soffocato proveniente dal castello. Carponi, con il pugnale tra i denti, avanzò verso il punto che dava sul fossato, davanti alla finestra illuminata del suo appartamento. Si aspettava da un momento all’altro di percepire l’odore di frutta marcia, e di vedere una forma più oscura stagliarsi nell’oscurità.
Ma non c’era nessuno là. Solo i resti grigiastri della rete che li aveva intrappolati gli dimostrò che i gworl c’erano stati davvero.
Girò per qualche tempo nei paraggi. Quando gli fu chiaro che non esistevano tracce e che il sole lo avrebbe ben presto rivelato alle guardie del ponte levatoio, ritornò da Chryseis. Lei si strinse a Wolff e pianse.
«Visto! Dopotutto, sono di ritorno» le disse. «Ma adesso dobbiamo andarcene.»
«Ritorniamo a Okeanos?»
«No, andiamo a cercare i miei amici.»
Si allontanarono, lasciandosi alle spalle il castello e dirigendosi verso il monolito. L’assenza del barone sarebbe stata notata presto. Intorno al castello, per molti chilometri, nessun nascondiglio sarebbe più stato sicuro. E anche i gworl, sapendolo, dovevano dirigersi a tutta velocità verso la Doozvillnavava. Per quanto potessero bramare il corno, non potevano indugiare. Inoltre, potevano credere che Wolff fosse annegato, o fosse stato divorato da un drago. Per loro, adesso il corno doveva essere perduto, ma avrebbero potuto ritornare quando fosse stato sicuro il farlo.
Wolff non voleva perdere tempo. Tranne che per brevi periodi di riposo, non si fermarono finché non raggiunsero l’intricata foresta del Rauhwald. Là avanzarono nel groviglio di alberi e di arbusti e di viticci e di spine, spellandosi le ginocchia e le braccia, martoriandosi i piedi. Chryseis cedette. Wolff raccolse molte bacche, e mangiarono quelle. Dormirono tutta la notte, e al mattino ripresero la loro faticosa avanzata. Quando ebbero raggiunto l’estremità opposta della foresta del Rauhwald, erano coperti di ferite. Nessuno li stava aspettando dall’altra parte, come invece lui aveva temuto.