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«La mezzaluna non c’è più!»

«O è stata trovata da tempo, o qualcuno l’ha scoperta quando la statua è stata rovesciata» disse Wolff. «E io sospetto il nome dell’autore dello scherzo. Hai più visto Abiru?»

Nessuno aveva più visto Abiru, dal momento in cui era iniziata l’invasione del palazzo. L’arpia, che teoricamente avrebbe dovuto sorvegliarlo, l’aveva perduto.

Wolff corse verso i laboratori, con Kickaha e Podarge, con le ali semiaperte, subito dietro di lui. Quando ebbe percorso i mille metri che lo separavano dai laboratori, Wolff era senza fiato. Ansimando, si fermò davanti all’ingresso.

«Vannax deve già essersene andato nella sala di comando» disse lui. «Ma se sta ancora lavorando sulla mezzaluna, là dentro, dovremo entrare silenziosamente, nella speranza di sorprenderlo.»

«Vannax?» domandò Podarge.

Wolff imprecò mentalmente. Lui e Kickaha avevano deciso di non rivelare l’identità di Abiru, per il momento. Podarge odiava tanto ogni Signore che lo avrebbe ucciso immediatamente. Wolff voleva tenerlo in vita, perché Vannax, se non avesse tentato di tradirli, avrebbe potuto essere utile nella conquista del palazzo. Wolff aveva promesso a Vannax di mandarlo in un altro mondo a tentare la sua fortuna, se li aiutava a sconfiggere Arwoor. E Vannax aveva spiegato il modo in cui era riuscito a tornare in questo universo. Dopo che Kickaha (allora Finnegan) vi era giunto accidentalmente, portando con sé una mezzaluna, Vannax aveva continuato a cercarne un’altra. L’aveva trovata nel posto più improbabile, un negozio di prestiti su pegno a Peoria, nell’Illinois. Come fosse arrivata là, e quale Signore l’avesse perduta sulla Terra, nessuno l’avrebbe mai saputo. Senza dubbio, in oscure plaghe della Terra erano nascoste delle altre mezzelune. Comunque, la mezzaluna che aveva trovato lo aveva portato sul piano di Amerindia. Vannax aveva scalato la Thayaphayawoed e aveva raggiunto Khamshem, dove aveva avuto la fortuna di catturare i gworl, Chryseis, e il corno. Poi aveva deciso di dirigersi verso il palazzo, sperando di riuscire ad entrarvi.

Wolff borbottò:

«Il vecchio detto raccomanda di non fidarsi dei Signori.»

«Cosa stai dicendo?» domandò Podarge. «E te lo chiedo per la seconda volta, chi è Vannax?»

Wolff fu sollevato, notando che lei non conosceva quel nome. Rispose che Abiru a volte si era fatto chiamare così. Deciso a non rispondere a ulteriori domande, e comprendendo che il tempo era vitale, entrò nel laboratorio. Era una sala alta e vasta quanto bastava a contenere dodici aerei di linea. Però decine e decine di tavoli, quadranti, apparecchi e campane di vetro davano un’impressione di affollamento. A cento metri di distanza, Vannax era piegato su un grosso tavolo, intento a manovrare leve e bottoni.

Silenziosamente, i tre si avvicinarono a lui. Presto furono abbastanza vicini da vedere che due mezzelune erano posate sul tavolo. Sul grande schermo che si trovava sopra Vannax si vedeva l’immagine spettrale di un terzo semicerchio. Linee ondeggianti di luce l’attraversavano.

Vannax emise improvvisamente un ah! di soddisfazione, quando sullo schermo, accanto alla prima mezzaluna, ne apparve un’altra. Manipolò diversi quadranti per fare avvicinare tra loro i due semicerchi, fino a unirli di nuovo.

Wolff sapeva che la macchina emetteva una chiamata di frequenza, e aveva individuato quella della mezzaluna posta sul pavimento della sala di comando. Vannax avrebbe ora sottoposto le mezzelune poste sul tavolo a un trattamento che avrebbe mutato la loro frequenza di risonanza, sintonizzandola su quella della sala di comando. Dove Vannax avesse trovato le due mezzelune fu un mistero fino a quando Wolff non ricordò che, nel passaggio che lo aveva portato sul piano di Amerindia, Vannax aveva conservato le mezzelune che gli avevano permesso di giungere su quel mondo. Era riuscito malgrado tutto a conservare i preziosi strumenti, attraverso la lotta e la cattura. Doveva averli nascosti tra le rovine, prima che la scimmia lo avesse catturato.

Vannax alzò lo sguardo dal suo lavoro, vide i tre, guardò lo schermo, e prese le due mezzelune dal tavolo. I tre corsero verso di lui mentre lui sistemava sul pavimento prima una mezzaluna e poi l’altra. Egli rise, fece un gesto osceno, ed entrò nel circolo, con un pugnale stretto in pugno.

Wolff emise un grido di disperazione, perché erano troppo lontani per fermarlo. Allora si fermò e si posò una mano sugli occhi, troppo tardi per evitare il bagliore accecante. Sentì gridare Podarge e Kickaha, anch’essi accecati. Udì il grido di Vannax, e sentì il puzzo della carne e degli abiti bruciati.

Cieco, avanzò fino a toccare col piede il cadavere bruciato.

«Che diavolo è accaduto?» disse Kickaha. «Diavolo, spero che non siamo permanentemente ciechi!»

«Vannax sperava di penetrare, attraverso il passaggio di Arwoor, nella sala di comando» disse Wolff. «Ma Arwoor aveva piazzato una trappola. Poteva essere soddisfatto nel distruggere l’apparecchio, ma deve avere trovato più divertente uccidere l’uomo che avesse tentato di passare.»

Si fermò ad attendere, sapendo che il tempo era sempre più limitato, e che sopportare la cecità non serviva né alla sua causa né a quella degli altri. Ma non c’era altro da fare. E, dopo quello che parve un tempo eterno, la vista cominciò a ritornare.

Vannax giaceva sul dorso, bruciato e irriconoscibile. Le due mezzelune erano sempre sul pavimento, intatte. Wolff le separò, servendosi di una sonda che si trovava sul tavolo.

«Era un traditore» disse Wolff sottovoce a Kickaha. «Ma ci ha reso un grande servizio. Volevo tentare la stessa cosa, impiegando il corno per attivare la mezzaluna che tu avevi nascosto, dopo averne mutato la risonanza.»

Fingendo di esaminare gli altri tavoli del laboratorio alla ricerca di nuove trappole, riuscì ad allontanare Kickaha, assieme a lui, dalle orecchie di Podarge.

«Non volevo farlo» disse. «Ma vi sono costretto. Il corno deve essere usato, se vogliamo stanare Arwoor dalla sala di comando, o catturarlo prima che si serva delle sue mezzelune per fuggire.»

«Non ti seguo» disse Kickaha.

«Quando ho costruito il palazzo, ho incorporato una sostanza termica nel rivestimento plastico della sala di comando. Può entrare in azione solo dietro l’impulso di una certa sequenza di note emesse dal corno, combinata con un altro piccolo espediente. Non voglio azionare la sostanza, perché allora la sala di comando sarebbe perduta, e questo palazzo sarebbe d’ora in poi alla mercé di qualsiasi altro Signore.»

«Devi farlo» disse Kickaha. «Ma, in sostanza, cosa impedirà ad Arwoor di fuggire con le mezzelune?»

Wolff sorrise, e indicò il tavolo.

«Arwoor avrebbe dovuto distruggerlo, invece che indulgere alla sua immaginazione sadica. Come tutte le armi, è a doppio taglio.»

Attivò i comandi, e, di nuovo, la visione della mezzaluna apparve sullo schermo. Linee di luce ondulate correvano su di essa. Wolff si diresse verso un altro tavolo, e aprì uno sportello che rivelò un quadro di comando senza alcuna scrittura. Manovrò due leve, poi schiacciò un bottone. Lo schermo divenne vuoto.

«La risonanza della sua mezzaluna è stata cambiata» disse Wolff. «Quando cercherà di usare quella, con una delle altre in suo possesso, avrà una bella sorpresa. Non del genere di quella ricevuta da Vannax. Solo che non avrà nessun passaggio.»

«Voi Signori siete una razza di abili truffatori» disse Kickaha. «Però devo ammettere che mi piace il vostro stile.»

Lasciò la stanza. Dopo un istante, le sue grida giunsero dal corridoio. Podarge fece per lasciare la sala, poi si fermò a guardare sospettosamente Wolff. Lui cominciò a correre. Podarge, sicura della sua venuta, corse davanti a lui. Wolff si fermò e tolse il corno dalla sacca. Infilò un dito nella sua parte terminale, lo infilò nella sola apertura della rete fittissima abbastanza grande da contenere il dito. Uno strattone fece cadere la rete. Lui girò il corno e infilò di nuovo la rete, a rovescio. Allora rimise il corno nella sacca, e corse dietro l’arpia.