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Lei era con Kickaha, il quale spiegava di avere creduto di avere visto un gworl, che si era poi rivelato semplicemente un’aquila in caccia. Wolff disse che dovevano ritornare dagli altri. Non spiegò che era necessario che il corno si trovasse a una certa distanza dalle pareti della sala di comando. Quando furono ritornati nel corridoio esterno della sala di comando, Wolff aprì la sacca. Kickaha si mise dietro Podarge, pronto a mandarla nel regno dei sogni, se avesse creato qualche difficoltà. Cosa poi avessero potuto fare alle aquile, oltre a scatenar loro addosso le scimmie, era un’altra faccenda.

Podarge esclamò alla vista del corno, ma non fece gesti ostili. Wolff sollevò il corno alle labbra e sperò di ricordare l’esatta sequenza di note. Da quando aveva parlato con Vannax, molto era ritornato, ma molto era ancora perduto.

Aveva appena portalo il corno alle labbra, quando si udì ruggire una voce. Sembrava venire dal soffitto, dalle pareti e dal pavimento, da ogni punto. Parlava nella lingua dei Signori, e Wolff ne fu lieto. Podarge non conosceva quella lingua.

«Jadawin! Non ti ho riconosciuto, finché non ti ho visto col corno! Mi sembrava che avessi un aspetto familiare… avrei dovuto immaginarlo. Ma è passato tanto tempo! Quanto?»

«Molti secoli, o millenni, dipende dalla misura del tempo. Così, i due vecchi nemici si incontrano di nuovo. Ma questa volta non hai via di scampo. Morirai come è morto Vannax.»

«E come?» ruggì la voce di Arwoor.

«Farò fondere le pareti della tua fortezza, apparentemente inespugnabile. O resti dentro ad arrostire, o esci a morire in un altro modo. Non credo che tu rimarrai.»

Bruscamente, fu preso da un senso di ingiustizia. Se Podarge uccideva Arwoor, non avrebbe ucciso l’uomo che era responsabile della sua condizione attuale. Non importava il fatto che Arwoor si sarebbe comportato allo stesso modo, se fosse stato allora il Signore di quel mondo.

D’altra parte lui, Wolff, non era il vero colpevole. Non era il Signore Jadawin che aveva fabbricato questo universo e poi lo aveva manipolato così crudelmente per molte delle sue creature e dei terrestri condotti là con la forza. L’attacco di amnesia era stato completo; aveva tolto da lui tutto di Jadawin, l’aveva trasformato in una pagina bianca. Da quel nulla era emerso un uomo nuovo, Wolff, incapace di agire come Jadawin o qualsiasi altro Signore.

Ed era sempre Wolff, tranne che ora ricordava ciò che era stato. Il pensiero lo rendeva disperato e pentito e ansioso di riparare nel modo migliore. Era questo il modo più degno per iniziare, far morire Arwoor così orribilmente per un delitto che non aveva commesso?

«Jadawin!» gridò Arwoor. «Puoi credere di avere vinto con questa mossa! Ma ti ho dato di nuovo scacco! Ho un’altra pedina da muovere, e vale molto di più di quanto possa valere il tuo corno!»

«E di che si tratta?» domandò Wolff. Aveva la tremenda sensazione che Arwoor non stesse bluffando.

«Ho innescato una delle bombe che ho portato con me quando mi è stato tolto Chiffaenir. È sotto il palazzo, e quando lo vorrò, esploderà e farà saltare la cima del monolito, completamente. È vero che morirò anch’io, ma coinvolgerò nella mia morte il mio vecchio nemico! E moriranno pure la tua donna e i tuoi amici! Pensa a loro!»

Wolff stava pensando a loro. E soffriva.

«Quali sono le tue condizioni?» domandò. «So che non vuoi morire. Sei così infame che dovresti desiderare la morte, ma ti sei avvinghiato alla tua indegna vita per diecimila anni.»

«Basta con gli insulti! Vuoi o non vuoi? Il mio dito è a un centimetro dal bottone.» Arwoor ridacchiò e proseguì: «Anche se stessi bluffando, la qual cosa non è, tu non potresti correre il rischio di venire a controllare.»

Wolff parlò agli altri, che erano rimasti ad ascoltare senza capire, ma sapevano che stava accadendo qualcosa di essenziale. Spiegò tutto quello che osava spiegare, omettendo ogni collegamento tra se stesso e i Signori.

Podarge, col volto trasformato in una maschera di delusione e di follia, disse:

«Chiedigli quali sono le sue condizioni.»

E aggiunse:

«Dopo che tutto questo sarà finito, avrai molte cose da spiegarmi, Wolff.»

Arwoor rispose:

«Devi darmi il corno d’argento, il lavoro unico e preziosissimo del maestro Ilmarwolkin. Lo userò per aprire il passaggio nella piscina e per raggiungere il piano di Atlantide. È tutto quello che voglio, oltre alla tua promessa che nessuno mi inseguirà finché il passaggio non sarà richiuso.»

Wolff rifletté per qualche secondo. Poi disse:

«Molto bene. Puoi uscire adesso. Ti giuro sul mio onore, come Wolff, e sulla Mano di Detiuw, che ti consegnerò il corno e non manderò nessuno al tuo inseguimento, finché il passaggio non sarà richiuso.»

Arwoor rise e disse:

«Sto uscendo.»

Wolff attese che la porta in fondo al corridoio cominciasse ad aprirsi. Sapendo che allora Arwoor non avrebbe potuto sentirlo, disse a Podarge:

«Arwoor pensa di averci battuti, e può essere tranquillo. Emergerà dal passaggio in un punto a sessanta chilometri da qui, vicino a Ikwekwa, un sobborgo della città di Atlantide. Sarebbe alla mercè tua e delle tue aquile, se non esistesse un secondo punto di risonanza a quindici chilometri da Ikwekwa. Questo passaggio si aprirà al suono del corno, e trasporterà Arwoor in un altro universo. Ti mostrerò dov’è quando Arwoor avrà attraversato il passaggio nella piscina.»

Arwoor avanzò sicuro. Era un uomo alto, dalle spalle larghe e dall’aria simpatica, dagli occhi azzurri e dai capelli biondi e ricci. Prese il corno da Wolff, si inchinò ironicamente, e discese il corridoio. Podarge lo guardò con tanta furia che Wolff temette che saltasse su di lui subito. Ma le aveva detto che doveva mantenere le sue promesse, lui, Wolff: quella fatta a lei e quella fatta ad Arwoor.

Arwoor passò tra due file di attaccanti, immobili e con lo sguardo fiammeggiante, simili a un’interminabile teoria di statue di marmo. Wolff non aspettò che Arwoor avesse raggiunto la piscina, ma entrò nella sala di comando. Un rapido esame gli mostrò che Arwoor aveva innescato un dispositivo che avrebbe fatto esplodere la bomba. Senza dubbio, si era concesso tempo sufficiente per fuggire. Malgrado ciò, Wolff sudò freddo finché non fu riuscito a disinnescare il terribile ordigno. Kickaha era già ritornato, dopo avere seguito Arwoor.

«Se ne è andato, certo» disse. «Ma non è stato facile come aveva pensato. Il passaggio di emergenza si trovava sott’acqua, a causa del flusso da lui stesso scatenato. Ha dovuto immergersi nell’acqua, a nuotare. Quando il passaggio si è chiuso, stava ancora nuotando.»

Wolff portò Podarge in una immensa sala, che presentava una mappa dettagliatissima del pianeta, e le indicò la città vicino alla quale si trovava il passaggio. Poi, su uno schermo, le mostrò il passaggio a distanza ravvicinata. Podarge studiò per un minuto mappa e schermo. Diede un ordine alle sue aquile, ed esse sfilarono dietro di lei. Anche le scimmie furono spaventate dalla luce di odio che brillava nei grandi occhi dei pennuti.

Arwoor era a sessanta chilometri dal monolito, ma doveva percorrerne altri quindici. Inoltre, Podarge e le sue fide si lanciavano da un’altezza di diecimila metri. L’angolazione di discesa era tale da far loro accumulare una velocità impressionante. Sarebbe stata una corsa disperata tra Podarge e la sua preda.

Mentre aspettava davanti allo schermo, Wolff ebbe il tempo sufficiente per riflettere. Alla fine, avrebbe detto a Chryseis chi era e come era diventato Wolff. Avrebbe saputo che lui era andato in un altro universo, per visitare uno dei rari Signori amichevoli. I Vaernirn erano molto soli, malgrado i loro grandi poteri, e volevano avere contatti, di quando in quando, con i loro pari. Ritornando nel suo universo, era caduto in una trappola sistemata da Vannax, un Signore derubato del suo universo. Jadawin era stato scagliato nell’Universo della Terra, ma aveva portato con sé lo sbalordito Vannax. Vannax era fuggito con una mezzaluna, dopo una selvaggia battaglia sulle pendici della collina. Cosa fosse accaduto all’altra mezzaluna. Wolff non lo sapeva. Ma Vannax non l’aveva, questo era certo.