Bruscamente, si rivolse a lui e gli si avvicinò. I suoi occhi immensi fissavano quelli di Wolff, e anche in quel momento lui non poté fare a meno di considerare quanto fossero squisiti i suoi lineamenti e quanto fosse liscia e appetibile la sua pelle.
«Andiamocene di qui!» gridò lei. «Andiamocene lontano! Quelle cose sono ancora qui. Alcune possono avere portato via Kickaha, ma non se ne sono andate tutte! Ne ho viste un paio, qualche giorno fa. Si nascondevano nel cavo di un albero. I loro occhi splendevano come quelli degli animali, e hanno tutte un odore orribile, come frutti marciti e imputriditi!»
Posò la mano sul corno.
«Credo che vogliano questo!»
Wolff disse:
«E io ho suonato il corno. Se c’è qualcuno di loro nelle vicinanze, lo avrà sentito per forza!»
Si guardò intorno. Qualcosa brillava dietro un cespuglio, a circa cento metri.
Tenne gli occhi sul cespuglio, e dopo qualche tempo vide tremare le foglie, e di nuovo un lampo di luce. Strinse la mano sottile della fanciulla, e disse:
«Andiamocene. Ma cerca di camminare come se non avessi visto nulla. Fa’ finta di niente.»
Lei gli strinse la mano, e disse:
«Cosa succede?»
«Non allarmarti. Mi sembra di avere visto qualcosa, dietro un cespuglio. Potrebbe non essere niente, ma potrebbe anche trattarsi di un gworl. Non guardare! Sarebbe un disastro.»
Ma le sue parole erano giunte in ritardo, perché lei aveva già voltato il capo. Ansimò, e si avvicinò ancora di più all’uomo.
«Loro… loro!»
Lui guardò nella direzione indicata dal dito affusolato della fanciulla, e vide due figure nere e tozze che uscivano dai cespugli. Ciascuna stringeva in mano una lunga lama d’acciaio, grossa e ricurva. Facevano ondeggiare le lame e gridavano qualcosa con voce raspante. Non indossavano vesti sui neri corpi pelosi, ma un’ampia cintura intorno alla vita portava armi da taglio delle più svariate fogge.
Wolff disse:
«Non allarmarti. Non credo che possano correre molto forte, con quelle buffe gambe. Dov’è un buon rifugio, un posto in cui non possano raggiungerci?»
«Oltre il mare» disse con voce tremula. «Non credo che possano ritrovarci, se fuggiamo laggiù. Potremmo servirci di un histoikhthys.»
Si riferiva a uno dei grossi molluschi che abbondavano nell’oceano. Avevano dei corpi ricoperti da gusci sottilissimi ma solidi, simili alla chiglia di un’imbarcazione da turismo. Una cartilagine sottile ma robusta usciva verticalmente dalla parte esterna di ciascuna valva, e una vela triangolare di carne, sottile fino al punto di sembrare trasparente, cresceva intorno all’asse cartilagineo. L’angolazione della vela era controllata dai movimenti muscolari, e la forza del vento sulla vela, oltre all’espulsione di getti d’acqua, permetteva alla creatura di muoversi rapidamente in acqua, sia che ci fosse vento o meno. Le sirene e le creature che vivevano sulla spiaggia si servivano spesso di quelle creature, pilotandole a volontà, esercitando una pressione sui centri nervosi esposti.
«Pensi che i gworl dovranno usare un’imbarcazione?» domandò lui. «In questo caso, dovranno fabbricarsene una. Non ne esistono, qui intorno.»
Wolff si guardava continuamente alle spalle. I gworl avevano accelerato l’andatura, e i loro corpi si muovevano come quelli di un marinaio ubriaco, ad ogni passo. Wolff e la fanciulla raggiunsero un torrente ampio circa venti metri e che, nel punto di maggiore profondità, arrivava loro alla vita. L’acqua era fresca, ma era una frescura gradevole, limpida, e si vedevano guizzare dei pesciolini argentati. Quando giunsero sull’altra sponda, si nascosero dietro un grosso albero della cornucopia. La ragazza insisteva perché continuassero a fuggire, ma lui le rispose:
«Saranno in difficoltà, quando raggiungeranno il centro del torrente.»
«Che vuoi dire?» domandò lei.
Lui non rispose. Nascose il corno dietro l’albero, e si guardò intorno, fino a che non riuscì a trovare una pietra. Era piuttosto grossa, rotonda, e scabra quel tanto che bastava a permettergli di maneggiarla agevolmente. Sollevò una cornucopia, caduta a terra, e la soppesò. Era grossa, ma vuota all’interno, e pesava circa dieci chili. Quando ebbe finito queste operazioni, i gworl avevano già raggiunto la sponda opposta del torrente. Fu allora che scoprì un punto debole di quelle spaventose creature. Camminavano avanti e indietro, lungo la sponda, e agitavano furiosamente le loro lame, e grugnivano con tanta violenza, nel loro linguaggio gutturale, che egli poté sentirle a quella distanza. Finalmente, una di esse mise un piede nell’acqua. Lo ritirò quasi immediatamente, lo scosse come un gatto si scuote una zampa bagnata, e disse qualcosa all’altro gworl. Questi si fece indietro, e gridò qualcosa.
Il gworl con il piede bagnato gridò a sua volta, ma avanzò verso l’acqua, e, riluttante, cominciò a procedere. Wolff lo seguì con lo sguardo, e notò che l’altro era deciso a restare di guardia, finché il suo compagno non avesse compiuto la traversata sano e salvo. Wolff aspettò che la creatura avesse superato il centro del torrente; poi sollevò con una mano la cornucopia, il sasso con l’altra, e corse verso il corso d’acqua. Alle sue spalle, la fanciulla gridò. Wolff imprecò, perché il grido avvertiva i gworl del suo arrivo.
Il gworl si fermò, con l’acqua fino alla cintola, gridò qualcosa a Wolff e brandì la sua lama. Wolff risparmiò il fiato, perché voleva tesaurizzare ogni energia. Corse verso la sponda del torrente, mentre il gworl riprendeva la sua avanzata verso il medesimo punto. Il gworl che si trovava dalla parte opposta si era immobilizzato, all’apparizione di Wolff; subito dopo, si era tuffato nell’acqua per soccorrere il suo compagno. Questo rientrava nei piani di Wolff. Sperava soltanto di riuscire a sistemare il primo, prima che il secondo fosse riuscito a raggiungerlo.
Il gworl più vicino lanciò il coltello; Wolff sollevò la cornucopia davanti a sé. Il coltello affondò sulla superficie sottile ma solidissima del frutto con una forza incredibile, e quasi glielo fece saltar via di mano. Il gworl fece per estrarre un altro coltello dalla sua cintura. Wolff non perse tempo a estrarre il primo coltello dalla cornucopia; continuò a correre. Nel momento in cui il gworl sollevò il coltello per colpire Wolff, Wolff mollò la pietra, sollevò il grande frutto a forma di campana, e lo sbatté sulla creatura.
Un guaito attutito si udì giungere dall’interno della cornucopia. La cornucopia si rovesciò, insieme al gworl, ed entrambi cominciarono a galleggiare, portati verso il mare dalla corrente. Wolff corse nell’acqua, riprese il sasso, e afferrò il gworl per una gamba. Diede un’occhiata frettolosa all’altro, e vide che stava per lanciare il coltello. Wolff afferrò il manico del coltello che sporgeva dalla cornucopia, lo tirò fuori, e poi si gettò giù, al riparo della cornucopia. Fu costretto a lasciare la presa, abbandonando il piede peloso del gworl, ma riuscì a evitare il coltello. Rimbalzò sul bordo della cornucopia e si piantò fino all’impugnatura nella fanghiglia della sponda.
Nello stesso tempo, il gworl dentro la cornucopia cercò di uscirne, annaspando. Wolff lo colpì al fianco; il coltello scivolò su una delle protuberanze cartilaginee. Il gworl urlò e si voltò ad affrontarlo. Wolff si alzò e colpì allo stomaco la creatura, con tutte le sue forze. Il coltello affondò fino all’impugnatura. Il gworl cercò di afferrarlo; Wolff arretrò d’un passo; il gworl cadde nell’acqua. La cornucopia, galleggiando, si allontanò, lasciando esposto Wolff, senza coltello, e solo con la pietra in mano. Il gworl superstite stava avanzando verso di lui, stringendo il coltello all’altezza del petto. Evidentemente, non intendeva tentare un secondo lancio. Voleva affrontare Wolff direttamente.
Wolff si costrinse ad attendere, fino a quando la cosa non fu a tre metri da lui. Aspettando, si raccolse, tanto che l’acqua gli arrivò al petto e nascose la pietra, che aveva passato dalla mano sinistra alla destra. Ora poteva vedere chiaramente il volto del gworl. Aveva una fronte bassissima, una doppia arcata sopraccigliare, delle sopracciglia spesse e folte, occhi giallo-limone vicinissimi l’uno all’altro, un naso appiattito, con una sola narice, delle labbra bestiali nere e sottili, una mascella sporgente che si curvava all’esterno e dava alla bocca un aspetto da rospo, niente mento, e i denti aguzzi e spaziati dei carnivori. La testa, il volto e il corpo erano coperti di un pelo lungo, folto e nero. Il collo era grossissimo, e le spalle erano curve. Il pelo bagnato puzzava come un frutto marcito.