Il visitatore di questi affascinanti mondi dovrà quindi imparare a esprimersi secondo i modi locali, a costo di essere trattato con il più consumato disprezzo.
Thissell aveva annotato sul suo libretto:
Procurarsi piccoli strumenti musicali, assieme alle istruzioni per l’uso. Poi aveva continuato a leggere: Dappertutto e sempre c’è abbondanza, per non dire eccesso, di cibo, e il clima è benevolo. Disponendo di una base di energia razziale e di una gran quantità di tempo libero, la popolazione si occupa di tutto ciò che è complicato. Artigianato complicato, come per esempio le vetrate scolpite che adornano le case galleggianti; simbolismi complicati, come implicano le maschere che tutti portano; complicata la lingua semimusicale che esprime mirabilmente i sottili sentimenti e le emozioni; ma più di tutto complicato è il sistema di relazioni tra persona e persona. Prestigio, faccia, mana, reputazione, gloria: la parola sirenese è strakh. Ogni uomo ha il suo caratteristico strakh, che determina se, dovendo usare una casa galleggiante, egli potrà servirsi di un palazzo galleggiante, arricchito di gemme, lanterne d’alabastro, sgargianti porcellane e legni scolpiti, oppure gli sarà a malapena permessa una capanna abbandonata sopra una zattera. Non ci sono mezzi di scambio su Sirene; il solo e unico denaro è rappresentato dallo strakh…
Thissell si era fregato il mento continuando a leggere.
Le maschere sono indossate in ogni momento, secondo la filosofia che un uomo non dovrebbe essere obbligato a tenersi una faccia che gli è stata appioppata da fattori che egli non può controllare; in altri termini ognuno deve potersi scegliere l’aspetto più consono al proprio strakh. Nelle zone civilizzate di Sirene — in pratica il litorale titanico — un uomo non mostra mai, alla lettera, la propria faccia; è un suo basilare segreto.
Scherzare su questo argomento non è pensabile, su Sirene; sarebbe catastrofico per l’amor proprio sirenese ottenere dei vantaggi in modo che non si tenga conto del proprio strakh. La parola «fortuna» non ha equivalenti nella lingua sirenese.
Thissell aveva preso un’altra annotazione: Procurarsi una maschera, Museo? Accademia d’arte drammatica?
Aveva finito l’articolo, affrettandosi a completare la sua preparazione, e il giorno dopo si era imbarcato a bordo della Robert Astroguard per la prima tappa del suo viaggio verso Sirene.
La navicella si era posata sullo spazioporto sirenese, un disco di topazio in mezzo alle colline nere, verdi e porpora. La navicella era atterrata ed Edwer Thissell ne era uscito. Esteban Rolver era andato a incontrarlo; era l’agente locale delle Spaziolinee. Rolver alzò le braccia e fece un passo indietro. — La sua maschera — gridò con voce rauca. — Dov’è la sua maschera?
Thissell gliela mostrò quasi senza rendersene conto. — Non ero sicuro…
— La indossi — disse Rolver girandosi dall’altra parte. Egli stesso indossava un oggetto di opache squame verdi e legno laccato blu. Degli aculei neri spuntavano dalle guance e, sotto al mento, portava un ponpon a quadretti bianchi e rossi. Il tutto rendeva l’effetto di una personalità ossequiosa e sarcastica.
Thissell si sistemò la maschera sul viso, indeciso se scherzare sull’argomento o mantenersi riservato, come si conveniva alla dignità della sua posizione.
— È mascherato? — chiese Rolver parlando da dietro le spalle.
Thissell rispose affermativamente e Rolver si voltò. La maschera nascondeva l’espressione del viso, ma inconsciamente la sua mano toccò una serie di tasti che portava legati alla coscia. Lo strumento emise un trillo di educata e sincera costernazione. — Non può portare quella maschera! — cantò Rolver. — Per il ver… Dove l’ha presa?
— È una copia ricavata da una maschera che appartiene al museo di Polypolis — dichiarò rigidamente Thissell. — È sicuramente autentica.
Rolver annuì, mentre la sua maschera pareva più sarcastica che mai. —
È autentica, infatti. È una variante del tipo noto come Conquistatore del Dragone Marino ed è indossata in certe cerimonie da persone di enorme prestigio: principesse, eroi, maestri artigiani, grandi musicisti.
— Non sapevo…
Rolver fece un gesto di vaga comprensione. — È qualcosa che imparerà a suo tempo. Guardi la mia maschera. Oggi indosso un Uccello Lacustre.
Le persone di minimo prestigio… come lei, io e qualsiasi altro extra-sirenese, portano delle cose del genere.
— Curioso — disse Thissell, mentre attraversavano il campo alla volta di una bassa costruzione di cemento. — Mi era sembrato di capire che ognuno indossasse quel che voleva.
— Certo — disse Rolver. — Indossi la maschera che vuole… a patto che possa dimostrarlo. Prenda questo Uccello Lacustre, per esempio. Lo porto per indicare che presuppongo di essere niente. Non pretendo di essere saggio, feroce, versatile, musicista, truculento, o di possedere una qualsiasi delle decine di virtù sirenesi.
— Ma, solo per parlare — disse Thissell — cosa succederebbe se camminassi per le strade di Zundar con questa maschera?
Rolver rise e il suono risultò ovattato dietro la maschera. — Se lei camminasse per i moli di Zundar — non ci sono strade — con qualsiasi maschera, sarebbe ucciso nel giro di un’ora. È proprio ciò che è successo a Benko, il suo predecessore. Non sapeva come fare. Nessuno di noi extra-sirenesi sa come fare. A Fan siamo tollerati… finché stiamo al nostro posto. Ma lei non potrebbe nemmeno andare in giro, a Fan, con le insegne regali che indossa così disinvoltamente adesso. Qualcuno con indosso un Serpente di Fuoco o un Dimonio del Tuono — maschere, lei capisce — marcerebbe su di lei. Suonerebbe il suo krodatch e, se lei non riuscisse a rimbeccare la sua audacia con un passaggio di skaranyi [4], uno strumento diabolico, lui suonerebbe il suo himerkin… lo strumento che si usa con gli schiavi. Questa è la massima espressione di disprezzo. O potrebbe anche suonare il duello-gong e poi attaccarla all’istante.
— Non sapevo proprio che la gente qui fosse tanto irascibile — disse Thissell in tono basso.
Rolver sollevò le spalle e spalancò la massiccia porta del suo ufficio.
— Ci sono cose che, se fatte tra la bella gente di Polypolis, non mancherebbero di sollevare critiche.
— Sì, questo è verissimo — disse Thissell. Guardò tutto l’ufficio. —
Perché questi sistemi di sicurezza? Il cemento armato, le sbarre?
— Protezione contro i selvaggi — disse Rolver. — Scendono dalle montagne di notte, rubano quel che c’è e uccidono tutti quelli che trovano all’aperto. — Si avvicinò a un armadio e prese una maschera. — Ecco. Usi questo Faleno Lunare; non la caccerà nei guai.
Thissell ispezionò la maschera senza entusiasmo. Era fatta di pelliccia color topo; c’era un ciuffo di pelo ai due lati del buco che serviva da bocca, dalla fronte spuntavano un paio di antenne simili a piume. Dei lembi di merletto bianco penzolavano dalle tempie e, sotto gli occhi, c’era una serie di pieghine rosse, che creavano un effetto lugubre e comico a un tempo.
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