— No — dissi, guardandoli circondare Gina. — Non in questo momento.
— Oh, bene. Nell’ultimo esercizio di sensitività mi sono ritrovato con Flip. — Ci sedemmo. — Allora, la sua ricerca sulle mode viene al dunque?
— No. Ho scelto il taglio alla maschietta perché volevo una moda che non avesse una causa ovvia. Molte mode sono dovute a conquiste tecnologiche: nylon, letti ad acqua, scarpe di tela illuminate…
— Ricoveri antiatomici.
Annuii. — Oppure sono fenomeni di marketing, come il Trivial Pursuit e gli orsacchiotti.
— E i ricoveri antiatomici.
— Giusto. Il taglio alla maschietta non costava niente, a parte la tariffa del barbiere; e se non avevi i soldi, ti bastava usare un paio di forbici, cioè una tecnologia che esiste da una vita. — Cominciai a emettere un sospiro, ma mi resi conto che mi sarei comportata proprio come Flip.
— Allora qual è il problema? — domandò Bennett.
— Il problema è che il taglio alla maschietta non ha una chiara origine. Per un poco ho sospettato di Irene Castle, ma poi ho scoperto che seguiva una moda olandese assai popolare a Parigi l’anno precedente. E nessuna delle altre fonti ha una correlazione diretta col periodo critico. Ha mai sentito parlare di un posto chiamato Marydale, Ohio?
— Buon giorno! — disse dal podio Grancapo. Aveva una polo, un paio di Docker e un sorriso compiaciuto. — Siamo davvero entusiasti di vedervi tutti qui.
— Che intenzioni ha Grancapo? — bisbigliai a Bennett.
— Un nuovo acronimo, direi — mi rispose in un bisbiglio. — Iniziative Dirigenziali Interdipartimentali Oggettive Trasferibili Altrove. — Scrisse sul notes le iniziali. — I.D.I.O.T.A.
— Oggi abbiamo parecchi argomenti — disse allegramente Grancapo. — Primo, alcuni di voi hanno piccole difficoltà nel compilare il modulo semplificato per l’assegnazione finanziamenti. Riceverete un memo che risponde a tutte le vostre domande. Proprio adesso il collegamento comunicazioni interdipartimentale sta facendo una copia per ciascuno di voi.
Bennett appoggiò la testa sul tavolino.
— Secondo, sono lieto di annunciare che a partire da questa settimana la HiTek istituisce una politica “vesti casual”. È un’idea innovativa che tutte le migliori aziende stanno implementando. L’abbigliamento casual incoraggia un luogo di lavoro più rilassato e più forti interfacce interimpiegati. Perciò a partire da domani mi aspetto di vedervi tutti in abbigliamento casual.
Smisi di ascoltarlo ed esaminai Bennett. Vestiva in modo orrendo. Aveva una camicia di poliestere stampato a piccole margherite in un assortimento di tonalità di marrone, nessuna delle quali si avvicinava a quella dei calzoni di velluto a coste. Sulla camicia portava uno spelacchiato cardigan grigio.
Ma non si trattava solo dei capi di vestiario. Il film basato sulla serie televisiva Brady Bunch aveva riportato di moda gli stili degli anni Venti. L’altro giorno Flip indossava disco-pants di satin e zatteroni, e nel Mall di Boulder si vedevano catene d’oro dappertutto. Ma Bennett non aveva l’aria rétro. Aveva l’aria da “zarro”. Ed ero convinta che avrebbe continuato ad averla anche con un bomber e un paio di Nike. Come se fosse un “anti-moda”.
No, neppure questa definizione era giusta. Quasi tutte le mode iniziavano come rifiuto di mode già esistenti. I capelli lunghi degli anni Sessanta erano un rifiuto del taglio a spazzola degli anni Cinquanta; gli abiti corti, piatti, sformati, poco femminili, erano una reazione ai vestiti vittoriani con un’esagerazione di crinoline e corsetteria.
Bennett non si ribellava alla moda. Più verosimilmente, era ignaro del concetto di moda. No, nemmeno questa era la parola giusta. Bennett era immune alle mode.
E la sua immunità significava forse che le mode stesse erano causate da una sorta di virus? Diedi un’occhiata al tavolo di Gina: Elaine e il dottor Applegate parlottavano animatamente con lei di enfisema e degli avvertimenti della Sanità. Bennett era davvero immune alle mode o solo totalmente estraneo alle mode, come aveva detto Flip?
Aprii il notes, scrissi: “Hanno assunto la nuova assistente di Flip” e lo spinsi davanti a Bennett.
Lui scrisse: “Lo so. L’ho incontrata stamattina. Si chiama Shirl”.
“Sa che fuma?”
Mentre leggeva, studiai la sua espressione. Non mi parve né sorpreso né disgustato.
“Flip me l’ha detto” scrisse Bennett. “Ha detto che Shirl avrebbe inquinato il posto di lavoro. Il bue dice cornuto all’asino.”
Risi.
“Cosa significa quella i che Flip ha tatuata sulla fronte?” scrisse Bennett.
“Non è un tatuaggio, è un marchio.”
“Incompetente o impossibile?”
— Iniziativa — disse Grancapo e tutt’e due alzammo gli occhi, come colti in fallo. — E questo mi porta al terzo argomento. Quanti di voi sanno che cos’è il Niebnitz Grant?
Io lo sapevo e avrei scommesso che lo sapevano tutti, anche se nessuno aveva alzato la mano. È la più ricca borsa di studio per la ricerca, superiore perfino al MacArthur Grant, e virtualmente senza condizioni. Lo scienziato riceve il denaro e può usarlo per qualsiasi tipo di ricerca. O per ritirarsi alle Bahamas.
È anche la borsa di studio più misteriosa che ci sia. Nessuno sa chi l’assegna, perché l’assegna e neppure quando l’assegna. L’anno prima era stata assegnata a Lawrence Chin, che aveva svolto ricerche sull’intelligenza artificiale; l’anno prima ancora ne erano state assegnate quattro, ma erano trascorsi più di tre anni dalla precedente assegnazione. Quelli del Niebnitz Grant (chiunque fossero) planavano periodicamente come Angeli dei Cieli su uno scienziato che nulla sospettava, e facevano in modo che non dovesse mai più compilare un modulo semplificato per l’assegnazione dei finanziamenti.
Non ci sono requisiti né candidature né particolari campi di studio privilegiati. I quattro vincitori del penultimo anno erano un Nobel, un assistente universitario, un chimico che lavorava in un istituto di ricerca francese e un inventore part-time. L’unica cosa certa del Niebnitz Grant è il suo ammontare, che Grancapo aveva appena scritto sulla lavagna a fogli mobili: 1.000.000 di dollari.
— Il vincitore del Niebnitz Grant riceve un milione di dollari da spendere nella ricerca in uno o più campi a sua scelta — disse Grancapo, e girò il foglio della lavagna. — Il Niebnitz Grant viene assegnato per sensibilità scientifica. — Scrisse scienza sul foglio. — Modo di pensare divergente. — Scrisse pensiero. — E circostanziata predisposizione a importanti conquiste scientifiche. — Aggiunse conquista e con la bacchetta picchiettò sulle tre parole. — Scienza. Pensiero. Conquista.
— Che c’entra con noi? — bisbigliò Bennett.
— Due anni fa, l’Istituto di Parigi ha ottenuto un Niebnitz Grant — disse Grancapo.
— No, non è vero — bisbigliai. — L’ha ottenuto uno scienziato che lavorava per l’Istituto.
— E lì usavano tecniche manageriali antiquate — disse Grancapo.
— Oh, no — mormorai. — Grancapo si aspetta che uno di noi vinca un Niebnitz.
— Come può aspettarselo? — bisbigliò Bennett. — Nessuno sa come venga assegnato.
Grancapo lanciò una occhiata gelida nella nostra direzione. — Il Comitato del Niebnitz Grant ricerca progetti creativi in fase di sviluppo che presentino il potenziale per importanti conquiste scientifiche, cioè proprio la materia del nostro programma GRIM. Ora vorrei che formaste dei gruppi e scriveste cinque cose che potete fare per vincere il Niebnitz.