Fui sul punto di spiegarle che, vista la percentuale di non fumatori nella popolazione generale e il piccolissimo numero di vincitori del Niebnitz Grant, la probabilità che questi ultimi fossero non fumatori (o qualsiasi altra cosa) era statisticamente insignificante, ma lasciai perdere: non avevamo ancora identificato la guida.
— Non sa dove potrebbe essere Shirl?
— L’ho mandata in Direzione a consegnare un rapporto.
Ma Shirl non era neppure in Direzione. Tornai giù nel laboratorio. Anche Bennett non era riuscito a trovarla. — Dobbiamo arrangiarci da soli — disse.
— Bene. È una guida, perciò è una leader. Mettiamo nel paddock un po’ di fieno e stiamo a vedere che cosa succede.
Mettemmo nel paddock un po’ di fieno.
Non successe niente. Quando Ben scaricò nel paddock forconate di fieno, le pecore più vicino a lui si sparpagliarono e continuarono a brucare. Una andò all’abbeveratoio, infilò la testa fra trogolo e muro e rimase lì incastrata a belare.
— Forse ha portato la pecora sbagliata — disse Ben.
— Ha le cassette registrate della notte scorsa?
— Sì. — Si illuminò. — Ci sarà il suo amico che porta la guida.
C’era: rivedemmo Billy Ray che abbassava la sponda del camion e la guida che scendeva docilmente la rampa e si univa al gregge. Ora bastava seguire i suoi movimenti, fotogramma per fotogramma, fino al momento attuale.
O sarebbe bastato, se Flip non si fosse messa in mezzo. Per almeno dieci minuti nascose completamente il gregge, e quando finalmente si spostò di lato le pecore avevano assunto una disposizione del tutto diversa.
— Flip ha chiesto a Billy Ray se la riteneva dotata di senso dell’umorismo — dissi.
— Naturalmente. E ora?
— Torniamo indietro. Blocchiamo l’inquadratura nel momento in cui la guida scende dal camion. Forse quella pecora ha qualche caratteristica particolare.
Ben tornò indietro e studiammo il fotogramma. La guida pareva esattamente simile alle altre. Se aveva caratteristiche particolari, solo le pecore potevano riconoscerle.
— Sembra un po’ strabica — disse alla fine Ben, indicando lo schermo. — Vede?
Passammo la mezz’ora seguente a farci strada nel gregge, prendendo per il muso le pecore e guardandole negli occhi. Erano tutte un po’ strabiche e con un’aria così assente che avrebbero dovuto avere una i (per indecifrabile) marcata sulla fronte allungata e color bianco sporco.
— Dev’esserci un sistema migliore — dissi, dopo che una pecora mi spinse contro lo steccato e per poco non mi spezzò tutt’e due le gambe. — Guardiamo di nuovo la registrazione.
— Della notte scorsa?
— No, di stamattina. E continui a registrare, torno subito.
Corsi al laboratorio di statistica, presi il dischetto con i miei programmi vettore e frugai nella raccolta di materiale sulle mode.
Mentre salivo, mi era venuto in mente che, se fossimo riusciti a individuare la guida, ci sarebbe servito qualcosa per contrassegnarla. Così presi il pezzo di nastro rosa postmoderno comprato a Boulder e tornai di corsa al laboratorio.
Le pecore si erano radunate intorno al fieno e mangiavano con diligenza, muovendo quei loro denti larghi e quadrati. — Ha visto chi le ha guidate? — domandai a Ben.
Lui scosse la testa. — Sono finite tutte insieme attorno al fieno. Guardi. — Mise in funzione il videoregistratore e mi mostrò la scena.
Aveva ragione. Sullo schermo le pecore vagavano senza meta per il paddock, fermandosi a brucare a ogni passo senza badare alle altre né al fieno, finché, apparentemente per caso, si ritrovarono tutte con le zampe in mezzo fieno, mangiucchiando distrattamente.
— D’accordo. — Mi sedetti al computer. — Colleghi la cassetta e vedrò se riesco a isolare la guida. Registra sempre?
Ben annuì. — Originale e copia di riserva.
— Bene. — Riavvolsi il nastro fino a dieci fotogrammi dal momento in cui Ben inforcava il fieno, bloccai il fotogramma e creai un grafico, assegnando a ogni pecora un diverso punto colorato e ripetendo l’operazione per i venti fotogrammi successivi, in modo da stabilire un vettore. Poi cominciai una serie di esperimenti per vedere quanti fotogrammi potevo saltare senza perdere traccia dell’identità delle singole pecore.
Quaranta. Le pecore brucavano per poco più di due minuti, poi muovevano una media di tre passi e si fermavano a brucare ancora. Cominciai da quaranta, in due tentativi persi le tracce di tre pecore, ridussi a trenta i fotogrammi e proseguii. Quando ebbi dieci punti per ogni pecora, lanciai un programma d’analisi per calcolare le prossimità e la direzione media, e continuai a tracciare vettori. Sullo schermo il movimento era sempre casuale, determinato dall’altezza dell’erba o dalla direzione del vento o da qualsiasi cosa induca una pecora a spostarsi da una parte o dall’altra.
Un vettore puntava verso il fieno; lo isolai e lo seguii per i cento fotogrammi successivi, ma si trattava solo di una pecora dal pelame arruffato, decisa a infilarsi in un angolo. Tornai a seguire tutti i vettori.
Ancora niente, sullo schermo, ma nei numeri cominciò a emergere uno schema. Blu ceruleo. Lo seguii in avanti, non del tutto convinta. La pecora pareva brucare più o meno in cerchio, e le prossimità mostravano che si muoveva irregolarmente ma costantemente verso il fieno.
Isolai il vettore e osservai sul video quella pecora. Pareva del tutto normale e assolutamente inconsapevole del fieno. Mosse un paio di passi, brucò, mosse un altro passo, si girò leggermente, brucò ancora, avvicinandosi sempre un po’ di più al fieno. Da metà dei fotogrammi in poi la regressione mostrò che il resto del gregge la seguiva.
Volevo essere sicura. — Ben — dissi — copra l’abbeveratoio e metta una padella d’acqua vicino al cancello posteriore. Aspetti un momento che mi collego al nastro, così posso seguire direttamente. Fatto. Cammini lungo il lato per non coprire la telecamera.
Seguii sul monitor Ben che usava un foglio di compensato per coprire l’abbeveratoio, portava fuori una padella e la riempiva con la manichetta, e tenni d’occhio le pecore per scoprire se qualcuna notava i suoi movimenti.
Nessuna notò niente.
Restarono tutte accanto al fieno. Ci fu una breve agitazione quando Ben rimise a posto la manichetta e il paletto del cancello, poi le pecore tornarono ai propri affari, come al solito.
Seguii in tempo reale il blu ceruleo, stando attenta ai numeri. — L’ho trovata — dissi.
Bennett venne a guardare da sopra la mia spalla. — Ne è sicura? Non pare più intelligente delle altre.
— Se lo sembrasse, le altre non la seguirebbero.
— L’ho cercata di sopra — disse Flip arrivando all’improvviso — ma non c’era.
— Siamo occupati, Flip — dissi, senza togliere gli occhi dallo schermo.
— Vado a prendere la cavezza e un collare — disse Ben. — Mi dia le indicazioni.
— Solo un minuto — disse Flip. — Voglio che guardi una cosa.
— Non ora — replicai, gli occhi sempre fissi sullo schermo. Dopo un minuto Ben comparve nel quadro, reggendo collare e cavezza.
— Quale? — gridò.
— Vada a sinistra — gridai io. — Tre, no, quattro pecore. Bene. Ora, verso il muro ovest.
— La causa è Darrell, vero? — disse Flip. — L’ha messo in un giornale! Chiunque lo leggeva aveva il diritto di rispondere.
— Ancora una a sinistra — gridai. — No, non quella. L’altra davanti. Bene, ora non la spaventi. Le metta la mano sul sedere.
— Inoltre diceva “sofisticata ed elegante” — continuò Flip. — Le scienziate non sono eleganti, a parte la dottoressa Turnbull.
— Attento! — gridai. — Non la spaventi. — Mi mossi per uscire ad aiutarlo.