Flip mi bloccò la strada. — Voglio solo che guardi una cosa. Basta un minuto.
— Presto — chiamò Ben. — Non riesco a trattenerla.
— Non ho un minuto — dissi, e passai davanti a Flip, pregando che Ben non avesse già perso la guida. La teneva ancora, ma per poco. Si era appeso a due mani alla coda e reggeva ancora cavezza e collare. Non aveva modo di passarmeli. Tolsi di tasca il nastro, lo avvolsi intorno al collo della pecora e lo annodai. — Fatto — dissi, piantandomi a gambe larghe — può lasciarla.
Il contraccolpo rischiò di sbattermi a terra, e la guida cominciò immediatamente ad allontanarsi da me e dal nastro ben poco resistente, ma Ben stava già mettendole la cavezza. Me la passò da tenere e mise alla pecora il collare, proprio mentre il nastro cedeva con un forte strappo. Ben afferrò la cavezza e insieme trattenemmo la pecora, come due bambini che fanno volare un aquilone. — Ha il collare — ansimò Ben.
Ma il collare era invisibile, sepolto nel folto pelame della guida.
— La tenga ancora un minuto. — Avvolsi sotto il collare i resti del nastro. — La tenga ferma — dissi, facendo un bel nodo a fiocco. — Rosa postmoderno è il colore dell’autunno! — Aggiustai i capi del fiocco. — Ecco fatto, sei proprio una pecora all’ultima moda.
Evidentemente era d’accordo. Smise di dibattersi e rimase immobile. Ben si inginocchiò accanto a me e le tolse la cavezza. — Facciamo una gran bella squadra — disse sorridendomi.
— Davvero — ammisi.
— Bene — disse Flip dal cancello, muovendo su e giù il paletto. — Ora ha un minuto?
Ben roteò gli occhi.
— Sì — risposi ridendo. Mi rialzai. — Ho un minuto. Cosa vuoi che guardi?
Era chiarissimo, ora che la guardavo bene. Si era tinta i capelli — ciuffo, treccine, perfino la peluria sulla parte rasata — di un brillante, bilioso blu Cherenkhov.
— Allora? — disse Flip. — Gli piacerà?
— Non so, Flip. I dentisti hanno la tendenza a essere piuttosto conservatori.
— Lo so! — disse lei, roteando gli occhi. — Per questo li ho tinti di blu. Il blu è conservatore. — Agitò il ciuffo blu. — Lei non mi è di nessun aiuto — concluse, e se ne andò.
Mi girai verso Ben e la guida, che era sempre immobile. — E ora?
Ben si accovacciò accanto alla guida e le prese il muso. — Ti insegneremo cose con bassa soglia di abilità — disse — e tu le insegnerai alle tue amiche. Capito?
La guida ruminò pensierosamente.
— Cosa suggerisce, dottoressa Foster? Scarabeo? Ping-pong? — Si rivolse alla guida. — Ti piacerebbe iniziare una catena di sant’Antonio?
— Penso sarebbe meglio limitarci al premere un pulsante per aprire un contenitore di cibo — dissi. — Come mi ha fatto notare, non sembra molto intelligente.
Ben piegò la testa da un lato, poi dall’altro, e corrugò la fronte. — Assomiglia a Flip. — Mi sorrise. — D’accordo, le insegneremo Trivial Pursuit. Ma prima devo procurarmi un po’ di burro di arachidi. Cura e gestione delle pecore dice che le pecore amano il burro di arachidi. — Si allontanò.
Raddoppiai il nodo al fiocco della guida e mi appoggiai al cancello a guardare le pecore. I movimenti parevano casuali e privi di direzione, come sempre. Le pecore brucavano, muovevano un passo, brucavano di nuovo; e così faceva la guida, distinguibile dalle altre soltanto per il fiocco rosa pallido. Non si faceva notare e non notava niente. Ma nel frattempo guidava le altre.
Strappò un ciuffo d’erba, lo masticò, mosse due passi, guardò con aria assente nel vuoto per un minuto… pensando a cosa? A farsi il piercing al naso? La nuova moda per l’autunno?
— Ah, eccola qui — disse Shirl, arrivando con un fascio di fogli. Pareva arrabbiata. — Non è fidanzata con quel Billy Ray, vero? Perché, se è fidanzata, questo cambia il mio intero… — Si interruppe. — Allora, è fidanzata?
— No. Chi le ha detto che lo ero?
— Flip — rispose Shirl, disgustata. Posò i fogli e si accese una sigaretta. — Ha detto a Sarah che lei si sarebbe sposata e trasferita nel Nevada.
— Wyoming — la corressi. — Ma non mi sposo.
— Bene! — disse Shirl, tirando con enfasi una boccata dalla sigaretta. — Lei è una scienziata di grande talento, con un futuro molto brillante. Con la sua abilità, tante buone cose le capiteranno fra non molto, e lei non ha il diritto di gettarle via.
— Non le getto — dissi, facendo uno sforzo per cambiare argomento. — Voleva vedermi per qualche cosa?
— Sì — disse Shirl, indicando il paddock. — Quando arriva la guida, le metta un segno prima che si confonda con le altre pecore, così sarà sicura di riconoscerla. Ah, domani c’è un meeting di tutto lo staff. — Raccolse il fascio di memo e mi porse un foglio. — Alle due del pomeriggio.
— Oh no, un altro meeting! — dissi.
Shirl spense la sigaretta e se ne andò. Tornai ad appoggiarmi allo steccato e a osservare le pecore. Brucavano pacificamente, la guida in mezzo alle altre, distinguibile solo per il fiocco rosa.
Dovrei spostare in mezzo al paddock il trogolo del cibo, pensai, e controllare i circuiti, così saremo pronti quando Ben torna. Invece mi rimisi al computer, seguii i vettori per un po’ e poi restai a fissare lo schermo, guardando le pecore muoversi con la guida in mezzo, e pensando a Robert Browning e al taglio alla maschietta.
ANELLI DELL’UMORE (1975)
Moda di gioielleria consistente in un anello con una grossa “pietra”, che era in realtà un cristallo liquido sensibile alla temperatura. In teoria, questi anelli dovevano riflettere l’umore di chi li portava e rivelarne i pensieri. Azzurro significava tranquillità; rosso, irritabilità; nero, depressione. Poiché la pietra reagiva in realtà alla temperatura, e dopo poco tempo nemmeno a quella, nessuno otteneva il viola della “beatitudine” senza avere la febbre alta, finché, quando gli anelli diventavano definitivamente neri, tutti sprofondavano nella malinconia e nella disperazione. Soppiantati dalle pietre predilette, che non reagivano a niente.
La guida poteva effettivamente indurre il gregge a fare ciò che voleva lei. Indurre la guida a fare ciò che volevamo noi era tutt’altra faccenda. Ci guardò spalmare burro di arachidi sul pulsante che avrebbe dovuto premere e poi guidò il gregge in un tumultuoso pigia pigia nell’angolo più lontano.
Riprovammo. Ben la blandì offrendole una mela marcia che, secondo Allevare pecore per divertimento e profitto, era una vera leccornia per le pecore, e la guida lo seguì accanto al trogolo. — Brava bambina — disse Ben. Si chinò per darle la mela e quella gli rifilò una sapiente testata nello stomaco, lasciandolo senza fiato.
Allora provammo lattuga vizza e poi broccoli freschi, senza grandi risultati (“Almeno non l’ha presa a testate” dissi a Ben) e per quel giorno lasciammo perdere.
Quando tornai al lavoro il mattino dopo, con una sporta piena di cavoli e di kiwi (Storie di un pastore australiano), trovai Ben che spalmava melassa sul pulsante.
— Bene, c’è stata decisamente una diffusione di informazioni — mi disse. — Stamattina già tre pecore mi hanno preso a testate.
Conducemmo la guida al trogolo, usando il metodo mento-coda-cavezza e una pistola ad acqua suggerita da Cura e gestione delle pecore. — In teoria dovrebbe evitarci le testate — spiegò Ben.
Non evitò un bel niente.
Aiutai Ben a rialzarsi. — Storie di un pastore australiano diceva che solo i montoni danno testate, non le pecore. — Gli spolverai i vestiti. — Questo basta a far perdere fiducia nella letteratura.