— Venire meno alle giuste misure di sicurezza dell’istituto! — proseguì Grancapo.
— Facilitare il potenziale — mormorai, cercando di far muovere le pecore in un’altra direzione, una qualsiasi.
— Quegli animali non dovrebbero essere qui! — gridò Grancapo da sopra la scrivania.
Evidentemente la stessa idea era venuta alle pecore, che si misero a belare tutte insieme in un continuo, assordante beee.
Guardai con attenzione le pecore, nel tentativo di individuare dove aveva avuto origine il belato; ma esso pareva giungere da tutte le parti nello stesso tempo. Come il taglio alla maschietta.
— Ha visto dove è iniziato il belato? — gridai a Ben, che lasciò andare la pecora. E all’improvviso tutte furono di nuovo in movimento, gironzolando in massa per l’ufficio e verso l’anticamera.
— Dove vanno? — chiese Ben.
Grancapo scese dalla scrivania e si mise a gridare di nuovo avvertimenti, con l’aria d’essere vestito un po’ più casual di prima. — La HiTek non può tollerare sabotaggi da parte degli impiegati! Se uno di voi due o quella fumatrice ha fatto uscire di proposito le pecore…
— Noi no — disse Ben, cercando di arrivare alla porta. — Di sicuro sono uscite da sole. — E mi balenò in mente l’immagine di Flip appesa al cancello del paddock, occupata a giocherellare col saliscendi, su e giù, su e giù.
Mentre Ben raggiungeva la porta, le ultime due pecore si sforzarono di varcarla insieme, belando freneticamente al pensiero di restare indietro. Ma appena furono nel corridoio, ripresero tutte a girare in tondo senza meta, spaesate, ma impassibili.
— Dobbiamo trovare la guida — dissi. Cominciai ad aprirmi la strada fra le pecore, alla ricerca del nastro rosa.
Dal fondo del corridoio provenne un urlo e un: — Dio vi fulmini, stupide creature!
Era Shirl, carica di documenti. — Toglietevi di mezzo, stupidi animali! — gridò. — Come siete… — Si bloccò nel vedere il corridoio pieno di pecore. — Chi le ha fatte uscire?
— Flip — dissi, tastando il collo di una pecora alla ricerca del nastro.
— Non può essere stata lei — disse Shirl, avanzando verso di me tra le pecore. — Non c’è.
— Cosa significa: “Non c’è”? — Due pecore mi passarono di fianco e poco mancò che mi gettassero a terra.
— Se n’è andata — disse Shirl, colpendone una col fascio di documenti. — Tre giorni fa.
— Non importa — dissi, spingendo l’altra pecora. — In qualche modo, dietro tutto questo c’è Flip. Dietro ogni cosa c’è lei.
All’improvviso le pecore si avviarono lungo il corridoio, verso il Personale.
— E ora dove vanno? — disse Ben.
— Non lo sanno neanche loro. Guardi e ammiri il pubblico americano.
Grancapo, con le Dockers in disordine, emerse dall’ufficio. — Un simile comportamento è un evidente effetto collaterale della nicotina!
— Dobbiamo trovare la guida — dissi. — È la chiave.
Ben si fermò e mi guardò. — La chiave — ripeté.
Grancapo gridò: — Appena scopro chi ha provocato questo… questo caos…
— Caos — disse Ben, quasi tra sé. — La chiave è la guida.
— Sì, è l’unico modo per riportare le pecore giù a Biologia. Lei cominci da questa parte, io comincio dall’altra. Okay?
Ben non mi rispose. Rimase immobile a bocca aperta, gli occhi socchiusi dietro le lenti a fondo di bottiglia, mentre le pecore giravano in tondo intorno a lui. — Una guida — disse piano.
— Sì, la guida. — Ci volle un bel po’, prima che i suoi occhi si mettessero a fuoco su di me. — Trovi la guida — dissi. — Pensi rosa. — E mi avviai dall’altra parte del corridoio. — Shirl, corra al laboratorio e prenda una cavezza e un guinzaglio. — All’improvviso fui colpita da un particolare. — Ha detto che Flip se n’è andata?
Shirl annuì. — Quel dentista che ha conosciuto tramite gli annunci personali. Si è trasferito e lei l’ha seguito. Per essere geograficamente compatibile. — Si allontanò in direzione di Biologia.
Le pecore erano sulle scale e giravano in massa, atterrite, sull’orlo del primo gradino, ed era un peccato che non fosse un precipizio. Forse sarebbero cadute ugualmente e si sarebbero rotte il collo… ma sarebbe stato chiedere troppo alla fortuna. Invece scesero agilmente una rampa e si riversarono nel corridoio di Statistica. Tornai su di corsa. — Vanno a Statistica! — gridai a Ben.
Ben non c’era. Tornai giù e mi fermai a metà rampa. In un angolo vidi il nastro rosa, tutto sporco e calpestato. Fantastico, pensai. Alzai gli occhi: Alicia Turnbull mi guardava con odio. — Dottoressa Foster! — esclamò con disapprovazione.
— Non me lo dica. Nessun vincitore del Niebnitz Grant è mai stato coinvolto in una fuga precipitosa di bestiame.
— Dov’è il dottor O’Reilly?
— Non lo so. — Raccolsi il nastro rovinato. — E non so neppure dov’è la guida. Né quale tipo di progetto vincerà il Niebnitz Grant. Però posso immaginare benissimo ciò che in questo momento le pecore fanno a Statistica, quindi, se non le dispiace… — Le passai davanti, lasciai la scala e imboccai il corridoio.
Almeno non possono fare danno nel mio laboratorio, pensai, augurandomi che anche le altre porte fossero chiuse.
Il gregge era ancora nel corridoio, perciò le porte erano di sicuro chiuse. Gina, in fondo, era appena uscita dal laboratorio di Statistica.
— Tempo di bagno-break — disse appena vide le pecore, e infilò una porta.
Iniziai a passare fra le pecore, chinandomi a sollevare loro il muso e a guardare in quegli occhi dall’espressione vacua, cercandone una che paresse leggermente strabica o intelligente.
La porta si riaprì. — Ce n’è una nel bagno — disse Gina. Camminando contro la parete si fece strada verso di me.
Le pecore parevano tutte strabiche. Scrutai ansiosamente i musi allungati, gli occhi inespressivi, fatti per incorniciare una i marchiata a fuoco.
— Sarà meglio che non ce ne sia una anche nel mio ufficio — disse Gina, e aprì la porta.
— Chiudila! — gridai, ma troppo tardi. Una grassa pecora era già entrata. — Chiudila — ripetei, e Gina la chiuse.
Le altre pecore si ammassarono fuori della porta, girando in tondo e belando, alla disperata ricerca di una che dicesse loro cosa fare, dove andare. Di sicuro significava che la guida era nell’ufficio di Gina.
— Tienila lì! — gridai da fuori. Il nastro non era abbastanza robusto per fare da guinzaglio, ma avevo una corda per saltare di Davy Crockett che poteva andare bene. Andai al mio laboratorio, chiedendomi che fine avesse fatto Ben. Probabilmente Alicia l’aveva bloccato per parlargli del Niebnitz Grant.
Dall’ufficio di Gina provenne uno strillo e la porta si spalancò.
— Non farla… — gridai. La pecora sgusciò dalla porta e si tuffò nel gregge, come una carta nel mazzo. — Gina, hai visto dov’è andata?
— No — disse lei a denti stretti. — Non ho visto. — Stringeva fra le mani una scatola rosa tutta rovinata. Da un angolo penzolavano i resti di una gala di tulle bianco. — Guarda cos’ha fatto quella pecora a Barbie Sposa Romantica! — sbottò, mostrandomi un ricciolo nero. — Era l’ultima in tutta Boulder.
— In tutta la zona della grande Denver — precisai, ed entrai nel laboratorio di Statistica.
Ora ci manca solo Flip, pensai, e mi sorpresi che, dimissioni o no, non fosse nel laboratorio. In compenso c’era una pecora che masticava con aria assorta un dischetto. Glielo strappai di bocca, la costrinsi ad aprire i grossi denti quadrati, pescai il pezzo mancante e la fissai negli occhi leggermente strabici.