Criticità auto-organizzata. Conquista scientifica.
Mi sedetti e contemplai per un poco quella conformazione, meravigliata della sua semplicità, e riflettei su Flip. Mi ero sbagliata. La i sulla fronte non stava per incompetenza o per irrequietezza. E neppure per influenza. Stava per ispirazione. E lei era Pippa, in fin dei conti; solo che, invece di cantare, smuoveva le variabili e, con ogni petizione e con ogni errore nella consegna della posta, innalzava il livello di caos, finché il sistema non raggiungeva il punto critico.
Riflettei anche sulla penicillina e su Alexander Fleming che aveva un laboratorio troppo piccolo e ingombro, con pile di vaschette di coltura coperte di muffa. L’istituto in cui Fleming lavorava era proprio in mezzo al caos, a mezzo isolato dalla stazione di Paddington, in una via rumorosa. In più, le vacanze e il caldo di agosto e il nuovo assistente ricercatore al quale aveva dovuto fare spazio, e tutti quei particolari secondari come suo padre e la squadra di tiro. E il polo acquatico. A scuola Fleming aveva fatto parte di una squadra che giocò una partita di polo acquatico contro il St. Mary’s Hospital. Tre anni più tardi, quando si preparava a frequentare la scuola di medicina, aveva scelto il St. Mary’s perché ne ricordava il nome.
Oltre a questo, la fuliggine e la finestra socchiusa del laboratorio. Un vero caos. O no?
David Wilson aveva definito la scoperta della penicillina “uno dei più fortunati incidenti che siano mai occorsi in natura”. Ma era stato davvero un incidente? O era una scoperta scientifica sul punto di verificarsi, un sistema tanto caotico che l’occorrente per spingerlo oltre il bordo, verso la criticità auto-organizzata, era una semplice spora entrata da una finestra aperta, come il canto di Pippa?
Poincaré aveva creduto che il pensiero creativo fosse un metodo per indurre il caos interiore a conseguire un più alto livello d’equilibrio. Ma il caos doveva proprio essere interiore?
Salvai tutto su un dischetto, me lo misi in tasca e scesi a Biologia.
— Devo sapere una cosa — dissi a Ben. — La tua teoria del caos basata sulla guida, l’hai elaborata a poco a poco o hai avuto una folgorazione?
Ben corrugò la fronte. — L’uno e l’altro. Continuavo a pensare a Verhoest e al suo fattore X, e mi dicevo che forse aveva ragione; così ho cercato di immaginare quale forma un altro fattore potesse assumere.
— Ed è stato allora che la mela ti ha colpito in testa?
— No. Alicia era venuta a dirmi che in base alle sue ricerche il prossimo vincitore del Niebnitz sarebbe stato un radioastronomo e che Grancapo aveva indetto un altro meeting; poi c’è stato l’esercizio di sensitività e quell’abbraccio. Dopo, per un paio di giorni, sono riuscito solo a pensare a te e al tuo fidanzamento con quell’allevatore di pecore.
— Di struzzi — lo corressi. — Da un paio di settimane, almeno. Così le idee erano già lì a ribollire, ma ricordi che cosa ha cristallizzato il tutto?
— Tu. Le pecore si muovevano in massa nel corridoio della Direzione e tu hai detto: “È stata Flip. Lo so”. E Shirl ha detto che non c’era e tu hai detto: “Non importa. In qualche modo dietro questo c’è Flip”. E io ho pensato: “No, non c’è Flip, c’è la guida”. E ho ricordato Flip appesa al cancello del paddock, ad alzare e abbassare il saliscendi, e ho pensato: “La guida di sicuro ha imparato da lei ad aprire il cancello e ha guidato le altre pecore in questo caos”. E la cosa mi colpì, ecco. Le guide provocano il caos. Sono il fattore invisibile.
— Lo sapevo! — dissi. — Devo trovare una cosa. Proprio ciò che pensavo. Sei meraviglioso. Torno subito. — Lo baciai per ispirazione e andai a cercare Flip.
Avevo dimenticato che Flip se n’era andata.
— Tre giorni fa — mi disse Elaine, al Personale. Aveva ai piedi un paio di Rollerblade blu Cerenkhov. — Pattini a rotelle — spiegò, e alzò la gamba per farmi vedere. — Ti tengono in allenamento tutto il corpo molto meglio del wall-walking e ti aiutano a girare più velocemente per l’ufficio. Hai sentito di Sarah e del suo ragazzo?
— Si sono lasciati?
— No. Si sono sposati!
Riflettei sulle implicazioni della notizia. — Flip ha lasciato un recapito? — domandai. — Ha detto dove andava?
Elaine scosse la testa. — Ha detto di lasciare all’Economato il suo assegno paga, che Desiderata glielo avrebbe spedito.
— Posso vedere il suo dossier?
— I dati del personale sono riservati — disse Elaine, a un tratto divenuta impiegata modello.
— Chiama Grancapo e chiedi l’autorizzazione. Digli che la richiesta proviene da me.
Elaine chiamò Grancapo. — Ha detto di darti tutto ciò che vuoi — riferì, stupefatta, riagganciando. — Vuoi tutto il dossier?
— Solo l’elenco dei precedenti impieghi.
Elaine pattinò fino al classificatore, prese il curriculum di Flip, pattinò verso di me ed eseguì un elegante arresto di punta.
Proprio ciò che mi ero aspettata. Flip aveva lavorato in un caffè di Seattle e prima ancora in un Burger King di Los Angeles. — Grazie — dissi, restituendo a Elaine il curriculum; poi mi venne in mente un’altra cosa. — Fammi dare un’occhiata al suo dossier. — Lo aprii e guardai la prima riga, dove erano riportate le “generalità complete, cognome, nome, secondo nome (solo l’iniziale)”.
Orliotti, c’era scritto. Philippa J.
TATUAGGI (1691)
Moda di auto-mutilazione che divenne popolare in Europa per la prima volta intorno al 1600, quando alcuni esploratori ne importarono la pratica dai Mari del Sud. I tatuaggi si ripresentarono come moda dell’aristocrazia in epoca edoardiana. Jennie Jerome, madre di Winston Churchill, aveva un serpente tatuato intorno al polso. I tatuaggi divennero di nuovo popolari nella Seconda guerra mondiale fra il personale delle forze armate e soprattutto della marina; e di nuovo negli anni Sessanta, nel contesto del movimento hippie; e ancora nei tardi anni Ottanta. Il tatuaggio ha lo svantaggio di essere una moda passeggera dai risultati permanenti.
Mi segnai il cognome di Flip, presi l’appunto di scoprire il nome di sua nonna e di controllare se era vissuta nelle vicinanze di Marydale, Ohio, nel 1921, poi scesi all’Economato.
Desiderata non riuscì a trovare il recapito di Flip. — Andava da qualche parte in Arizona — disse, cercando fra le gomme. — Albuquerque, mi pare.
— Albuquerque è nel Nuovo Messico.
— Oh. — Corrugò la fronte. — Allora forse era Fort Worth. Dov’è andato lui.
— Chi?
Desiderata roteò gli occhi. — Quel dentista.
Naturalmente. Nell’annuncio personale aveva messo particolare enfasi sulla compatibilità geografica.
— Forse l’ha detto a Shirl — riprese Desiderata, frugando tra le penne.
— Credevo che l’avessero licenziata perché fumava nel paddock.
— Be’, no. Si è dimessa. Ha detto che restava solo finché non assumevano una nuova direttrice agevolazione messaggi interdipartimentali, che è stata assunta stamattina, perciò forse Shirl è già andata via.
Non era andata via. Era nella stanza della fotocopiatrice a controllare la macchina un’ultima volta. Flip non le aveva detto dove sarebbe andata.
— Ha accennato al fatto che quel Darrell lasciava lo studio a Prescott — disse Shirl, chinandosi sull’alimentatore della carta. — Ho sentito che lei e il dottor O’Reilly avete vinto il Niebnitz Grant. È meraviglioso.
— Sì, è magnifico. — La guardai estrarre dall’alimentatore un foglio che era rimasto incastrato: non aveva macchie di nicotina sulle dita. — Peccato non sapere chi assegna il Nlebnitz. Mi piacerebbe dirgli una cosa.