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Pranzò in un separé col dottor Moon. La conversazione durò così a lungo che soltanto le tazze a induzione riuscirono a mantenere caldo il caffé, ma Burkhalter aveva più d’un problema da discutere. E conosceva Moon da moltissimo tempo. L’uomo grasso era uno dei pochi uomini normali che non provasse una ripugnanza subconscia per il fatto che lui era un calvo, pensò Burkhalter.

«Non ho mai fatto un duello in vita mia, dottore. Non posso permettermelo».

«Non puoi permetterti di non farlo. Non puoi respingere la sfida, Ed. Nessuno lo fa».

«Ma questo individuo, Reilly… Neppure lo conosco».

«Io sì», disse Moon. «Ha un pessimo carattere. Fa molti duelli». Burkhalter picchiò i pugni sul tavolo. «È ridicolo. Non lo farò».

«Be’», fece Moon, prosaicamente, «tua moglie non può battersi contro di lui. E se Ethel avesse letto nella mente della signora Reilly per poi spettegolare, Reilly avrebbe un motivo».

«Non credi che noi siamo fin troppo consci di questi pericoli?» chiese Burkhalter a bassa voce. «Ethel non se ne va in giro a leggere il pensiero degli altri più di quanto non faccia io. Sarebbe fatale… per noi. E per qualunque altro calvo».

«Non per i pelati… quelli che non portano parrucche. Loro…»

«Sono pazzi. E procurano a tutti i calvi una cattiva fama. Insomma: punto primo, Ethel non legge la mente degli altri, e non ha letto quella della signora Reilly. Punto secondo: Ethel non spettegola».

«È ovvio che Reilly è un tipo isterico», annuì Moon. «Si è sparsa la voce di questo scandalo, qualunque cosa sia, e la signora Reilly si è ricordata di aver visto Ethel di recente. In ogni caso è il tipo che ha bisogno di scaricare la colpa su qualcun altro… un capro espiatorio. Io sono convinto, invece, che è stata proprio lei a lasciarsi scappar di bocca qualcosa di delicato, e che abbia messo su tutta questa storia per non doversi discolpare con suo marito».

«Non ho intenzione di accettare la sfida di Reilly», ripeté Burkhalter, cocciuto.

«Dovrai».

«Ascolta, dottore. Forse…»

«Cosa?»

«Niente. Un’idea. Potrebbe funzionare. Be’, non è più il caso di lambiccarsi il cervello: credo proprio di aver trovato la soluzione giusta. E ad ogni modo è l’unica. Non posso permettermi un duello, e questo è tassativo».

«Ma non sei un codardo».

«C’è una cosa di cui i calvi hanno paura», lo corresse Burkhalter. «L’opinione pubblica. Si dà il caso che io sappia per certo che finirei per uccidere Reilly. È per questo che non ho mai duellato in vita mia».

Moon finì di bere il suo caffè. «Uhmmmm. Penso che…»

«Non farlo. E c’è qualcos’altro. Mi sto chiedendo se non dovrei mandare Al in una scuola speciale».

«Cos’è che non va col ragazzo?»

«Ci stiamo accorgendo che è un magnifico delinquente. Stamattina il suo insegnante mi ha chiamato. E senz’altro valeva la pena di ascoltare il riassunto che mi ha fatto. Al parla e agisce in modo strano. Fa piccoli scherzi cattivi ai suoi amici… sempre che a quest’ora ne abbia ancora qualcuno».

«Tutti i bambini sono crudeli».

«I bambini non sanno cosa voglia dire crudeltà. È per questo che si comportano in modo crudele: gli manca l’empatia. Ma Al sta…» Burkhalter fece un gesto d’impotenza, «… sta diventando un giovane tiranno. Stando al suo insegnante, pare che non gl’importi di niente e di nessuno».

«Non è poi così tremendamente anormale…»

«Non è questo il peggio. È diventato molto, troppo egocentrico. Non voglio che diventi come uno di quei calvi senza parrucca di cui parlavi prima». Burkhalter non accennò alle altre possibilità: la paranoia, la demenza precoce.

«Deve aver imparato da qualche parte. A casa? Improbabile. Che altri posti frequenta tuo figlio, Ed?»

«I soliti. Vive in un ambiente normale».

«Mi parrebbe», disse Moon, «che un calvo dovrebbe avere insolite, eccezionali opportunità nell’allevare un giovane. Il rapporto mentale… eh?»

«Già. Ma… non so. Il guaio è», la sua voce si era abbassata a un sussurro, «il guaio è… Dio, come non vorrei esser diverso! Non abbiamo chiesto noi di essere telepati. Forse finirà per essere meraviglioso, in tempi lunghi, ma io sono soltanto un uomo, con la sua vita e il suo piccolo mondo personale. Quelli che si occupano di sociologia sui lunghi periodi tendono a dimenticarsene. Sono bravi, loro, a elaborare le risposte, ma tocca a ognuno di noi, a ogni calvo, da solo, combattere la propria battaglia finché è vivo. E non è esattamente una battaglia. È qualcosa di peggio, la necessità di controllarsi ad ogni istante, di adeguarsi a un mondo che non ti vuole».

Moon si mosse a disagio. «Sei un po’ dispiaciuto per te stesso, Ed?» Burkhalter si scosse. «Lo sono, dottore. Ma ce la farò ad uscirne».

«Ce la faremo insieme», replicò Moon, ma Burkhalter non si aspettava un grande aiuto da lui. Moon era pieno di buona volontà, ma sarebbe sempre stato uno sforzo tremendo, orribile quasi, per un uomo comune convincersi che un calvo fosse… sì, fosse come lui. Gli uomini cercavano le differenze… e le trovavano.

Ad ogni modo, avrebbe dovuto sistemare quella faccenda prima di rivedere Ethel. Avrebbe potuto facilmente nasconderle l’accaduto, ma lei si sarebbe accorta dell’esistenza d’una barriera mentale e si sarebbe chiesta il perché. Il loro matrimonio era stato un’unione ideale proprio grazie a quell’ulteriore rapporto, qualcosa che li compensava dell’inevitabile, semiavvertita ma sempre presente, alienazione dal resto del mondo.

«Come va la “Psicostoria?”» chiese Moon, dopo qualche istante di silenzio.

«Meglio di quanto mi aspettassi. Ho trovato una nuova direzione di approccio con Quayle. Se parlo di me stesso, riesco a farlo uscire dal suo riserbo. Ciò gli dà abbastanza fiducia da consentirgli di aprirsi mentalmente a me. Malgrado tutto, potremmo anche aver subito quei primi capitoli pronti per Oldfield».

«Ottimo. Ad ogni modo è bene che non possa farci fretta. Se fossimo costretti a sparar fuori i libri con tanta velocità, tanto varrebbe tornare ai giorni della confusione semantica; Cosa che non faremo mai!»

«D’accordo». Burkhalter si alzò in piedi. «Io me la filo. Ci vediamo».

«Ma Reilly…»

«Non ci pensare». Burkhalter usci, dirigendosi all’indirizzo che aveva letto sul suo visore. Toccò il pugnale che aveva alla cintola. Il duello non era per i calvi, ma…

Un silenzioso saluto s’insinuò nella sua mente e sotto l’arco che conduceva al campus si fermò per sorridere a Sam Shane, un calvo originario della zona di New Orleans che sfoggiava una parrucca rosso fiammeggiante. Non si diedero la pena di parlare. Domanda personale sul benessere mentale, morale e fisico…

Un bagliore soddisfatto. E tu, Burkhalter? Per un attimo Burkhalter colse nella mente di Shane l’immagine di ciò che simboleggiava il suo nome[1].

Ombra di guai.

Una calorosa disponibilità ad aiutare. I calvi erano assai legati tra loro.

Burkhalter pensò: Ma dovunque andassi vi sarebbero gli stessi sospetti. Siamo degli anormali.

Ancora di più altrove, pensò Shane. Siamo in molti qui a Modoc. La gente è sempre più sospettosa dove non è in contatto quotidiano con… noi.

Il ragazzo…

Anch’io ho problemi, pensò Shane. Sono preoccupato. Le mie due ragazze…

Delinquenti?

Sì.

Denominatori comuni?

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1

Burkhalter — laccio che strangola (N.d.T.).