Ethel sarebbe rimasta un po’ addolorata, ma il problema sarebbe stato presto dimenticato e, inoltre, anche lei era una calva. Non che ne avesse l’aspetto, con quella sua vaporosa parrucca di capelli castani e quelle lunghe ciglia ricurve. Ma i suoi genitori erano vissuti ad oriente di Seattle all’epoca dello Scoppio, e anche dopo, quando l’effetto delle radiazioni dure non era stato completamente studiato.
Un vento da neve soffiava sopra Modoc, perdendosi verso sud in direzione della valle dell’Utah. Burkhalter desiderò di trovarsi nel suo elicottero, solo nell’azzurra vastità del cielo. Lassù c’era una pace strana, tranquilla, che nessun calvo era mai riuscito a conoscere del tutto sulla superficie della Terra, salvo nelle profondità delle lande incolte e desolate. Dovunque c’erano, sempre, frammenti vaganti di pensieri, subsensoriali, che come il fruscio quasi inaudibile d’una puntina su un disco fonografico, non cessavano mai. Era senz’altro questo il motivo per cui a tutti i calvi piaceva volare ed erano esperti piloti. Le alte, deserte immensità dell’aria erano i loro azzurri eremi.
Però lui, adesso, era laggiù a Modoc, e per di più in ritardo per il nuovo colloquio che doveva avere con Quayle. Burkhalter accelerò il passo. Nell’atrio principale incontrò Moon. Gli riferì in breve, e senza soffermarsi sui particolari, che aveva risolto la faccenda del duello, e passò oltre, lasciando il grasso dottore a fissarlo perplesso. C’era una sola chiamata registrata dal visore, da parte di Ethel; la registrazione diceva che era preoccupata per Al e chiedeva a Burkhalter di andare a scuola, a controllare. Be’, questo l’aveva già fatto… a meno che il ragazzo non fosse riuscito a cacciarsi in qualche altro guaio dopo la sua visita. Burkhalter fece una telefonata per rassicurarsi. Per adesso, la situazione di Al non aveva subito mutamenti.
Trovò Quayle, assetato, nello stesso solarium privato. Burkhalter si fece mandar su un paio di dramzowie, dal momento che non aveva alcuna obiezione a sciogliere le inibizioni di Quayle. Lo scrittore dai capelli grigi era immerso nello studio d’una mappa a strati del globo terrestre, in cui ogni strato rappresentava una particolare epoca storica, e veniva illuminato singolarmente premendo il corrispondente pulsante. Ed era appunto ciò che Quayle stava facendo, procedendo a ritroso nel tempo con la sua ricerca.
«Guardi qua», disse, facendo scorrere il dito su tutta una fila di pulsanti. «Vede quante variazioni ha subito il confine tedesco?» Il confine palpitò un’ultima volta, scomparendo poi del tutto quando furono raggiunti i tempi moderni. «E il Portogallo… osservi la sua zona d’influenza. Oggi…» La zona continuò a restringersi sempre più dal 1600 in poi, mentre da altri paesi s’irradiavano linee che indicavano il loro crescente potere marittimo.
Burkhalter sorseggiò il suo dramzowie. «Non ne è rimasto granché, adesso».
«Non da quando… cos’ha?»
«Cosa vuol dire?»
«Ha un’aria abbattuta».
«Non credevo si vedesse», replicò Burkhalter con una smorfia. «Ho schivato un duello per il rotto della cuffia».
«È una tradizione della quale non ho mai capito il senso», commentò Quayle. «Cosa le e successo? E da quando in qua è possibile schivare un duello?»
Burkhalter glielo spiegò. Quayle trangugiò un sorso e sbuffò. «Che bella situazione per lei. Immagino che non sia poi tanto vantaggioso essere un calvo».
«Be’, qualche vantaggio molto particolare c’è». D’impulso, Burkhalter prese a parlargli di suo figlio. «Lei capisce in che situazione mi trovo, no? Io davvero non so quali criteri applicare con un giovane calvo. Dopotutto è una mutazione. E la mutazione telepatica non ha ancora avuto il tempo di esprimersi compiutamente. Non possiamo fare esperimenti e controlli, poiché le cavie e i conigli non generano telepati. Non che non si sia tentato, sa… E, insomma, il figlio d’un calvo dev’essere allevato in un modo molto speciale perché sia in grado di affrontare la maturità».
«Mi sembra che lei si sia adattato molto bene».
«Ho… imparato. E come me, l’hanno fatto gli altri calvi più realisti. È per questo che non sono ricco, e non mi sono dato alla politica. In effetti, ci comperiamo la sicurezza per la nostra specie rinunciando a certi vantaggi individuali. Siamo ostaggi del destino… e il destino ci risparmia. Ma si tratta, come lei capisce, di benefici negativi a lungo termine che ci paghiamo in questo modo — poiché chiediamo soltanto di essere risparmiati e accettati — negando a noi stessi un sacco di benefici positivi immediati. Un modo per soddisfare il destino».
«Pagando il pifferaio», annuì Quayle.
«Siamo noi i pifferai. I calvi come gruppo, intendo dire. E i nostri figli. Così il conto torna; in effetti; e lo paghiamo sulla nostra pelle. Se volessi avvantaggiarmi in maniera sleale dei miei poteri telepatici… mio figlio non vivrebbe molto a lungo. I calvi verrebbero spazzati via. È questo che Al deve imparare, e invece sta diventado antisociale… ogni giorno di più».
«Tutti i bambini sono antisociali», gli fece notare Quayle. «Sono dei completi individualisti. Mi pare che l’unico motivo di preoccupazione sarebbe una deviazione dalla norma, da parte del ragazzo, strettamente collegata col suo senso telepatico».
«C’è qualcosa di vero in ciò». Burkhalter si protese a sondare con delicatezza la mente di Quayle, e constatò che l’antagonismo era diminuito in maniera considerevole. Sogghignò tra sé e riprese a parlare dei propri guai. «Proprio così, un ragazzo è il padre dell’adulto che diventerà. E un calvo adulto dev’essere bene adattato, altrimenti è spacciato».
«L’ambiente è importante quanto l’eredità genetica. L’uno completa l’altra. Se un bambino viene allevato nel modo giusto, non avrà troppi problemi… a meno che l’eredità genetica non giochi un ruolo dominante».
«Ma potrebbe essere questo il caso, no? Si sa così poco della mutazione telepatica. Noi sappiamo che la calvizie ne è un effetto collaterale… ma quali e quante altre cose potrebbero saltar fuori alla terza o alla quarta generazione? Mi chiedo se la telepatia sia davvero una cosa buona per la mente».
Quayle mormorò: «Hmph. Personalmente mi rende nervoso…»
«Come Reilly».
«Si», annui Quayle, ma non parve avere apprezzato granché il paragone. «Be’, in ogni caso se una mutazione è un insuccesso, si estinguerà. Non continuerà a proliferare».
«E l’emofilia, allora?»
«Quanti sono gli individui che ne sono affetti?» ribatté Quayle. «Sto cercando di veder le cose dal punto di vista d’uno psicostorico. Se vi fossero stati telepati, in passato, la storia del mondo avrebbe potuto esser diversa».
«Come fa a sapere che non ce n’erano?» chiese Burkhalter.
Quayle ammiccò. «Oh, già. Anche questo è vero. Nel Medioevo sarebbero stati chiamati stregoni… o santi. Gli esperimenti Duke-Rhine… ma incidenti del genere sarebbero abortiti. La natura va in giro alla cieca, nella speranza di far centro, ma non sempre le riesce al primo tentativo».
«Potrebbe aver mancato il colpo anche stavolta». Era l’abitudine che parlava per lui, l’innata modestia dettata dalla prudenza. «La telepatia potrebbe essere soltanto il tentativo riuscito a metà di produrre qualcosa di inimmaginabile. Magari una sorta d’ipersenso quadrimensionale…»
«Troppo astratto per me». Quayle mostrava un genuino interesse e le sue esitazioni erano quasi del tutto scomparse; accettando Burkhalter come telepate, aveva tacitamente spazzato via ogni sua precedente obiezione verso la telepatia in sé. «I tedeschi un tempo avevano l’idea d’esser diversi; come pure quel popolo orientale che dominava sulle isole al largo della costa cinese: i giapponesi. Questi affermavano, tassativamente, di essere una razza superiore, poiché discendevano direttamente dagli dèi. Sublimazione d’un complesso d’inferiorità, poiché erano bassi di statura e si sentivano a disagio quando dovevano trattare con gente più alta di loro. Ma neanche i cinesi sono alti di statura, soprattutto i cinesi meridionali, eppure non hanno mai sofferto d’un simile complesso».