«Questione di ambiente, allora?»
«L’ambiente, sì… l’ambiente creato da una continua, efficace propaganda. I… sì, i giapponesi adottarono il buddismo e l’alterarono completamente per adattarlo ai propri bisogni, trasformandolo nello scintoismo. I samurai, i cavalieri-guerrieri, furono il loro ideale. Il loro codice d’onore era affetto da un affascinante strabismo. L’idea-base dello scintoismo consisteva nel venerare i propri superiori e nel soggiogare gli inferiori. Ha mai visto gli alberi-gioiello dei giapponesi?»
«Non li ricordo. Cosa sono?»
«Riproduzioni in miniatura di alberi, fatti di gemme montate su piccole intelaiature, con ninnoli e gingilli d’ogni tipo che pendono dai rami. Il primo albero-gioiello fu fatto per attirare la dea della luna fuori dalla caverna dove si era rintanata, imbronciata. Sembra che la signora sia rimasta tanto incuriosita dai ninnoli, soprattutto da uno specchietto che rifletteva il suo viso, da uscir fuori dal suo nascondiglio. L’intera morale giapponese era agghindata in graziosi indumenti: era questa l’esca. E i tedeschi fecero press’a poco lo stesso. L’ultimo dittatore tedesco, Hitler, aveva fatto rivivere l’antica leggenda di Sigfrido. Pura paranoia razziale. I tedeschi avevano legami familiari molto forti, ma in casa veneravano il padre, il tiranno, non la madre. E questo si estendeva allo stato. E Hitler divenne, simbolicamente, il Padre di Tutti, e ciò diede inizio a una lunga e complicata serie di eventi, che si concluse con lo Scoppio. E le mutazioni».
«Io… dopo il diluvio», mormorò Burkhalter, inghiottendo l’ultimo sorso di dramzowie. Quayle fissava il vuoto.
«Singolare», disse dopo un po’. «Questa faccenda del Padre di Tutti…»
«Sì?»
«Mi chiedo se lei sappia quale potente effetto possa avere su un uomo».
Burkhalter non disse niente. Quayle gli rivolse un’occhiata penetrante.
«Sì», disse lo scrittore con calma. «Dopo tutto lei è un uomo. Le devo le mie scuse, sa».
Burkhalter sorrise. «Non ci pensi più».
«E invece sì», riprese Quayle. «Mi sono appena reso conto, all’improvviso, che le facoltà telepatiche non sono così importanti. Voglio dire… non la rendono diverso. Ho parlato con lei…»
«A volte la gente impiega anni per rendersi conto di ciò che lei sta scoprendo adesso», osservò Burkhalter. «Anni di vita e di lavoro con qualcosa che non considerano un uomo, ma… un calvo».
«Sa cosa ho sempre tenuto nascosto dentro di me?» chiese Quayle.
«No, non lo so».
«Lei mente da vero gentiluomo. Grazie. Be’, ecco qui, e glielo dico per mia libera scelta, perché voglio farlo. Non m’importa se lei mi ha già estratto l’informazione dalla mente; è soltanto che voglio dirglielo di mia libera volontà. Mio padre… certamente l’odiavo… era un tiranno, e mi ricordo che una volta, quand’ero ancora un ragazzino ed eravamo in montagna, mi picchiò davanti a parecchia gente che se ne stava lì a guardare la scena. Per molto tempo ho cercato di dimenticarlo, inutilmente. E adesso…» Quayle scrollò le spalle «… adesso non sembra più così importante».
«Non sono uno psicologo», replicò Burkhalter. «Se vuole la mia opinione, o meglio la mia reazione personale, le dirò che non ha importanza. Lei non è più un ragazzino, la persona con la quale sto parlando e lavorando è il Quayle adulto».
«Uhmmm. S…sì. Suppongo di averlo sempre saputo… quanto poca importanza avesse. Era soltanto il fatto di veder violata la mia intimità… Ora credo di conoscerla assai meglio, Burkhalter. Può… può entrare».
«Lavoreremo meglio», annuì Burkhalter, sorridendo. «In particolare con Dario».
Quayle aggiunse: «Cercherò di spazzar via tutte le riserve dalla mia mente. Con tutta franchezza, non sarà più un problema, per me, darle… le risposte, anche quelle più personali».
«Be’, sarà facile controllare. Vuole affrontare il problema di Dario, adesso?»
«Sì», assentì Quayle. E nei suoi occhi non c’era più alcuna traccia di guardingo sospetto. «Dario s’identifica con mio padre…»
Tutto andò liscio, e con successo. Quel pomeriggio riuscirono a fare assai più di quanto fossero riusciti le due settimane precedenti. Soddisfatto per più d’un aspetto, Burkhalter si fermò un attimo dal dottor Moon per informarlo che le cose stavano andando a gonfie vele, poi si diresse verso casa, scambiando pensieri con un paio di calvi suoi compagni di lavoro, che come lui quel giorno avevano finito. Le Montagne Rocciose erano insanguinate dalla luce del sole ormai prossimo all’orizzonte, a occidente, e la fresca brezza era piacevole sulle guance di Burkhalter mentre camminava verso casa.
Era bello sentirsi accettati. Dimostrava che anche per lui era possibile realizzarsi completamente. E un calvo aveva bisogno di essere spesso rassicurato, in un mondo popolato di estranei sospettosi. Quayle era stato un guscio duro da rompere, ma… Burkhalter sorrise.
Ethel sarebbe stata contenta. In un certo qual modo la sua vita era ancora più dura, difficile. Per le donne doveva esser così. Gli uomini normali erano disperatamente ansiosi che la loro privacy non venisse violata dalle donne calve, e quanto alle donne non-calve… be’, andava tutto a merito del luminoso fascino personale di Ethel se, infine, era stata accolta nei club e nei gruppi femminili di Modoc. Soltanto Burkhalter conosceva l’intima disperazione di Ethel per il fatto di esser calva, e neppure suo marito l’aveva mai vista senza parrucca.
Il suo pensiero lo precedette dentro la casa bassa, con le due ali avvolgenti, sul fianco della collina, e s’intrecciò con quello di lei in una calda intimità. Era qualcosa di più di un bacio. E, come al solito, c’era l’eccitante sensazione di attesa, che cresceva e cresceva, fino a quando l’ultima porta si spalancava e si toccavano fisicamente. È questo,pensò, il motivo per cui sono nato calvo: vale la pena perdere interi mondi per questo.
Durante la cena quel rapporto si ampliò, coinvolgendo anche Al, era qualcosa d’intangibile ma così profondamente radicato che dava più sapore al cibo e faceva sembrare vino l’acqua. La parola casa per i telepati aveva un significato che i non-calvi non potevano comprendere del tutto, poiché implicava un legame che essi non potevano conoscere. C’erano piccole, intangibili carezze…
L’Uomo Verde vien giù lungo la Grande Discesa Rossa; i nani pelosi cercano di arpionarlo mentre lo fa…
«Al», chiese Ethel, «stai ancora lavorando sul tuo uomo verde?»
Qualcosa di totalmente odioso, gelido e micidiale tremolò in silenzio nell’aria, come un ghiacciolo che vibrasse un colpo assassino al fragile vetro dorato, mandandolo in frantumi. Burkhalter lasciò cadere il tovagliolo e alzò io sguardo, scosso fin nel profondo. Sentì il pensiero di Ethel ritrarsi, e protese il suo in tutta fretta per toccarla e rassicurarla col suo contatto mentale. Ma sull’altro lato del tavolo il ragazzino, con le guance ancora paffute dell’infanzia, sedeva guardingo e silenzioso, rendendosi conto di aver commesso un errore e cercando la salvezza nella più completa immobilità. La sua mente era troppo debole, ancora, per resistere a un sondaggio, lo sapeva, e per questo restava dei tutto immobile, in attesa, mentre gli echi d’un pensiero continuavano a librarsi velenosi.
Burkhalter disse: «Vieni, Al». Si alzò in piedi. Ethel fece per parlare. «Aspetta, tesoro. Innalza una barriera. Non ascoltare». Burkhalter toccò la mente di lei con dolcezza e tenerezza, poi prese la mano di Al e obbligò il ragazzo a seguirlo fuori, nel giardino. Al osservava suo padre con occhi spalancati, vigili. Burkhalter si sedette su una panchina e obbligò Al a prendere posto al suo fianco. Dapprima usò la voce, per chiarezza, e per un altro motivo. Era sgradevole servirsi di questo espediente per indurre il ragazzo ad abbassare le sue deboli difese, ma era necessario.