«É un modo molto strano, questo, di pensare a tua madre», gli disse. «È un modo molto strano di pensare a me». Per una mente telepatica l’oscenità era più oscena, e l’irriverenza più irriverente, ma qui non si era trattato né dell’una né dell’altra. Era stato… gelido e maligno.
E questa è la carne della mia carne, pensò Burkhalter, fissando il ragazzo e rievocando gli otto anni della sua crescita. La mutazione deve forse trasformarsi in qualcosa di diabolico?
Al continuò a tacere.
Burkhalter si spinse dentro quella giovane mente. Al tentò di divincolarsi e fuggire, ma le forti mani di suo padre lo tenevano stretto. Era l’istinto, non la ragione, a far agire il ragazzo, poiché la mente può percorrere lunghe distanze…
Non gli piaceva far questo, poiché l’accresciuta sensibilità si era accompagnata ad un aumento d’emotività, e una violazione dell’intimità era pur sempre una violazione. Ma era necessario essere spietati. Burkhalter cercò. Con violenza, scagliava addosso ad Al delle parole-chiave, e in risposta emergevano pulsanti ondate di ricordi.
Alla fine, sconvolto e nauseato, Burkhalter lasciò andare Al e rimase seduto, solo, sulla panchina a fissare il bagliore rossastro che si andava spegnendo sulle cime innevate. Il biancore era macchiato di rosso. Ma non era troppo tardi. Quell’individuo era un pazzo, lo era stato sin dall’inizio, altrimenti avrebbe riconosciuto l’impossibilità di tentare una cosa del genere.
Il condizionamento era appena cominciato. E Al poteva essere ricondizionato. Gli occhi di Burkhalter s’indurirono. Lo sarebbe stato. Lo sarebbe stato. Ma non ancora, finché all’immediata rabbia furiosa non si fossero sostituite la compassione e la comprensione.
Non ancora.
Entrò in casa, parlò brevemente con Ethel, e videofonò alla dozzina di calvi che lavoravano con lui al Centro Editoriale. Non tutti avevano famiglia, ma nessuno di loro mancava quando mezz’ora più tardi si incontrarono nella saletta sul retro della Pagan Tavern, nel centro cittadino. Sam Shane aveva colto un frammento di ciò che Burkhalter sapeva, e tutti coloro leggevano le sue emozioni. Fusi in un’unione empatica grazie al loro senso telepatico, attesero fino a quando Burkhalter non fu pronto.
Poi, Burkhalter li informò. Non ci volle molto, col pensiero. Disse loro dell’albero-gioiello coi suoi ninnoli scintillanti, un’esca luccicante. Disse loro della paranoia e della propaganda razziale. E sottolineò come la propaganda più efficace fosse quella rivestita di zucchero, ben mascherata cosicché le sue vere motivazioni restassero nascoste.
Un uomo verde, glabro, eroico… che simboleggiava un calvo.
E avventure eccitanti, sfrenate, l’esca per acchiappare i pesci giovani la cui mente informe era abbastanza plasmabile per venir guidata lungo il sentiero d’una pericolosa follia. I calvi adulti potevano ascoltare, ma non lo facevano; i giovani telepati avevano una soglia mentale di ricettività più bassa, e gli adulti di solito non leggono i libri dei propri ragazzi, salvo che per accertarsi che non ci sia niente di dannoso nelle loro pagine. E nessun adulto si sarebbe dato la pena di ascoltare le trasmissioni mentali dell’Uomo Verde. La maggior parte di loro l’avevano accettata come una fantasticheria creata spontaneamente dai loro figli.
«Io, infatti, l’avevo creduto», intervenne Shane. «Le mie figlie…»
«Risali all’origine», l’invitò Burkhalter. «Alla vera origine. Io l’ho fatto».
I pensieri di quella dozzina di menti si propagarono all’esterno, su una frequenza più alta, quella dei bambini, e qualcosa cercò bruscamente di sottrarsi a loro, colto di sorpresa e impaurito.
«E lui», annui Shane.
Non ebbero bisogno di parlare. Uscirono in gruppo compatto dalla Pagan Tavern, minacciosi, e attraversarono la strada fino all’emporio. La porta era chiusa. Due dei calvi l’aprirono a spallate.
Attraversarono l’emporio immerso nell’oscurità ed entrarono in una stanza sul retro, dove un uomo era in piedi accanto a una sedia rovesciata. Il suo cranio nudo luccicava alla luce della lampada sul soffitto. Le sue labbra si muovevano, farfugliando qualcosa d’inaudibile.
Il suo pensiero li implorò… e fu ricacciato indietro da un’implacabile, micidiale muraglia.
Burkhalter sfoderò il pugnale. Altre lame d’acciaio mandarono bagliori… E si dissetarono.
L’urlo di Venner era da tempo cessato, ma il suo ultimo, morente pensiero agonizzante echeggiò a lungo nella mente di Burkhalter, mentre faceva ritorno verso casa. Il calvo senza parrucca non era un pazzo, no… Ma paranoico lo era stato senz’altro.
Ciò che aveva tentato di nascondere fino all’ultimo istante era sconvolgente. Un tremendo, tirannico egocentrismo, e un odio feroce per i non-telepati. E un complesso autogiustificatorio, questo sì, degno d’un folle. Noi siamo il futuro! Noi, i calvi! Dio ci ha creati per dominare gli uomini inferiori!
Burkhalter, inspirò a fondo, rabbrividendo. La mutazione non aveva avuto del tutto successo. Un gruppo di mutanti si era adattato: i calvi che portavano la parrucca e si erano inseriti nell’ambiente. Un secondo gruppo aveva manifestato una completa pazzia, e si poteva scartarlo: si trovava nei manicomi.
Ma il gruppo intermedio era quello formato dai paranoici: non erano pazzi, ma non erano neppure savi. E non portavano la parrucca.
Come Venner.
E Venner aveva cercato discepoli. Il suo tentativo era condannato in partenza a fallire, ma soltanto perché Venner aveva agito da solo.
Un calvo… paranoico.
Ma c’erano altri calvi paranoici… Molti altri.
Davanti a Burkhalter, annidata sul fianco scuro della collina, c’era la pallida macchia che contrassegnava la sua casa. Si fece precedere una volta ancora dai propri pensieri, che toccarono quelli di Ethel, soffermandosi un breve istante a rassicurarla. Poi, i suoi pensieri proseguirono, entrando nella mente addormentata d’un ragazzino che, confuso e avvilito, si era infine addormentato dopo il gran piangere. Adesso, in quella mente c’erano soltanto sogni, un po’ scoloriti, un po’ macchiati, ma che potevano venir schiariti. E lo sarebbero stati.