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— Riesci a capirlo?

— Oh, sì — dice Ti. — Sì, naturalmente! È bellissimo!

— Ma cosa significano le parole?

— Non lo so.

Lui ripensa a questo paradosso, e nel frattempo lei gli riprende il cubo, lo ripone nell’armadietto; sembra svanire nella polvere interna. Adesso gli dà una scatola dalle forme armoniose, apparentemente fatta di rigide membrane plastiche. — Un’opera storica — gli spiega. — Gli annali di un’età precedente, che descrivono il corso dello sviluppo umano fino al periodo in cui visse l’autore.

— Come si fa a leggerlo?

— Così — dice Ti, e il suo indice scorre tra le membrane, come se le sfogliasse. La scatola emette un basso ronzio che si risolve poi in una tenue verbalizzazione; lui piega la testa in avanti per cogliere quella sintesi di conoscenze: — Metallo contorto accartocciato sudore elmetto gigante blu ruote più piccole alberi cavalcano sopracciglia temuta distruzione luce uccideva vento e tra gentilmente segreti in diffuse attese crescenti vissute collegati su rischi splendenti dormono anelli tronchi ammoniscono pensare diciassette bagnati dissolti incendio dimensioni mondiali.

— Non ha alcun senso — protesta Clay. Ti, sospirando, gli prende la scatola di mano e la posa su uno scaffale. Avvicinandosi a un armadietto, estrae uno strumento di metallo traslucido con un’antenna in un angolo.

— E questo?

— Molto antico — dice. — Per me non è facile tradurne il titolo. Sì, ecco: Tecniche di pianificazione dei Trasporti di Massa nel Nono Secolo. — Glielo dà. Nono secolo dopo cosa? si chiede lui. Le lastre di metallo sono ricoperte da un’estremità all’altra di sottili geroglifici arrotondati, che lanciano riverberi cromatici mentre Clay osserva le lastre da varie prospettive, cogliendo bagliori di luce nelle minuscole incisioni. I colori, lampeggiando nei suoi occhi, vi imprimono immagini. Si vedono città impossibili di torri slanciate nei cieli, collegate da ponti allucinanti di gran lunga staccati dal terreno; all’interno di capsule lanciate a velocità folli lungo i ponti, siedono caricature d’uomini dai volti purpurei, i corpi allungati, le spalle massicce, le teste a cupola e gli occhi sottili. Le immagini sono accompagnate da parole, ma, per quanto cerchi di inclinare le lastre, Clay non riesce a far sì che i commenti giungano fino a lui. Un segnale dopo l’altro si diparte dalla struttura che tiene in mano, diffondendosi negli angoli più impensati della stanza. Dopo un po’ egli si stanca di un testo tanto difficile, e lo restituisce a Ti.

Quindi, lei gli offre tre tubi delle dimensioni di un pollice fatti di quello che sembra diamante o quarzo puro, all’interno dei quali un fluido oleoso ondeggia in cavità sottilissime. Clay scuote i tubi e il fluido, ondeggiando, emana lenti pseudopodi che si insinuano nei condotti, a caso. Nel frattempo Ti ha preso da qualche parte un filo dorato, splendente, montato su una sottile lastra d’argento; porta le labbra alla placca e una luce gelida sorge dal filamento. — Tieni i tubi contro luce — gli suggerisce. Lui esegue, e i raggi, rifratti attraverso i labirinti interni dei tubi trasparenti, lanciano messaggi nel suo cervello: Fiori trionfano.

L’infinito può essere anche umido e noioso.

Attenti al cambiamento, poiché immobilizza l’anima.

C’è del vino nella verità.

Il teschio ride sotto il suo sguardo tristo.

— Che cos’è? — chiede Clay.

— Un testo religioso — spiega Ti. I messaggi continuano a fluire nella sua mente con metafore varie, e lui si ritrova annichilito, tremante, con la pelle d’oca. Dopo qualche momento Ti, con disinvoltura, gli riprende i tubi e li rimette nell’armadietto.

— Mostrami il resto — chiede lui, avidamente. — Mostrami tutto!

Lei gli dà un elmetto nero ricavato da una singola pietra levigata. Contiene, sulla superficie interna, una serie di ciglia sottilissime. Lui lo indossa: le ciglia gli penetrano tra i capelli; e d’improvviso scopre di poter rilevare il movimento degli atomi e le vibrazioni delle molecole. L’universo diventa una nebbia di punti incolori e danzanti, che rilucono in nuvole confuse, e di tanto in tanto emettono scariche occasionali d’energia. Clay posa sull’elmetto una pellicola di una strana sostanza traslucida che, messa sui suoi occhi, gli permette di percepire la struttura del pianeta in termini di unità dalla densità differente; qui ci sono sbarre di luce blu che rappresentano una certa massa, qui globi eburnei che ne rappresentano un’altra, qui rettangoli grigi all’interno dei quali urlanti elettroni si affollano inverosimilmente. Ti gli toglie anche questo e lo sostituisce con una piccola boccia dalle pareti sottili da cui comincia a fluire un rivoletto di liquido eburneo, che gli cola sui piedi coprendo il pavimento; lui grida e il liquido torna nella boccia. Lei gli mostra un insieme di fili sonori le cui estremità si incrociano in improbabili sistemi, creando piccole figure assurde di nulla vorticante. Lui ci scruta dentro, e scorge il nucleo arancione abbagliante del cuore di una stella. Il giocattolo successivo di Ti è un affarino lungo e giallo ricoperto da un’estremità all’altra di linee parallele finemente incise: — Questa — dice — è l’ultima chiave che sia mai stata fatta sulla Terra. — A che porta si adatta? — chiede lui, e lei gli sorride scusandosi, dicendogli che le porte non esistono più. Poi gli mostra un disco di rame che contiene tutta la poesia composta in un arco di diecimila anni, molto lontani nel futuro di Clay, e gli lascia tenere per brevi momenti la manopola appiccicosa di una macchina la cui funzione è quella di trasformare i laghi in montagne e le montagne in nuvole, e poi tocca una maniglia vicino alla sua fronte, rivelando che la camera in cui si trovano non è il solo deposito di antichi manufatti su quella collina, ma che invece esiste un’intera serie di camere, su vari livelli, ognuna ripiena dal soffitto al pavimento dei tesori delle epoche passate. Qui c’è la musica, la poesia, i romanzi, le filosofie, le scienze, le storie di varie civiltà successive; qui ci sono le realizzazioni tecniche di specie ormai scomparse; qui sono le mappe, gli schedari, i cataloghi, gli indici, i dizionari, le enciclopedie, le raccolte di tesi, le tavole delle leggi, gli annali di successioni dinastiche, gli almanacchi, gli annuari, le raccolte di dati, i manuali e gli indici generali. Camere polverose ripiene di reliquie archeologiche, i resti di ogni civiltà che ha raccolto le ossa di quelle precedenti. Più in basso, vicino al nucleo centrale, coglie una visione di veri e propri libri di carta, raccolte di nastri magnetici, film e cassette informative, tutti gli umili mezzi di registrazione della sua era primitiva, e rabbrividisce meravigliato di fronte alla sopravvivenza di queste cose attraverso milioni di anni. La sua mente è piena di miliardi di domande. Passerà le sue prossime tre infinità in quella collina, sondando il passato alla ricerca di conoscenze, ricostruendo tutto quello che gli abitanti di questa era hanno elegantemente evitato di dirgli. Metterà insieme un assetto coerente della storia umana dall’età dell’uomo fino all’epoca di questi figli dell’uomo, e se non altro sarà tutto chiaro e ordinato. Mentre Ti gli rimuove lo strumento dalla fronte, la visione della molteplicità si dissolve, e lui le dice: — Possiamo esplorare queste altre camere?

Il sorriso di Ti è triste: — Forse un’altra volta. Adesso dobbiamo andare.

Lui è riluttante a seguirla. Uscendo, si inginocchia per scrutare negli armadietti e per prendere oggetti dagli scaffali. È infiammato, al cospetto di quei tesori custoditi da millenni. Cos’è questo? E questo? E questo? Come funziona questa macchina arcana e intricata? Che cosa produce questi suoni acuti e raccapriccianti? Quali verità si celano nel blocco di vetro scintillante? E in questo insieme di schedali? In quest’ammasso di strutture? Si caricherebbe le braccia di meraviglie. Porterebbe fuori dalla caverna misteri sufficienti e magie bastanti per tenerlo occupato per una dozzina di cicli di ricerca. — Vieni — dice Ti, come irritata. — Non devi chiedere troppo. Non è stato facile. — Lui la scuote. — Aspetta. Che fretta c’è? Lasciami…