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Un blocco di marmo ricoperto di simboli quasi riconoscibili diventa nebbia, poi gli scompare tra le mani. La stanza perde ogni simmetria, il soffitto comincia disordinatamente ad abbassarsi, poi si fonde e scende da una parte. Gli scaffali si fanno indistinti. Oggetti delicati, contorti, puliti e nitidi come se fossero stati fabbricati solo il giorno precedente perdono la loro precisione di forme. Tutto fluisce. — Vieni — sussurra Ti. — Esci, adesso. Ci siamo fermati troppo.

Il pavimento ondeggia. Le pareti tremano.

Lui corre con Ti. Il pensiero che una convulsione del pianeta possa distruggere questi miracoli, proprio adesso che li ha trovati, gli fa sentire il cuore trafitto da migliaia di aghi lancinanti. Annaspando, scivolando, emergono all’aperto. È arrivato il tramonto. Uccelli dalle ali gommose svolazzano strillando. Lui si volta, terrorizzato. Non c’è nessun passaggio ormai visibile. Stringendo il braccio di Ti, grida: — Cosa sta succedendo? Andrà tutto perduto?

— Tutto è andato perduto molto tempo fa — risponde Ti.

Lui non capisce, ma non riesce a convincerla a spiegarsi meglio. La segue giù per il pendio, nella pianura in cui ondeggiano le fronde trasparenti; qui, nella notte, assumono un bagliore inquietante, e riempiono l’aria di una luminosità ronzante. Hanmer, Ninameen, Angelon e Bril giacciono dove li avevano lasciati prima, e si stiracchiano come se si stessero svegliando da un lungo sonno. Sbadigliano, si stropicciano gli occhi, si svegliano del tutto. Serifice non è con loro, e Clay si rende conto di aver completamente dimenticato la sua morte durante quell’intervallo tra i manufatti antichi. Si precipita accanto agli Sfioratori. Ancora abbagliato da quelle visioni di antichità riconquistata, esclama: — Ho visto meraviglie! Cose splendide!

— Siete stati via troppo — osserva Hanmer con una traccia di rimprovero nella voce.

— Come avrei potuto venir via? Come avrei potuto allontanarmi da quel luogo?

— Naturalmente. Naturalmente. Comprendiamo perfettamente. Non sei da biasimare. Eppure è stato un grave sforzo, per noi, verso la fine.

— Che vuoi dire?

Hanmer gli rivolge un dolce sorriso, invece di una risposta. Gli Sfioratori si alzano in piedi. Ognuno di loro strappa delicatamente una fronda splendente; le fronde emettono un suono debole, come una risata, nello staccarsi dal suolo, radici e tutto quanto. Clay intuisce che non vengono affatto uccise, ma solo prese in prestito per un po’. Hanmer ne prende una in più e la dà a Clay. In fila indiana, gli Sfioratori avanzano nella notte; ognuno porta la sua fronda come se fosse una torcia. Tutti tranne Hanmer hanno assunto la forma femminile. Clay è il terzo nella processione, Ti è proprio davanti a lui e Ninameen dietro. Quest’ultima gli si avvicina e con impeto sfrega le punte dei capezzoli contro la sua schiena nuda come saluto affettuoso: brividi di piacere gli percorrono la spina dorsale. — Ti senti meglio? — chiede lei. — Siamo dispiaciuti per te. Come ti sentivi tu quando Serifice se n’è andata.

— Più sto qui, meno ci capisco.

— Ti sono piaciute le cose che Ti ti ha mostrato?

— Meravigliose. Meravigliose. Se solo avessi potuto fermarmi di più… se solo avessi potuto portarne qualcuna con me…

— Oh, no. Non avresti potuto.

— Perché?

Ninameen ha una breve esitazione. — Noi le abbiamo sognate per te — dice infine. — Bril, Hanmer, Angelon e io. Il nostro sogno. Per renderti di nuovo felice.

— Un sogno? Solo un sogno?

— E i sogni finiscono — dice Ninameen.

9

Una nebbia improvvisa li avvolge; le fronde ondeggianti emettono adesso una luce intensa e rosata. Dopo un momento comincia a piovere. In lontananza, forse in alto su qualche montagna invisibile, ma imponente, una creatura femminile comincia a singhiozzare, e i suoni emessi fluttuano su di loro, vera e propria serie di lamenti estremamente sgradevoli. — Che cos’è? — chiede Clay a Hanmer, che dice: — È l’Errore, che piange sulle colline.

— L’Errore?

— L’Errore. Una delle energie che ci propiziamo.

— Avete dèi?

— Ci sono esseri che sono più grandi di noi. Come per esempio Errore.

— Perché piange?

— Forse per la felicità — suggerisce vagamente Hanmer.

Il suono dei lamenti di Errore muore in lontananza, mentre loro continuano l’avanzata. La pioggerella smette di cadere e scende un calore appiccicoso, ma Clay, fradicio, rabbrividisce lo stesso. Comincia a sentire la stanchezza per la prima volta dal momento del suo risveglio. È una strana specie di stanchezza metafisica la cui natura lo incuriosisce. Non ha ancora mangiato né dormito un solo momento in questo tempo, eppure non è né affamato né assonnato; e, per quanto abbia camminato per molte miglia, i suoi muscoli non sono indolenziti. Ma adesso nelle sue ossa c’è una nuova pesantezza, come se diventassero d’acciaio temprato, e la sua testa è un carico enorme per la spina dorsale, e i suoi organi pesano e premono contro le pareti di carne che li contengono. Infine lo colpisce il fatto che quella che sta sentendo è una qualità dell’ambiente che lo circonda piuttosto che di se stesso: un’emanazione, una specie di radioattività, che promana dalle rocce e spunta dal suolo. Rivolgendosi a Ninameen, osserva: — Mi sento stanco. E tu?

— Naturalmente. Qui succede sempre.

— Perché?

— Questa è la parte più vecchia del mondo. Le età del passato si ritrovano ammassate nelle nuvole che ci avvolgono. Non possiamo fare a meno di respirarle nell’attraversarle, e ci intontiscono.

— Non farebbe più sicuro sorvolarle?

— Non possono farci del male. Solo un malessere passeggero.

— Come si chiama questo posto?

— Vecchio — gli dice Ninameen.

E Vecchio è. Il suo corpo si ispessisce. La sua pelle si appesantisce. Sul petto gli spuntano una quantità di folti peli bianchi, e anche sulla pancia e sull’inguine i suoi genitali si raggrinziscono. Le sue anche si indolenziscono. Le vene si ingrossano. Gli occhi gli lacrimano. Il respiro si accorcia. La schiena fa male. Le ginocchia tendono a piegarsi. Il cuore perde il ritmo e rallenta. Le narici si mettono a gocciolare. Cerca di non respirare, temendo di inalare la vecchiaia come fumo velenoso, ma dopo un momento comincia a girargli la testa, ed è costretto a inspirare altra aria nebbiosa. La stessa cosa sta succedendo ai suoi compagni; la pelle cerea e levigata degli Sfioratori adesso è rugosa e arricciata, l’invecchiamento si manifesta in ogni parte del loro corpo; gli occhi sono gonfi. I seni di coloro che si trovano nella forma femminile sono diventati sgradevoli appendici raggrinzite, piatte e penzolanti, con capezzoli scuri e rosicchiati. Le bocche semiaperte rivelano mascelle grigie prive di denti. Clay è preoccupato da quei cambiamenti; in effetti, se sono tutti immortali e senza età, non dovrebbero alterarsi neanche adesso che passano nelle valli della vecchiaia. O forse i suoi ospiti stanno corrompendo la loro carne a suo beneficio, con estremo tatto, perché lui non senta la vergogna del suo stesso deterioramento? Finora gli hanno detto talmente tante cortési bugie che ha smesso di fidarsi di loro. Forse stanno di nuovo sognando a suo beneficio. Forse tutta la sua avventura non è altro che uno dei sogni personali di Hanmer, una dormita sgradevole tra un tramonto e un’alba.

Si sforza di proseguire. Silenziosamente li prega di portarlo lontano da quel posto. Come sarebbe facile per loro creare nuvole rosee e scintillanti, e decollare da questo luogo putrefatto in un volo molto più gradevole! Ma insistono a camminare. Lui avanza ancora più lentamente. La fronda luminescente che gli illumina la strada ha a sua volta assorbito il contagio della senescenza; tende a seccare e ad avvizzire, e il suo bagliore è incerto. Il sentiero è ascendente, il che rende la situazione ancora più difficile. La sua gola è secca e la sua lingua, arida, è un pezzo di tessuto ruvido nella bocca. Lacrime gommose gli scendono lentamente dagli angoli degli occhi fino a raggiungere la gola. Ricorda gli uomini-capra puzzolenti e sfatti, coperti di catarro.