Sta forse ricomponendosi in un tutt’uno?
Il suo viaggio vorticoso si è arrestato appena prima del mare. È precipitato fuori dal flusso; il suo momento si è esaurito, e, una particella dopo l’altra, sbatte e tocca contro la costa frastagliata di una qualche isoletta. Si raccoglie. Non si unisce; non riacquista la forma umana, maschile o femminile; non è altro che una montagnola di frammenti dilavati, come le piccole larve dei crostacei trascinate dalle onde. Frammista alla sua materia ci sono alcune particelle aliene che ha in qualche modo portato con sé fino a quel punto; le sente dentro di lui come lame. Sospetta che l’intera isola sia costituita dai detriti del fiume, e che il fango di cui è costituita non sia fango, ma materia organica abbandonata, esattamente come lui. E adesso? Rimanere qui, a marcire al buio? È ancora lambito dal fiume da una parte, ma non ne è più eroso: è stato rigettato. Può muoversi? Non può. Può percepire? Solo confusamente. Può ricordare? Può ricordare. Ci saranno ulteriori cambiamenti nella sua natura? Non lo sa. È a riposo. È un detrito. Aspetterà nuovi sviluppi.
— Anch’io aspetto — dichiara una voce possente.
Chi ha parlato? Dove? Un’altra pila di rifiuti abbandonata lì dal fiume? Come fa a rispondere?
Non ha nessun modo per rispondere.
Se riesco a sentire, insiste dentro di sé, devo poter parlare. E io indubbiamente sento. Dice, perciò: — Puoi aiutarmi? Puoi dirmi cosa siamo diventati?
— Sei un puro potenziale.
— E tu?
— Io aspetto.
— Lascia che ti veda — chiede Clay.
Una visione: vede una creatura di grandi dimensioni radicata nella sabbia rossastra che costituisce il terreno dell’isola. Solo la testa e le spalle spuntano alla superficie. La testa è piatta e larga, con grandi occhi perfettamente rotondi e nessun altro lineamento; sorge senza collo dalle spalle enormi. Vede anche la porzione di quella creatura che è sepolta nel terreno. È lunga e priva di arti, con la pelle ruvida e porosa e circondata da un mantello di filamenti fibrosi che sembrano avere la funzione di radici per trarre nutrimento dalla sabbia. Clay riconosce la creatura come uno degli Aspettatoli di cui Quoi il Respiratore gli ha brevemente parlato. Nonostante la sua apparenza vegetale, allora, è un animale, e, oltre tutto, una delle diverse specie di umanità che coesistono in questa epoca. La visione si affievolisce e scompare.
— Anch’io sono umano — dice Clay. — O lo ero.
— Lo siamo ancora.
— Ma che cosa sono, adesso?
— Una costellazione di possibilità. Sei ancora "in transito", benché la tua trasformazione si sia arrestata. Che cosa vorresti essere?
— Di nuovo me stesso.
— Tu sei te stesso.
— Questa non è la mia vera forma.
L’Aspettatore sembra ridere. — Come fai a dire qual è la tua vera forma?
— La forma nella quale ho iniziato il mio viaggio.
L’Aspettatore gli mostra una serie di immagini variabili: un Clay neonato, un Clay bambino, un Clay adolescente, un Clay cresciuto, un Clay addormentato, un Clay sveglio, un Clay attento, un Clay distratto, un Clay nudo, un Clay vestito, un Clay trasformato dal torrente purificatore, un Clay Respiratore nella polla del Quoi, un Clay femmina, un Clay dissolto dal fiume vivo, un Clay arenato al delta. — Quale sei tu? — chiede l’Aspettatore, e Clay dice: — Tutti — e l’Aspettatore ribatte: — Questi, e altri. Perché limitare te stesso? Accetta l’esperienza per quello che è. Cosa vorresti essere?
— Scegli tu per me — dice Clay, e così si ritrova trasformato in un Aspettatore.
12
Si sistema nel fango umido e freddo. Non riesce a muoversi: il concetto di "potersi muovere" gli è estraneo. È soddisfatto di stare lì incastonato, di trarre le sostanze nutritive di cui ha bisogno attraverso le radici fibrose, e di osservare gli splendidi flutti colorati del fiume mentre passa accanto all’isola. Il suo compagno Aspettatore vive non distante da lui. Clay è costantemente cosciente dei pensieri dell’Aspettatore: una grande forza, una calma profonda, un intelletto appassionato, e, cosa che pervade tutto, una sorta di trascinante malinconia, una tristezza per la natura stessa delle cose.
Non conosce l’età dell’Aspettatore, e capisce rapidamente che sarebbe stupido chiederla, in quanto il tempo interessa all’Aspettatore solo in termini negativi. — Studieremo — gli dice l’Aspettatore — le virtù dell’assenza di tempo. — Né osa chiedere a quale punto della storia umana sia diventato necessario, auspicabile, assumere quella forma particolare, e per quali motivi. Accetta tutto passivamente. Ha imparato ad aspettarsi l’infinita varietà.
Passivo è, e passivamente agisce. — Qual è il tuo fine? — chiede all’Aspettatore, e l’Aspettatore risponde: — Aspettare.
— Ci sono molti della tua razza?
— Molti.
— Sei in contatto con loro?
— Raramente.
— Senti la solitudine, qui?
— Sento la libertà.
Clay ha esaurito le domande. Studia il fiume. I suoi occhi sono come antenne che captano immagini da tutte le parti; vede le montagne, il mare, le nuvole, le circostanti foschie violette. Il sole sorge e tramonta e sorge e tramonta, ma lui non associa questi cambiamenti all’idea del passaggio del tempo. Si tratta di semplici fenomeni luminosi. Il tempo non passa. I non-minuti fluiscono in altri non-minuti, e i non-minuti formano non-ore, che si ammucchiano in anti-giorni e in contro-settimane e in non-mesi, e questi a loro volta nell’antitesi degli anni e nell’opposto dei secoli. Tali intervalli di atemporalità sono interrotti, occasionalmente, da qualche lento pensiero che si apre la strada attraverso lente connessioni cerebrali fino alle profondità della sua coscienza. Non è affatto infastidito dal nuovo ritmo delle cose. Gli sembra abbastanza delicato e perfetto e splendido funzionare in quel modo, perché ha la possibilità di esaminare ogni aspetto di una nozione, rivoltandola da tutte le parti, manipolandola, analizzandola, scomponendola, sondandola. Spesso passa un’intera serie di non-eoni prima che tra lui e l’Aspettatore che è accanto a lui si verifichi qualche scambio di pensieri. Non è necessario parlare molto. È solo necessario pensare, e considerare, e apprendere, e comprendere. Riesamina gran parte dei contenuti trascurati dalla sua mente. Rigetta la fallacia del movimento, l’assurdità della tensione, l’inutilità dell’aggressività; e l’idiozia dell’arrivismo, l’errore del progresso, l’assurdo concetto di velocità, l’aberrazione dell’orgoglio, l’allucinazione della curiosità, l’illusione della realizzazione, il miraggio della consecutività, e una gran quantità di altre cose che ha portato in sé troppo a lungo. Solidamente radicato, sufficientemente nutrito, pienamente soddisfatto della sua condizione, padroneggia passivamente universi inquietanti di pensiero.
Tra le sue nuove riflessioni sfavillano siffatte gemme.
Tutti i momenti convergono nell’adesso.
La stasi contiene e circonda il dinamismo.
È un errore immaginare l’esistenza di una sequenza lineare di eventi.
Gli eventi stessi sono semplici aggregazioni di energia casuale, alla quale imprimiamo il nostro erroneo senso della forma.